I sindaci degli otto Comuni interessati con l’assessore regionale Guido Castelli
Tutela e promozione delle aree del basso bacino del Chienti: accordo tra otto Comuni. Nel tardo pomeriggio di ieri, i sindaci di Civitanova, Montecosaro, Morrovalle, Corridonia, Monte San Giusto, Montegranaro, Sant’Elpidio a Mare e Porto Sant’Elpidio hanno siglato nella sala giunta del comune di Civitanova, ente capofila, un Protocollo di intesa per la condivisione di una proposta per la tutela e la promozione delle aree del basso bacino del Chienti, con l’obiettivo di mettere in sinergia le risorse finanziarie, umane e logistiche a disposizione.
Guido Castelli e Fabrizio Ciarapica
Dopo l’approvazione da parte della giunta di Palazzo Sforza lo scorso anno dello schema di protocollo, con la contestuale approvazione dello studio di fattibilità predisposto dall’architetto Bruno Valeriani, l’iter amministrativo si è perfezionato ieri con la firma dell’accordo tra i comuni coinvolti e passa ora al tavolo regionale per la richiesta dei fondi necessari all’avvio del Programma di Sviluppo. Infatti all’incontro di ieri era presente anche l’assessore regionale Guido Castelli, che ha rimarcato «il ruolo della Regione Marche nel coordinare le iniziative finalizzate alla valorizzazione del patrimonio storico-culturale e paesaggistico delle comunità locali e l’interesse a promuovere l’assetto del territorio con specifiche azioni di sviluppo nel rispetto delle singole peculiarità».
«Nel piano dell’architetto Valeriani – spiega l’amministrazione civitanovese – rientrano un insieme coerente di progetti che comprendano soggetti pubblici e privati sulla base delle manifestazioni di interesse che verranno prodotte. Lo studio mira alla riqualificazione del sistema vallivo, anche grazie alla previsione di un intervento di mobilità sostenibile relativa ai territori prospicienti l’asta fluviale del Chienti, per il tratto che collega Civitanova a Corridonia, sia per la parte della provincia di Fermo che per quella relativa alla provincia di Macerata. Il percorso si sviluppa prevalentemente su area demaniale, nelle vicinanze del fiume Chienti. L’intervento consentirebbe di passare dall’attuale sentiero di collegamento ad una vera pista ciclopedonale con forte impatto turistico/ambientale, aumentando la mobilità sostenibile nelle aree urbane, riducendo quindi le emissioni di carbonio e, contemporaneamente, incentivando il turismo».
«Meno di un anno fa – ha spiegato il sindaco Fabrizio Ciarapica – con i colleghi avevamo approvato lo schema del Protocollo. Questa strategia condivisa ed integrata di sviluppo locale è stata molto apprezzata dalla Regione Marche. Il percorso prevede oltre ad una pista ciclopedonale che si snoda lungo 40 chilometri, infrastrutture e servizi, parliamo di un’opera da 11 milioni di euro. Ringrazio l’assessore Castelli per la sua presenza ieri, a testimonianza dell’attenzione della Regione a questa importante pianificazione ambientale e culturale del territorio, estremamente valida anche perché ricuce i Comuni con il cratere: da Corridonia, infatti, parte una ramificazione delle ciclabili verso l’interno. L’assessore Castelli si è impegnato a verificare i fondi Por-Fesr ed ha espresso la volontà di sostenere il progetto, già illustrato nel corso di diversi incontri istituzionali a partire dalla primavera 2021. Siamo consapevoli che si tratta di un piano ambizioso e di non facile realizzazione, ma noi amministratori siamo uniti e convinti che ci sia bisogno di idee di grande respiro per la valorizzazione dei nostri preziosi beni pubblici e ci auguriamo di intercettare fondi per dare seguito a questo bel progetto di fruizione degli ambiti fluviali del Chienti, che punta sulla conservazione della biodiversità, sulla valorizzazione delle risorse naturali, del paesaggio agrario e dell’edilizia rurale e dei percorsi culturali e delle abbazie».
E’ prevista anche la realizzazione di aree attrezzate, circuiti di trekking, nordic walking e mountain bike, rete percorsi ciclopedonali, raccordi protetti tra l’asta fluviale ed i centri urbani e raccordi protetti tra l’asta fluviale le stazioni ferroviarie esistenti. Inserite, inoltre, la riqualificazione delle aree di sosta esistenti quali elementi scambiatori e la valorizzazione e l’incentivazione del sistema ricettivo ricavato nel patrimonio edilizio esistente in prossimità delle aree attigue all’asta fluviale.
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COMMISSIONE PARLAMENTARE
DI INCHIESTA
sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti
e su illeciti ambientali ad esse correlati
Mercoledì 25 maggio 2016. — Presidenza del presidente Alessandro BRATTI.
[…]
5. I soggetti responsabili dell’inquinamento.
Responsabili del diffuso inquinamento dell’area della bassa valle del fiume Chienti sono le numerose aziende del settore calzaturiero che hanno utilizzato composti organo alogenati per il lavaggio di fondi di calzature in poliuretano.
In particolare i rifiuti di tali processi, classificati come pericolosi, sono stati sversati sul suolo, nel sottosuolo e nelle acque di falda attraverso i pozzi.
Gli inquinanti, costituiti prevalentemente da tricloroetano, tricloroetilene e tetracloroetilene, hanno interessato una vasta area ricadente nel territorio dei comuni di Civitanova Marche, Morrovalle, Montecosaro, Sant’Elpidio a Mare e Porto Sant’Elpidio.
Le indagini effettuate dalla Commissione di inchiesta (sopralluoghi, audizioni ed acquisizione di documenti) hanno consentito di accertare che nel corso degli anni sono stati avviati numerosi procedimenti amministrativi e giudiziari finalizzati ad individuare e sanzionare i vari responsabili dell’inquinamento.
5.1. Procedimenti penali.
5.1.1. Procedimenti penali relativi alla prima contaminazione da tricloroetano (1993-1995).
La procura della Repubblica presso il tribunale di Macerata nel 1993 ha effettuato indagini finalizzate all’individuazione dei responsabili dell’inquinamento mediante l’acquisizione di documenti contabili delle ditte operanti nel settore calzaturiero che attestavano l’acquisto del tricloroetano oltre che il suo utilizzo nel processo produttivo.
Le indagini, supportate anche dai riscontri tecnici eseguiti dalle USL di Macerata e Civitanova Marche, hanno consentito la citazione a giudizio davanti al pretore di Macerata, sezione distaccata di Civitanova Marche, di nove legali rappresentanti delle ditte perché ritenuti responsabili di vari reati ambientali.
Tutti i procedimenti penali sono stati definiti nel 1995 mediante l’applicazione
della pena richiesta dalle parti ai sensi dell’articolo 444 codice di procedura penale (cosiddetto patteggiamento).
Il pretore di Macerata – sezione distaccata di Civitanova Marche ha applicato a tutti gli imputati la pena di quattro mesi e venti giorni di reclusione, concedendo loro il beneficio della sospensione condizionale della pena ai sensi dell’articolo 163 codice penale e condannandoli al pagamento delle spese di costituzione e difesa in favore delle costituite parti civili (provincia di Macerata, comuni di Morrovalle, Montecosaro e Civitanova Marche).
Per quanto concerne i territori ricadenti nella competenza della procura della Repubblica presso il tribunale di Fermo, non risultano né essere state avviate indagini né risultano procedimenti penali pendenti relativi all’inquinamento in questione.
5.1.2. Procedimenti penali relativi alla seconda contaminazione da percloroetilene e trielina (1996-2009).
In ordine alla contaminazione da percloroetilene e trielina la procura della Repubblica presso il tribunale di Macerata ha citato a giudizio davanti al tribunale penale di Macerata – sezione distaccata di Civitanova Marche, cinque dei nove legali rappresentanti delle ditte responsabili della prima contaminazione da tricloroetano.
Detti procedimenti penali si sono conclusi, due con sentenza di assoluzione degli imputati, due con sentenza di non doversi procedere per estinzione dei reati per intervenuta prescrizione ed uno con sentenza di condanna alla pena di quattro mesi di arresto ed euro 2.000.000 di ammenda, oltre al risarcimento del danno
subito dalle costituite parti civili. Detta sentenza di condanna è stata poi riformata dalla Corte di appello penale di Ancona, la quale ha assolto gli imputati per non aver commesso il fatto, con conseguente revoca delle statuizioni civili risarcitorie contenute nella sentenza di condanna di primo grado.
Per quanto concerne i territori ricadenti nella competenza della procura della Repubblica presso il tribunale di Fermo non risultano né essere state avviate indagini né risultano procedimenti penali pendenti relativi all’inquinamento in questione.
5.2. Procedimenti civili.
5.2.1. Procedimenti civili relativi alla prima contaminazione da tricloroetano (1993-1995).
A seguito delle sentenze di patteggiamento emesse dal tribunale di Macerata – sezione distaccata di Civitanova Marche, la provincia di Macerata ed i comuni di Morrovalle, Montecosaro e Civitanova Marche hanno citato davanti al tribunale Civile di Macerata sia gli imputati che le rispettive ditte, al fine di ottenere il risarcimento del danno ambientale.
Con la sentenza n. 699/09 del 15 giugno 2009, depositata il 17 giugno 2009, il tribunale di Macerata, preso atto delle situazioni di accordo e transazione venutesi a creare, ha, tra l’altro, condannato i convenuti, in solido tra loro, al pagamento in favore della provincia di Macerata e dei comuni di Civitanova Marche e Montecosaro della somma complessiva di euro 2 milioni, oltre al pagamento delle spese legali.
Detta sentenza è stata appellata da sei delle nove ditte citate in giudizio in primo grado e, a seguito di istanza presentata da alcune parti, la Corte di appello civile di Ancona, con l’ordinanza del 17 dicembre 2009, ha sospeso l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, imponendo agli appellanti una cauzione dell’importo di euro un milione.
Il giudizio pendente davanti alla Corte di appello civile di Ancona non risulta ancora essere stato deciso.
5.2.2. Procedimenti civili relativi alla seconda contaminazione da percloroetilene e trielina (1996 – 2009).
Per tale contaminazione non risultano essere stati promossi da parte delle province e dei comuni giudizi civili finalizzati ad ottenere il risarcimento del danno ambientale.
5.3. Procedimenti amministrativi.
Il Ministero dell’ambiente, con nota del 27 novembre 2011, prot. n. 29237/TRI/DI/ II-VII, ha invitato la provincia di Macerata, per quanto di competenza, ad attivare le procedure previste dall’articolo 244 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (avvio e conclusione del procedimento volto ad identificare l’eventuale responsabile dell’inquinamento; diffida dell’eventuale responsabile a provvedere).
Le amministrazioni provinciali territorialmente competenti non hanno svolto indagini finalizzate a identificare i responsabili dell’inquinamento del sito in questione e, pertanto, non hanno attivato la procedura di cui all’articolo 244 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
Non risultano infatti essere state emesse ordinanze di diffida nei confronti dei responsabili dell’inquinamento (di cui al citato articolo 244, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006), né risulta che gli interventi di bonifica siano stati adottati dalle amministrazioni competenti in conformità a quanto disposto dall’articolo 250 (sempre secondo lo stesso articolo 244, comma 4).
L’articolo 250 del decreto legislativo n. 152 del 2006 stabilisce: «Qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi di cui all’articolo 242 sono realizzati d’ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione, secondo l’ordine di priorità fissato dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate, avvalendosi anche di altri soggetti pubblici o privati, individuati ad esito di apposite procedure ad evidenza pubblica. Al fine di anticipare le somme per i predetti interventi le regioni possono istituire appositi fondi nell’ambito delle proprie disponibilità di bilancio».
Alcuni comuni hanno emesso ordinanze concernenti l’imposizione ad alcune aziende incluse nella perimetrazione del SIN a caratterizzare i propri siti a seguito delle determinazioni dal Ministero dell’ambiente (all’epoca in cui il sito era ancora SIN), che tendevano a considerare tutti i proprietari dei siti produttivi sotto i quali scorreva l’acqua contaminata come responsabili dell’inquinamento, anche se la concentrazione di contaminanti a monte e a valle idraulica del sito produttiva era identica.
Con deliberazioni della conferenza di servizi decisoria per il SIN del Basso bacino del fiume Chienti tenutesi presso il Ministero dell’ambiente il 28 dicembre 2005 e il 22 febbraio 2006 sono state imposte ai predetti proprietari dei siti produttivi di formalizzare la propria disponibilità a concorrere alla attuazione e gestione delle attività di messa in sicurezza e bonifica della falda in forma unitaria e consortile, ovvero di presentare un proprio progetto per l’intera area di competenza.
Le società i cui stabilimenti aziendali sono ubicati nel territorio del sito del Basso bacino del fiume Chienti e l’associazione degli industriali della provincia di Macerata hanno proposto vari ricorsi davanti al TAR Marche avverso le predette deliberazioni, chiedendone l’annullamento.
Il TAR Marche, con sentenze nn. 124, 125, 126, 127, 128 e 129 del 20 novembre 2014, depositate il 20 febbraio 2015, ha accolto detti ricorsi, annullando i provvedimenti delle conferenze di servizi decisorie per il sito di interesse nazionale del Basso bacino del fiume Chienti, tenutesi il 28 dicembre 2005 e 22 febbraio 2006, nella parte in cui imponevano « la prescrizione di richiedere ai soggetti privati la formalizzazione della propria disponibilità a concorrere alla attuazione e gestione delle attività di messa in sicurezza e bonifica della falda in forma unitaria e consortile, ovvero di presentare un proprio progetto per l’intera area di competenza ».
Le sentenze, per quanto qui interessa, così motivano:
«Ove, …, non venga accertata la responsabilità sull’origine del fenomeno contestato, non è possibile imporre al soggetto incolpevole, individuato solo in quanto proprietario del bene, alcun obbligo di bonifica o di messa in sicurezza»;
«… sebbene possa non essere richiesto all’autorità amministrativa di dimostrare il comportamento doloso o colposo dell’operatore, è comunque necessario che essa ricerchi preventivamente l’origine dell’inquinamento e dimostri l’esistenza di un nesso causale tra questo e l’attività inquinante, utilizzando i propri poteri istruttori»;
«Nel caso di specie non emerge che le autorità amministrative preposte abbiano svolto una compiuta istruttoria atta a ricercare l’origine dell’inquinamento al fine di collegarlo causalmente all’attività industriale posta in essere dalla ricorrente, né si è proceduto ad un accertamento di corrispondenza tra le sostanze inquinanti e i componenti impiegati dall’operatore nell’esercizio della propria attività di impresa».
6. Conclusioni.
Le indagini effettuate dalla Commissione di inchiesta consentono di individuare le seguenti criticità che stanno determinando il ritardo della bonifica del sito contaminato denominato Basso bacino del fiume Chienti.
6.1. La mancata attuazione dell’accordo di programma sottoscritto in data 7 aprile 2009 fra il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione Marche, la provincia di Macerata, i comuni di Morrovalle, di Montecosaro, di Civitanova Marche, la provincia di Ascoli Piceno e i comuni di Porto Sant’Elpidio e di Sant’Elpidio a Mare per la realizzazione degli interventi di bonifica della falda del sito in questione ha impedito di utilizzare risorse finanziarie pari ad euro 3.700.000, la cui copertura era assicurata dalla regione Marche, dalla provincia di Macerata, da quella di Ascoli Piceno e dai comuni di Civitanova Marche, di Montecosaro, Morrovalle, di Porto Sant’Elpidio e di Sant’Elpidio a Mare, con possibilità di avvalersi delle risorse previste dal POR FESR Marche 2007-2013.
La responsabilità della mancata attuazione dell’accordo di programma è da attribuire esclusivamente alla provincia di Macerata (ente attuatore delle attività di progettazione definitiva ed esecutiva e realizzazione degli interventi di messa in sicurezza e di bonifica della falda acquifera), la quale, a seguito di avviso pubblico, in data 5 luglio 2010 ha affidato l’incarico per la progettazione definitiva ed esecutiva, la direzione dei lavori, il coordinamento della sicurezza in fase di progettazione e per l’esecuzione degli interventi di bonifica del sito ad un raggruppamento temporaneo di professionisti che in data 26 luglio 2010, dopo appena venti giorni, ha presentato un progetto definitivo che prevedeva un quadro economico complessivo degli interventi pari ad euro 10.197.716,54.
Detto progetto definitivo non è stato approvato dalla conferenza di servizi ministeriale in quanto risultava sostanzialmente difforme dal progetto preliminare di bonifica approvato ed oltretutto prevedeva dei costi di gran lunga superiori rispetto a quelli previsti nell’accordo di programma.
La provincia di Macerata è altresì responsabile per non aver trasmesso, in qualità di soggetto attuatore, un progetto definitivo aggiornato sulla base delle prescrizioni indicate nei pareri dell’ARPAM, dell’ISPRA e della regione Marche, così come richiesto con decreto direttoriale relativo alla conferenza di servizi ministeriale del 12 ottobre 2011.
Non è dato comprendere perché la provincia di Macerata abbia dapprima consentito di far redigere un progetto definitivo difforme dal progetto preliminare approvato e successivamente sia rimasta inerte rispetto alla richiesta del Ministero di redigere un progetto definitivo aggiornato sulla base delle prescrizioni dei pareri espressi da ARPAM, ISPRA e regione Marche.
6.2. Non risultano indagini specifiche svolte dalle autorità amministrative competenti (in particolare dalla provincia di Macerata e dalla provincia di Fermo) finalizzate alla identificazione dei responsabili della contaminazione del sito in questione.
Occorre rilevare che era onere delle autorità amministrative individuare i responsabili dell’inquinamento al fine di ordinare loro di effettuare la bonifica del sito contaminato (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885; TAR Friuli Venezia Giulia Trieste, sez. I, 05.05.2014, n. 183).
Al riguardo, l’articolo 244, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006 stabilisce, per quanto qui interessa, che «la provincia,… dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell’evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere… ».
Lo stesso TAR Marche, con le sentenze sopra indicate, ha evidenziato che «nel caso di specie non emerge che le autorità amministrative preposte abbiano svolto una compiuta istruttoria atta a ricercare l’origine dell’inquinamento al fine di collegarlo causalmente all’attività industriale posta in essere dalla ricorrente».
Certo è che l’eventuale individuazione dei responsabili dell’inquinamento avrebbe facilitato ed accelerato l’iter amministrativo relativo alla bonifica del sito.
6.3. Il sito, a seguito dell’entrata in vigore dell’articolo 36-bis, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134, che ha modificato il comma 2 dell’articolo 252 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, non è più ricompreso tra i siti di bonifica di interesse nazionale e, conseguentemente, i relativi costi di bonifica non possono essere sostenuti dallo Stato, che, peraltro, pur essendo un SIN, non aveva stanziato alcuna risorsa finanziaria.
Certo è che, non essendo stati individuati i responsabili dell’inquinamento, ai sensi dell’articolo 250 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, gli interventi di bonifica del sito contaminato debbono essere realizzati d’ufficio dai comuni territorialmente competenti e, ove questi non provvedano, dalla regione.
La regione Marche, mediante l’articolo 24 della Legge regionale 29 novembre 2013, n. 44 (Assestamento di bilancio), ha stabilito: «1. Ai sensi dell’articolo 14 della legge regionale 2 agosto 2006, n. 13 (Assestamento del bilancio 2006), la bonifica delle aree individuate all’interno dell’ex sito di interesse nazionale denominato “Basso Bacino del fiume Chienti” spetta ai Comuni nel cui territorio ricadono le rispettive aree.
2. La bonifica unitaria della falda acquifera ricompresa nel sito di cui al comma 1 spetta agli enti territoriali interessati, già firmatari dell’accordo di programma stipulato con il Ministero competente in data 2 luglio 2008 e non più operante, sulla base di quanto dagli stessi stabilito mediante la conclusione di un nuovo accordo di programma che deve tenere conto delle relative disponibilità finanziarie e dell’eventuale riperimetrazione dell’area, da indagare sulla base dei risultati delle analisi delle acque di falda ottenuti nel tempo dai monitoraggi eseguiti dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale delle Marche (ARPAM)».
Con detta disposizione la regione Marche ha voluto rafforzare la necessità della bonifica dell’intera area da parte degli enti territoriali, già firmatari di un accordo di programma non più operativo, mediante la conclusione di un nuovo accordo di programma.
In conclusione, in mancanza di detto nuovo accordo, poiché non sono stati individuati i responsabili dell’inquinamento, gli interventi di bonifica del sito di interesse regionale (SIR) «Basso Bacino del Fiume Chienti» debbono essere realizzati d’ufficio dai comuni e, ove questi non provvedano, dalla regione Marche, ai sensi dell’articolo 250 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.