Nella mappa del progetto Preistoria Italia anche reperti marchigiani
di Federica Nardi
Prima delle religioni che tutti conosciamo, prima dei Romani e dei Piceni, anche nelle Marche abitava la “civiltà della Dea”. La chiamò così Marija Gimbutas, l’archeologa lituana che con le sue ricerche, a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, riscrisse la preistoria europea con scoperte e analisi che hanno riportato alla luce le società pre patriarcali. Società dove al centro della vita e del culto c’era appunto una divinità femminile, che racchiudeva in sé i cicli della vita, della morte e della rinascita. Innumerevoli i ritrovamenti che compongono la ricostruzione di culture apparentemente lontanissime. E le Marche, così come la provincia di Macerata, non fanno eccezione. In questi giorni in cui ricorre il centenario della nascita di Gimbutas, può essere un esercizio utile e prezioso per la memoria del territorio riscoprire quali reperti importantissimi (e spesso misconosciuti) sono stati trovati nella nostra regione. A mapparli è stato il progetto “Preistoria in Italia”, animato, tra le altre, anche dalla scrittrice e ricercatrice Luciana Percovich.
Il Ciottolo di Tolentino, parte frontale (foto di G.E. Petetti)
Il reperto mappato nella provincia di Macerata è il cosiddetto “Ciottolo di Tolentino”. A ritrovarlo nel 1884 per caso durante dei lavori di scavo in un terreno di famiglia fu il conte Aristide Gentiloni Silverj, che capì subito di avere in mano qualcosa di unico. Il ciottolo infatti, di pietra scura, è davvero una visione non comune. Da un lato presenta incisa la raffigurazione di una donna nuda con testa animale (ad alcuni sembra un lupo, ad altri un bovino), dall’altro invece un altro animale. Un talismano o un utensile? Il reperto è esposto al momento nel museo Archeologico di Ancona, anche se a chi lo visita potrebbe sembrare piuttosto “nascosto” tra altre pietre non incise e sicuramente meno affascinanti del ciottolo.
L’altro reperto, questo già più famoso e con una stanza dedicata sempre nel museo di Ancona, è la cosiddetta Venere di Frasassi. A scoprirla fu il fotografo e speleologo maceratese Sandro Polzinetti, venuto a mancare a settembre dell’anno scorso. La venere, che non ha nulla da invidiare alle più famose “colleghe” (come quella di Willendorf) misura 8 centimetri e presenta una figura femminile con le mani nell’atteggiamento offerente (o di raccolta, a seconda dei punti di vista). Datata tra i 20mila e i 28mila anni fa, l’origine di questa figurina è ancora oggetto di ipotesi (e ci si augura anche di studi). Come spiega Giusy Aportone, che ha curato sia la scheda del ciottolo di Tolentino che quella della Venere di Frasassi: «Una suggestiva ipotesi legata alla peculiarità del gesto di “offerta” o di “raccolta” è che il manufatto, si trova in grotte cosiddette galattofore, portatrici di latte, considerate magiche e terapeutiche in quanto si credeva che l‘acqua gocciolante, se bevuta dalle madri durante l’allattamento, avesse il potere magico di favorire la secrezione del latte».
La Venere di Frasassi (o di Genga)
Altri tre reperti si trovano più a nord nelle Marche. Si tratta delle Statuine femminili di Monterado e di altri due oggetti ritrovati a Fano: una statuina neolitica e un ciottolo paleolitico. La cifra comune di questi ritrovamenti, da un punto di vista puramente estetico, sono le forme femminili (spesso miste a quelle maschili) e le ridotte dimensioni. Da un punto di vista storico-culturale purtroppo invece la loro cifra comune è quella di essere ancora – troppo spesso – materia per appassionati, mentre una divulgazione più efficace potrebbe valorizzarli ulteriormente sia sotto il profilo turistico che sotto quello della ricerca di una civiltà ancora così poco conosciuta seppur così rilevante per comprendere la storia del territorio.
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