Quello zio dimenticato dalla storia
e ritrovato grazie all’archivio dei partigiani

PERSONAGGIO - In questi giorni è diventato liberamente consultabile il portale che conserva le schede di centinaia di persone impegnate nella Resistenza. Tra di loro Pacifico Orazi di San Severino. Una vicenda personale e allo stesso tempo collettiva, nel percorso di lotta e sacrifici che portarono alla Liberazione dal nazifascismo

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La Banda Mario

 

di Monia Orazi

Sono trascorsi 76 anni da quando qualcuno ha annotato su una vecchia tessera, che il primo luglio 1944, Orazi Pacifico fu Nicola, a soli 19 anni ha lasciato il gruppo partigiano della “Banda Mario”, attivo in quel territorio al confine tra San Severino, Gagliole e Matelica, i cui nuclei abitati più vicini sono Valdiola e Chigiano, la zona dell’abbazia di Roti a Matelica. Accaddero tra quei boschi, i saliscendi del San Vicino e delle vallate, gesta narrate da storici locali, Anpi, una sanguinosa battaglia che nel marzo del 1944 lasciò sul campo numerose vittime, con i rastrellamenti e l’eccidio di Braccano, dove morirono Don Enrico Pocognoni ed altri cinque abitanti della frazione matelicese. In quel contesto incerto e difficile, si unirono al gruppo guidato da Mario Depangher, con soldati provenienti da varie nazioni del mondo, coloro che in quelle colline abitavano.

Una scelta di lotta contro l’esercito tedesco, portata avanti con la complicità delle famiglie del posto che nascondevano cibo e lo portavano di nascosto ai partigiani, che lasciò traccia in una lunga scia di sangue che ha macchiato quei luoghi, parte della memoria storica e culturale della nascita della Repubblica Italiana. A Don Enrico Pocognoni è intitolato il museo della Resistenza di Braccano, che racconta le lotte partigiane, l’eroismo di militari e combattenti che si sono distinti, molti pagando con la vita le imprese di quella stagione irripetibile. A marzo ed aprile del 1944 l’esercito nazifascista dilagò proveniendo da varie zone, il battaglione Mario fu messo a dura prova.

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La scheda personale di Pacifico Orazi contenuta nell’archivio digitale

Tra quei partigiani c’era anche Pacifico Orazi, nato nel 1921 a Sant’Elena di San Severino, orfano da pochi anni del padre Nicola, maggiore di una serie di fratelli più piccoli. Scelse appena diciottenne, subito dopo l’armistizio, il 10 ottobre del 1943 di unirsi alle bande partigiane locali, che confluirono nel battaglione Mario. Vi rimase fino al primo luglio del 1944, giorno in cui il territorio fu liberato dai nazifascisti. Era un ragazzo taciturno, sensibile ed intelligente, che amava la libertà. A casa nascondevano il grano e le patate, per evitare che le rubassero i tedeschi. Lui ed i fratelli più piccoli, quando andavano alla scuola elementare del paese, dovevano fare il saluto fascista, sul loro libretto c’era scritto con lo scorrere degli anni “balilla” o “giovane avanguardista”, dovevano cantare “Faccetta nera”.

Nonostante fosse cresciuto in pieno regime fascista, nonostante la situazione precaria della famiglia di cui era l’unico maschio adulto, Pacifico fece un salto nel buio, unendosi ai partigiani. Una cosa che i fratelli minori hanno sempre ricordato a fatica, di cui è rimasta labile traccia in qualche racconto orale, del tipo «Pacifico stette due giorni nascosto, arrampicato su una pianta per sfuggire ai tedeschi», senza indicazioni precise. Vai a pensare che quel diciottenne, di cui mi onoro di portare lo stesso cognome, fu un partigiano della banda Mario, raccontata con lucidità e tanti dettagli, dagli ultimi partigiani sopravvissuti, scomparsi in anni recenti. Pacifico Orazi era il fratello maggiore di mio padre. Lui e tanti altri partigiani d’Italia, sono tornati dalle nebbie di anni di oblìo, grazie all’archivio centrale del ministero dei beni culturali, che solo da una decina di giorni è liberamente consultabile, previa registrazione.

Vi si possono liberamente consultare le schede anagrafiche di riconoscimento, delle qualifiche partigiane, contenute nell’Archivio centrale di Stato. Tra le altre ci sono quelle delle Marche, quelle di altre regioni mancanti, saranno inserite entro il 2021. Così 76 anni dopo, ho scoperto che quel giovane 18enne era un partigiano della banda Mario, aspetto attualmente sconosciuto alla mia famiglia. E’ stato come ritrovare un pezzo di storia che mancava, un tassello fondamentale di un percorso privato e collettivo insieme. Pacifico subito dopo la guerra, non riuscì a trovare lavoro e seguendo altri che ne se ne andarono in quel periodo, partì per l’Argentina, dove lavorò presso le ferrovie, non facendo mai più ritorno. Morì negli anni Ottanta, poco più che sessantenne. Era solo lo zio partito per l’America, la cui identità è stata tracciata da qualche frammento di ricordi familiari. Ora è stato restituito a quel frammento di storia pubblica di cui è stato parte collettiva, nel battaglione Mario. Il portale “Partigiani d’Italia” restituisce un’identità pubblica ed aperta, alle donne ed agli uomini della Resistenza, grazie all’immenso sforzo di digitalizzazione su oltre 703 mila schede del fondo Ricompart. Le schede nominative furono compilate a seguito di una legge emanata nel 1945, che stabiliva parametri precisi per attribuire le qualifiche di partigiano, caduto o combattente, patriota, per chi aveva collaborato o aiutato, o militato nelle formazioni partigiane, durante la guerra di liberazione. Un patrimonio storico immenso e gratuito, che potrà contribuire a far luce su tante figure ed episodi di quegli anni di lotta per la libertà, da cui è nata la Repubblica Italiana. 



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