Mario Monachesi
di Mario Monachesi
È un dolce della tradizione contadina, oramai definitivamente dimenticato. Le sue origini sono settecentesche. Un tempo veniva preparato sotto le feste pasquali, il particolare colore rosa che lo rendeva unico, tra tutti gli altri dolci, era dovuto all’uso “dell’archemuse” (alchermes) nell’impasto. Una seconda tradizione voleva che alla vigilia di un matrimonio, “quanno la fameja de la spusa organizzava la serata in cui se saria duùto (dovuto) ‘ffettuà’ la stima de la dote, cioè mostrà’, a li jinitori de lu spusu, lu corredu e quant’atra robba a la fija je spettava e se portava, essa, la fidanzata, preparava la ciaramilla pe’ lu fidanzatu. Era pe’ dimostrà’, come futura moje, la capacità in fattu de cucina”.
Questo dolce era tipico “della media e alta Marca”, dal maceratese al pesarese-urbinate. La sua particolare forma, richiamava “‘na ciammella co’ lu vusciu largu”, decorata con una glassa bianca e confettini colorati. Sopra, prima delle spennellature di glassa, ci venivano poste due striscette della stessa pasta, a forma di croce, per rappresentare la Pasqua di Nostro Signore. La sua consistenza era simile “a lu ciammellottu e vinia magnata ‘ccompagnata da un vicchjrì’ de vi’ cotto, o vi’ semprice o ‘n’antru liquore. Era vona anche seccata, a la matina per colazió, purché ‘mmollata sempre con checcosa de vono. Lu cannucciu (gola) de li contadì’ vulia sempre robba gustosa e de qualità”. Recitava un proverbio: “La robba de campagna è cojó chj no’ la magna”. Sempre a proposito “de rimbji (riempire) lu stommicu”, un’altro recitava: “Se voli lo pa’ frisco, spusete un contadì che lo fa spisso”.
Detto anche “ciaramilia” o “ciaramiglia”, il suo nome deriva da “ciara”, chiara dell’uovo e “mica”, briciola del pane, quindi per analogia, la parte più solida del dolce. Le numerose migrazioni dei lavoratori marchigiani all’esterno della regione, hanno portato questo dolce fuori dai nostri confini, raggiungendo l’Umbria e la Toscana. Nella terra di San Francesco è detto “ciaramicola”. “‘Sta ciaramilla da lu colore rosa, vulimo proà’ a rfalla?” Ecco gli ingredienti: 3 uova, 500 gr di farina, 250 gr di zucchero, 100 gr “de strutto”, lievito, “scorza de limó’ grattata”, 70 gr “de archemuse” (alchermes). “Pe’ la decorazió'”, zucchero a velo, succo “de limó'”, albume (“chjara dell’ou”) e confettini colorati.
Preparazione: versare “su la spianatora” la farina e sistemarla a fontana, poi aggiungere zucchero, lievito, “rusci dell’oi, strutto, scorza grattata de limò e archemuse”. Impastare fino ad ottenere un composto sodo e liscio. Dalla massa staccare una piccola porzione, con la restante fare un rotolo e chiuderlo a cerchio. Metterlo in un tegame foderato con carta da forno. Con la pasta messa da parte formare due rotolini e disporsi a croce al centro “De la ciaramilla”. Mettere al forno e cuocere per 40 minuti. Sfornare e lasciar raffreddare. Nel frattempo preparare la glassa (detta anche “bivacca”), mescolare lo zucchero a velo con l’albume “e lo sugo de limó'”. Ricoprire il dolce con la glassa e decorare “co’ li cunfittucci colorati. Fa’ sciuccà e magnà’, gustènno ‘stu sapore anticu, de un tempu trapassatu. Lu prufumu adè ‘na cosa”…adorabile. “Quante cose imo perso, quante tradizió’ umili ma sintite imo vuttato via come fosse robbaccia, quasci quasci me ce vè’ da piagne”.
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