I misteri dell’arsenale di Fiungo:
la ricostruzione di Loris Campetti,
indagato e poi prosciolto

CAMERINO - Scoperto nel 1972, è stato uno degli episodi della strategia della tensione. Un depistaggio che coinvolse il giornalista, poi scagionato. Ora ha raccontato in un libro di quegli anni, del processo e della sua esperienza di vita e politica

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Giuseppe Bommarito

 

di Giuseppe Bommarito

Tanto tempo è passato da quel 10 novembre 1972, dal telecomandato rinvenimento di un arsenale di armi e di documenti utili per un’attività di guerriglia eversiva in un casolare diroccato a Svolte di Fiungo, sulla vecchia strada Valdichienti, nei pressi di Camerino, ma la rabbia contro la strategia della tensione, contro la trama nera ordita in quegli anni torbidi anche nella nostra provincia per impedire che la sinistra arrivasse al potere e il paese virasse verso una direzione antidemocratica, è rimasta la stessa. Specialmente per chi ne è stato personalmente vittima, per chi quell’ingiustizia storica e giudiziaria l’ha vissuta in prima persona, come Loris Campetti, maceratese di nascita, ormai romano d’adozione, brillante penna de “Il Manifesto” e componente per molti anni del suo comitato di gestione, che oggi, ripercorre per la prima volta la vicenda che evidentemente lo ha segnato per tutta la vita, in un romanzo (“L’arsenale di Svolte di Fiungo”, Manni Editore) di facile lettura ma carico di tensione emotiva, ove si mescolano con garbo pagine drammatiche della storia italiana dell’ultimo mezzo secolo, la strategia della paura, la nascita delle formazioni politiche che si posero alla sinistra del Pci, teneri ricordi familiari e singolari aneddoti.

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Loris Campetti

Una vicenda paradossale quelle delle armi di Fiungo, una palese montatura che faceva acqua da tutte le parti sin dall’inizio, all’epoca utilizzata, come poi sarà accertato, per far lievitare la teoria degli opposti estremismi. Una storia vergognosa che tuttavia andrà avanti in sede giudiziaria per ben cinque anni, pervenendo infine all’assoluzione con formula piena dei quattro imputati, tra i quali, appunto, Loris Campetti, ma senza mai arrivare ad una soluzione definitiva a proposito degli autori del depistaggio. Le accuse iniziali sono gravissime, tali da far tremare le vene ai polsi. Si parla, oltre alla detenzione illegale di armi, di organizzazione terroristica dell’estrema sinistra finalizzata a sovvertire le istituzioni dello Stato e già pronta a colpire magistrati, imprenditori, esponenti delle forze dell’ordine, avversari politici. I capi vengono individuati in base alla decrittazione di alcune pagine di un libro di Regis Debray (“Rivoluzione nella rivoluzione”) trovate insieme alle armi, addirittura con un cifrario bello e pronto a disposizione degli inquirenti. Loris, allora fresco di laurea in chimica, politicamente impegnato a sinistra del Pci, viene qualificato addirittura come commissario politico di questa pericolosa frangia della lotta armata, che a livello nazionale già cominciava a venire alla luce con i suoi sinistri e lugubri bagliori. La successiva perquisizione a casa sua porta alla scoperta di una carta dell’Istituto Geografico Militare che riguarda l’area tra Camerino e Fiungo, acquistata poco tempo prima a Firenze per andare a funghi in quella zona, che ridicolmente diventerà un indizio a suo carico. Dei quattro pretesi capi della presunta organizzazione, due vengono arrestati qualche settimana dopo, gli altri due, tra i quali Loris, decidono che, vista l’aria che allora tirava in Italia, era meglio far perdere almeno per qualche periodo le proprie tracce onde evitare misure restrittive, che peraltro nei loro riguardi non arriveranno mai. Comincia allora, a bordo di una scassata Fiat Cinquecento gialla, la latitanza, raccontata nel libro anche con una certa ironia, cinque mesi circa vissuti tra momenti di angoscia e situazioni paradossali, durante i quali non tarda ad emergere la solidarietà umana e politica di chi, già a prima vista, capisce che quelle armi rivenute a Fiungo sono lo strumento dell’ennesimo depistaggio, dell’ennesima deviazione dei servizi segreti in quell’epoca, almeno in alcuni settori, pericolosamente usciti dall’alveo della legalità.

Da questo momento in poi il libro segue due binari. Il primo concerne la ricostruzione attenta dei vari passaggi processuali della vicenda, che perverrà infine all’assoluzione dei quattro imputati con la formula più ampia e all’accertamento della responsabilità di settori deviati del Sid a proposito della creazione a fini di depistaggio del deposito di Fiungo. Un episodio forse minore, ma tuttavia risultato alla fine pienamente inserito in quella strategia della tensione che, con un cupo progetto eversivo e stragista, insanguinerà l’Italia, partendo da Piazza Fontana a Milano e arrivando sino alla strage di Bologna. I veri responsabili dell’arsenale di Fiungo, indagati solo a distanza di molti anni dopo una serie di inchieste e di rivelazioni effettuate da diversi personaggi dell’estremismo nero, se la caveranno grazie all’avvenuta prescrizione dei reati commessi. Tuttavia, sia pure in assenza della verità giudiziaria, la verità storica è riuscita, almeno in questo caso, a venir fuori in tutta la sua consistenza e la sua gravità. Con un tuffo nel passato che dice molto a chi ha vissuto quegli anni terribili di stragi e di morti violente, ecco infatti emergere dal libro, ciascuno con un suo ruolo ben delineato, i nomi dei generali Miceli e Maletti, degli ufficiali dell’Arma Labruna e D’Ovidio, della primula nera Stefano Delle Chiaie.

E poi, sull’altro binario del libro, interessantissima la ricostruzione della esperienza politica e di vita di Loris, che si intreccia con la storia di quella sinistra delusa dal Pci già nei primi anni Settanta, ma del tutto estranea al sovversivismo armato. Ecco allora i primi motivi di contrasto con quello che allora si chiamava il Bottegone, l’invasione russa dell’Ungheria, lo spietato centralismo democratico, la scissione del gruppo de “il manifesto”, le prime esperienze di politicizzazione dei militari di leva, le propaggini sindacali del sessantotto, il compromesso storico dopo il golpe del Cile, i primi embrioni del sindacato di polizia, il terrorismo rosso che imbocca una strada folle e disastrosa, il conflitto di genere che Loris si trova anche dentro casa. A fare da sfondo al libro di Loris Campetti, come detto all’inizio di queste brevi note, la rabbia, una rabbia sopita ma non ancora scomparsa, giusta e sacrosanta, contro una strategia di destabilizzazione politica che tanti danni ha creato al nostro paese e che tanto ha inciso in alcune vite singole.



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