Lo stretto rapporto tra cervello e intestino è uno dei temi chiave del libro Pancia in fiamme
di Leonardo Giorgi
Un rapporto medico-paziente che unisce Venezia a Camerino e che diventa prima amicizia e poi un “manuale di sopravvivenza in un mondo irritato”. È uscito nelle scorse settimane Pancia in fiamme, libro scritto a quattro mani da Paolo Sossai, docente del dipartimento di Scienze del farmaco di Unicam e primario di Medicina interna per 16 anni, e dal giornalista Elisio Trevisan, per vent’anni vicecapo cronista dell’edizione principale di Mestre de Il Gazzettino. Un libro che si definisce «necessario», a ben ragione. In equilibrio perfetto tra diario di vita e manuale di salute, viene approfondito il tema delle malattie del secolo: le malattie infiammatorie croniche intestinali, le cosiddette “Mici”. Una sigla dal suono vagamente tenero, ma che nasconde in realtà patologie capaci di segnare da un punto di vista fisico e psicologico vite intere. Nelle pagine del libro, come un intestino che piano piano trova il suo regolare funzionamento, si muovono le riflessioni lucide di un uomo che indaga le ragioni profonde di un mondo e un’umanità sempre più infiammati, alternate alle cure e alle terapie di un medico che si affianca all’urgenza di risolvere la vita inaccettabile di un paziente. Il tutto con un linguaggio crudo senza sconti e senza censure, proprio perché una delle tematiche del libro è l’invito ostinato a prestare attenzione alle voci del nostro corpo e, come si legge nel libro, dell’ambiente che ci circonda, spesso infiammato tanto quanto il nostro intestino: «Non sempre i pazienti comprendono fino in fondo la portata della loro malattia e le conseguenze sulla loro vita – scrive il professor Sossai a metà libro -. A volte combatti contro orecchie che non vogliono sentire. Ma se non sono le orecchie ad ascoltare, è poi il corpo ad imporre un proprio suono. Che non ammette ritardi o repliche incomplete». Un libro che vuole essere dedicato a tutti, a prescindere dalle proprie condizioni di salute. Soprattutto in un momento storico in cui l’umanità è alle prese con l’infiammazione pandemica del Covid-19 (tanto che nella quarta di copertina, quasi in modo profetico, dato che il libro è stato scritto prima dell’emergenza Coronavirus, si legge di «un secolo in cui le infiammazioni mietono più vittime delle rivoluzioni del Novecento»). Grazie anche alle brillanti intuizioni narrative di Elisio Trevisan (tratte dalla sua vita, in un magistrale esempio di letteratura non-fiction), scopriamo con esempi concreti lo stretto e a tratti “infame” collegamento tra l’apparato digerente e la nostra emotività. Racconta, il giornalista, l’inferno scatenatosi sulla sua pancia il giorno in cui assistette in prima linea alla tragedia del traghetto Moby Prince, nella notte tra il 10 e l’11 aprile 1991, dove persero la vita 140 persone: «Mi sono sempre chiesto quale sia stata la scintilla che ha infiammato il mio intestino con un fuoco inestinguibile, quali divinità si siano scontrate e sfregate o che cosa possa aver fatto io per provocarle. Cerchiamo sempre risposte a ciò che ci turba e ci fa soffrire, e se la ragione si rivela impotente, c’è sempre la religione con le sue ricette, fatte di colpe, pentimento e riparazione, e una guarigione postuma, più raramente un miracolo, ma quell’11 aprile in bagno pensai che solo un capriccio poteva aver spinto divinità annoiate a far scontrare le due navi».
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