Addio all’eroe della Resistenza:
scompare a 94 anni Vincenzo Maggiore

CINGOLI - Si è spento ieri sera nella sua abitazione. Nel 1943 si era arruolato nel Corpo italiani di Liberazione. Per 40 anni è stato carabiniere. Aveva raccontato la sua storia all'Anpi e gli scontri in prima linea con i tedeschi a Cassino: «Sopravvissuto per miracolo, la guerra è la cosa peggiore che gli uomini possono fare»

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Vincenzo Maggiore

 

di Leonardo Giorgi

Se ne va un eroe della Resistenza. E’ scomparso ieri sera nella sua abitazione, a Cingoli, a 94 anni, Vincenzo Maggiore, patriota e antifascista, combattente nel Corpo italiani di Liberazione dal 1943. Vincenzo, che per 40 anni è stato carabiniere, era originario di Lecce. Dopo aver vissuto per un periodo a Castelfidardo, si è spostato a Cingoli. Qui ha cresciuto le due figlie, Ilde e Rossella, stimatissime insegnanti della scuola primaria del territorio. I funerali di Vincenzo Maggiore si celebreranno, in forma strettamente privata, domani alle 10 nel cimitero di Sant’Esuperanzio di Cingoli. La vita di Vincenzo è stata ricordata con profondo cordoglio dall’Anpi di Cingoli e Apiro, a cui l’ex militare era iscritto. Maggiore, tempo fa, aveva raccontato la sua storia all’associazione: «Sono partito volontario il 2 novembre 1943 e sono stato mandato in prima linea, in montagna, sul monte Marrone, vicino Cassino. Lì ci fu una lunga battaglia e tanti italiani, polacchi, inglesi, marocchini, indiani, vennero uccisi. I tedeschi si trovavano fra monte Cassino e monte Lungo. Avevano fatto la loro postazione sul colle davanti a monte Cassino e avevano posizionato tre mitragliatrici: una a destra, una a sinistra e l’altra al centro, per sparare a ventaglio. I nostri soldati sono stati uccisi a centinaia. Io mi sono salvato per miracolo. Di cinquemila che eravamo, siamo rimasti circa mille uomini». Una storia di forza di volontà e coraggio, che hanno portato Vincenzo a vivere momenti di assoluta drammaticità, in contatto quotidiano con la morte, e di totale abnegazione. «Sopra monte Lungo c’era un altro monte più alto, chiamato monte Marrone. Un nostro reparto, formato da una trentina di uomini, si era appostato lassù, dove c’era un osservatorio che controllava le valli per vedere i movimenti delle truppe tedesche. A gruppi ci eravamo nascosti in delle buche per osservare la vallata. Ad un certo momento abbiamo visto i tedeschi che si avvicinavano. Il nostro caporale mi ha dato un biglietto da portare all’osservatorio che stava più in alto, da dove era possibile chiamare l’artiglieria italiana. Io sono uscito fuori strisciando. Dopo neanche venti metri, l’artiglieria tedesca ha cominciato a bombardare e una bomba è caduta nella postazione dove stavo io: eravamo quattro; i tre che erano rimasti nella postazione sono saltati in aria e quando è scoppiata la bomba, io sono svenuto, fino a che la Croce Rossa non mi ha portato all’ospedale da campo. Naturalmente l’artiglieria italiana ha risposto al fuoco e, dopo una lunga battaglia, i tedeschi cominciarono a ritirarsi, lentamente». Ma nonostante le imprese e i racconti di battaglie che per tutta la vita ha custodito con sé, Vincenzo ha sempre sottolineato come la guerra, a prescindere da vincitori e vinti, sia «sempre ingiusta. La guerra è la cosa più brutta che l’uomo può fare. In guerra la morte non rispetta nessuno: gli uomini muoiono da tutte le parti, non c’è una bandiera che ci può salvare dalla morte e dalla distruzione». Un concetto che Vincenzo ha sempre tenuto a mente, anche quando si trattò di vedere gli uomini, oltre ai nemici: «Mentre eravamo in perlustrazione lungo il fiume Musone, siamo entrati a controllare una casa di campagna. Lì c’erano delle botti. Noi abbiamo sentito un rumore: una botte si muoveva. Allora ci siamo avvicinati, abbiamo alzato i mitra, quando, all’improvviso, un tedesco è uscito fuori dalla botte: diceva che non voleva essere ucciso, perché era sposato, aveva dei figli. Noi lo abbiamo fatto uscire e preso come prigioniero».



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