Mario Monachesi
di Mario Monachesi
“Saccu svutu no’ sta in piedi”. Ecco allora che le mamme e le nonne di un tempo, specialmente per la colazione di figli e nipoti abbastanza gracilini, sottopeso o in crescita, accorrevano co’ l’ou sbattutu. Cunusciutu anche come savajó o zavajó’ (zabaglione). Rcordu un’ou friscu, ancora callu, jó lu pujà’, lo ruscio, asséme a ‘n po’ de zucchero, vinia sbattuto co’ la cucchjara dentro ‘na tazza. Uttinuta ‘na crema jalla, ce se ‘gghjugnia (aggiungeva) quarghe goccia de marsalla (marsala) o fèrochina (ferrochina) e la midicina miracolosa pe’ li vardasci da sostenè era pronta”. “Pillole (uova) de gajina, sciroppu de cantina (vino o altri liquori) e veretta (cappello) in testa, manna lu medicu a fa’ festa”. “Sciroppu de cantina, pillole de gajina e bon mantellu, manna lu medicu a fasse vellu”. “Quanno tutti li ritroati de ogghj non c’era”, le merendine, la Nutella, i cornetti, i bomboloni, le brioches, i cappuccini, gli integratori di ogni tipo e gusto, ecc, erano ancora un sogno, “l’ou sbattutu, ma anche sbusciatu e succhjatu da la coccia, era la sarvezza e la viguria de li frichì”. Questa vecchia usanza (o ricetta) dette origine anche a diversi liquori, ad esempio il Vov (1845) e lo Zabov (ultimo dopoguerra).
Lo zabaglione vanta secoli di storia. Una bevanda simile sembra fosse già nota nel 1533, quando, in forma ghiacciata, veniva servita alla corte di Caterina de’ Medici. Altre notizie raccontano che sia stato creato nel 1471 vicino a Reggio Emilia. Si narra che il capitano di ventura Giovan Paolo Baglioni, conte e signore di Perugia, arriva e si accampa alle porte della città. A corto di viveri manda i soldati a razziare la campagna, ma il raccolto è scarso, solo uova, zucchero, qualche fiasco di vino e erbe aromatiche. In mancanza d’altro fa mescolare il tutto e lo da al suo esercito al posto della solita zuppa. Alla crema ottenuta, visto che il capitano viene popolarmente chiamato “‘Zvan Bajoun'”, viene prima dato il nome di “Zambajoun”, poi Zabaione ed infine Zabaglione. Un altra leggenda afferma che questo preparato è stato inventato nel XVI secolo a Torino e chiamato dapprima “crema di San Baylon”, successivamente “Sambayon” in ricordo del francescano San Pasquale Baylon, protettore di cuochi e pasticceri, che sembra lo consigliasse alle sue penitenti come rimedio per i mariti “stanchi”. La più antica ricetta conosciuta sembra arrivi da Mantova (1662) e la si deve a Bartolomeo Stefani, cuoco di corte dei Gonzaga: “Per far Zambalione si pigliarà ova fresche sei, zuccaro fino in polvere libra una e meza, vino bianco oncie sei, il tutto si sbatterà insieme…”. Se nell’antichità il significato dell’uovo nei sogni era decisamente negativo, legato alla morte, per Freud e Jung è invece simbolo di vita, di fecondità, di pienezza e nascita di qualcosa. “La gajina che canta ha fatto l’ou”. “Non c’è gajina né gajinaccia che de jennà’ l’oe non faccia”. “‘Gni trista pollastra fa l’oe de Pasqua”. “Ogni ou contène circa 80 calorie, riccu de sostanza ma no’ de grassi cattii, è nutriente. Pe’ esse friscu deve esse callu. Quanno la gajina vutta le piumme non feta più e ogni par d’anni (paio di anni) va’ rennoate”.
“Atri ricostituenti dell’epoca, otre a la Marsalla (Marsala) all’ou (o Cremovo, Floriovo, ecc) e la Ferochina (Ferrochina Bisleri o Guastì): “Pe’ malati c’è la China, ma pe’ bischeri ‘n c’è medicina”, era l’ojo de fegatu de merlucciu e la carne de cavallu. Un cucchjarì’ a jornu de ojo de fegatu de merlucciu facia vè’ a li fiji” affetti da carenze nutritive a causa della povertà del tempo, rafforzava le difese immunitarie, contrastava l’artrosi, rafforzava “li capiji e l’ogne (unghie). Era un valido rimedio contro il rachitismo, difetto di calcificazione ossea causato dalla mancanza di vitamina D. In passato molti bambini ne hanno sofferto, compreso Giacomo Leopardi. “La carne de cavallu dacia forza, ricca de fero” e povera di grassi, era particolarmente energetica, dal sapore dolciastro, costava “mino de la carne de vaccina” (vitella /o), vinia vinnuta” in negozi specializzati. Nonostante facia vè’ a li vardasci, era ‘n’ajutu su lu sviluppu, tra il 731 e il 741, Papa Gregorio III la vietò definendola “Immundum et execrabile”. Anche il successore, Papa Zaccaria, la vietò.
La mia prima supplenza fu in una pluriclasse di campagna nel maceratese. Al momento della ricreazione bussano alla porta: una mamma con in mano una tazza dice" Scusi signora maestra ma stamattina non avevo niente da dargli per merenda al bambino , gli ho portato un ovetto sbattuto!" Anno 1982, neanche tanto tempo fa Bei ricordi...
In campagna era una cosa normale aiutare il figlio gracilino con una colazione energetica e sostanziosa e siccome per me era troppo dolce mia madre ci aggiungeva un pò di caffè d'orzo e così lo gustavo con più piacere .
Avendo la possibilità di acquistare direttamente uova di campagna capita a volte di avere voglia di dolce e io e mio marito ce lo prepariamo con un pochino di marsala.....é come tornare bambini
Era una goduria....
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