Le “appassionate visioni”
di Elvidio Farabollini

IL CENTRO STUDI MARCHE ricorda l’artista treiese a mezzo secolo dalla immatura scomparsa con una mostra a cura di Paola Ballesi

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Elvidio Farabollini (Treia 1930 – 1971)

 

Nell’avvicinarsi del cinquantenario della scomparsa del pittore, disegnatore e incisore treiese Elvidio Farabolini (1930-1971), avvenuta improvvisamente a pochi giorni dal suo quarantunesimo compleanno, il Centro Studi Marche di Roma ricorda l’artista con una retrospettiva promossa in collaborazione con l’associazione maceratese Amici di Palazzo Buonccorsi per presentare le tappe salienti del suo lavoro. “Appassionate visioni” – questo il titolo della mostra, a cura della professoressa Paola Ballesi – sarà inaugurata giovedì prossimo, 23 gennaio alle 8 a Roma presso i Musei di San Salvatore in Lauro, nell’omonima piazza, sede del Pio Sodalizio dei Piceni e rimarrà esposta al pubblico fino al 4 febbraio.

L’avventura artistica di Elvidio Farabollini, preceduta da inequivocabili segnali di bisogno espressivo manifestati durante gli anni delle elementari – è stato scritto che “quando la madre lo metteva in castigo, graffiava con le unghie l’intonaco del muro, rappresentando in preferenza cavalli” – era iniziata nell’immediato secondo dopoguerra quando all’età di 16 anni si iscrive ad Urbino all’Istituto statale di Belle Arti delle Marche per la decorazione e l’illustrazione del libro, che frequenta fino al conseguimento nel 1951 del diploma di Maestro d’arte con la qualifica di “Ornatore del libro”. In quegli anni frequenta lo stesso istituto anche il suo coetaneo Nino Ricci e tra Farabollini e il pittore ed incisone maceratese nasce una solida “amicizia fatta di complicità ed entusiasmo all’insegna dell’arte, di progetti e sogni di gioventù” che si consolida anche negli anni successivi quando entrambi frequentano l’Accademia di Belle Arti a Roma. Nel 2001, in occasione del XXXVII convegno di Studi Storici Maceratesi all’Abbadia di Fiastra, che quell’anno aveva per tema “Cultura e società tra il 1915 e il 1970”, fu proprio Nino Ricci a ricordare Elvidio Farabollini del quale ricorreva il trentesimo della morte. “Farabollini – scrive Nino Ricci negli atti del convegno – univa alle innate qualità del grande disegnatore un alto senso dell’ironia, la strepitosa padronanza del segno e una capacità sperimentale che lo portò a raggiungere traguardi notevoli nella realizzazione di stampe a più colori con una sola battuta. (…) Nel chiuso del laboratorio di Elvidio ricavato a piano terra della sua casa a Treia – sc4ive ancora Ricci – assistevo curioso a tutte le evoluzioni tecnico-artistiche che compiva, all’inseguimento del sogno che ci accomunava. Volevamo spingerci un po’ più avanti, insofferenti alle regole e ai precetti canonici”.

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Una delle opere che saranno esposte nella mostra a cura di Paola Ballesi

Paola Ballesi, nella presentazione della mostra ricorda che “determinante per il giovane Farabollini fu l’insegnamento di Mino Maccari, suo professore di tecniche dell’incisione, che anche nell’attività didattica manifestava avversione alla retorica accademica e le mode esterofile (…). Di fatto, la robusta formazione sulle possibilità espressive del linguaggio grafico diventa prodromica per gli sviluppi futuri del lavoro dell’artista treiese che prende le mosse proprio dalla pratica incisoria che insieme al disegno sarà sempre dominante nella sua produzione e banco di prova delle sue sperimentazioni”.
Nel 1957 Farabollini ritorna definitivamente a Treia convolando a nozze con Anna Bartoloni, insegnante elementare, che gli darà due figli: Franca Laura e Piero (attuale commissario straordinario per la ricostruzione post-terremoto). “E proprio il vivere appartato nella quiete paesana – ricorda Paola Ballesi, che giovedì presenterà a Roma la mostra retrospettiva – preserva Elvidio Farabollini dalle mode e dalle tendenze che si accavallano tumultuose tra la fine degli anni anni Cinquanta e per tutto il decennio successivo. Anzi, lo splendido ‘isolamento’ lo stimola sempre di più a scavare nella ricerca artistica per trovare le forme espressive più idonee a rappresentare le angosce che affliggono l’umanità, incombenti anche in quei mitici anni del Boom economico, delle rivoluzioni sociali e delle proteste libertarie. Un tarlo esistenziale che i cangianti messaggi delle réclame pubblicitarie, specchio di una società ormai lanciata sulla via del consumo e dell’omologazione, non sempre riuscivano a nascondere o a mascherare”.

(A.F.)

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