Giuseppe Scauda
Ricorre alla giustizia civile e penale per vedere riconosciuti i suoi diritti e dopo aver avuto soddisfazione a distanza di 4 anni viene sospeso. Si riapre la vicenda che alcuni anni fa vide protagonista l’ex direttore provinciale dell’Agenzia delle Entrate di Macerata Giuseppe Scauda diventato caso nazionale in merito agli incarichi dirigenziali oggetto di una sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimi i dirigenti nominati senza regolare concorso. A Scauda fu revocato l’incarico e negata la retribuzione di risultato per l’anno 2014. Una vicenda lunga e tortuosa che si riapre oggi perchè Scauda è stato oggetto di un provvedimento di sospensione di 5 giorni (dal 23 al 27 ottobre) dal servizio e dalla retribuzione per aver utilizzato nella denuncia penale del 6 ottobre 2015 “modalità di esposizione e di espressione che sembrerebbero oltremodo superare il limite di verità e continenza riconosciuto e garantito dal diritto di critica e di libera manifestazione del pensiero”. Il funzionario intende ora rivolgersi anche al Giudice del Lavoro per opporsi a quello che ritiene un provvedimento ingiusto e persecutorio, tanto da chiedere ancor prima una indagine amministrativa interna: «La mia è diventata oramai una posizione ingombrante, avendo superato un concorso ordinario a dirigente, sebbene la solidarietà mostratami da alcuni colleghi suscita in me grande apprezzamento. Pensavo fosse una vicenda chiusa dopo l’archiviazione nei confronti dell’ex Direttore Regionale delle Marche per il quale non è stato riscontrato dolo per avermi negato la corresponsione degli emolumenti, ma ora mi accusa di aver utilizzato un linguaggio eccessivo, tra l’altro rilevato da scritti redatti insieme al mio legale di fiducia. Per difendermi dalla contestazione disciplinare, ho ricercato tra gli atti istruttori dei procedimenti penali di Roma e di Ancona e sono emerse illeciti che ho segnalato alla Direzione Centrale Audit per l’apertura di una nuova inchiesta. Intendo tutelare la mia immagine e correttezza professionale al di là del danno economico».
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Il diritto di critica finisce quanto subentra il non diritto di chiamare le cose come sono o come stanno senza usare mezzi termini o termini annacquati per evitare la classica denuncia per calunnia. Questo suscita nella parte avversata il diritto di sentirsi oltraggiato allorché pur dicendo il critico la verità o almeno quella che per lui è, a cui è giunto dopo aver attentamente osservato il comportamento del pseudo calunniato e verificatone gli accessori ( professione, finta professione, ruolo pubblico e privato). Quindi va da se che se qualcuno mi appella per quello che effettivamente sono, per la legge non si può dire e quindi posso procedere a querela vincendola per forza di cose. Provate a dire ciarlatano ad un ciarlatano e vi ritroverete a pagarne le conseguenze. Certo il ciarlatano può anche non denunciare ma non, parafrasando una canzone di De Andre: quando sono in alta uniforme. E molti sono quelli che anche in canottiera si sentono già in alta uniforme per il ruolo che coprono ma non è detto che poi lo siano effettivamente non solo in canotta ma anche vestiti di tutto punto.. Come diceva il grande maestro Leonida Rubistein: Non ti puoi nascondere dietro le parole se qualcuno te le tira, sono poco ingombranti, puoi prenderle e gettarle via ma tanto quelle ti seguono e anche se gli alti non le vedono tu te le senti addosso, attaccate sulla pelle e per quanti sforzi fai non riuscirai mai ad eliminarle.
https://www.huffingtonpost.it/entry/sui-social-non-e-reato-per-il-pm-le-offese-a-fedez-e-ferragni-vanno-archiviate_it_5db00317e4b0f34e3a7ebb97