Gli squilibri del modello di sviluppo:
«Torniamo ai negozi di quartiere»

L'INTERVENTO di Loris Tartuferi, dottore commercialista, fondatore e presidente onorario di Banca Macerata
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Loris Tartuferi

 

di Loris Tartuferi*

In questi ultimi decenni abbiamo vissuto veri e propri cambiamenti epocali indotti dai continui progressi scientifici e tecnologici che hanno comportato sostanziali modifiche alle abitudini ed agli stili di vita attuati in precedenza. Tanto da poter affermare che ciò che si è verificato in detto periodo relativamente breve appare di portata ed importanza complessiva addirittura superiori, in taluni settori, a quanto era avvenuto nel corso di molti decenni precedenti. Ciò ha quindi certamente prodotto grandissimi benefici alle popolazioni che ne hanno potuto usufruire, ma ha anche causato ad una gran parte delle stesse importanti squilibri, grandi problemi e difficoltà di vario genere. Tra i grandi benefici si devono annoverare in primo luogo i progressi della scienza che, tra l’altro, hanno enormemente migliorato la salute e le condizioni di vita delle persone allungandone di molto la durata media, anche se si spera possa essere vissuta in futuro in condizioni meno precarie delle attuali.

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Siamo davvero sicuri invece che anche la rivoluzione sistemica tecnologica, avvenuta con la digitalizzazione di gran parte delle attività, con l’attuazione delle comunicazioni in tempo reale e con la conseguente globalizzazione di ogni attività sociale, economica e finanziaria, produrrà soltanto effetti benefici? Pur con ogni ovvia riserva derivante dalla fase di sviluppo di una situazione che di certo non sappiamo ancora dove in futuro potrà assestarsi, e comunque facendone salvi alcuni importanti aspetti fondamentali di indiscutibile progresso, allo stato sembrerebbe proprio di no! Per un motivo molto semplice: le nostre capacità non appaiono al momento in grado di poter gestire adeguatamente, senza che si debbano creare sempre più “figli e figliastri”, le risorse che derivano dagli sviluppi delle situazioni, le quali tendono ad essere sempre più condizionate ed indirizzate dal “dio” danaro e dalla brama di ricchezza.

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Rifiuti abbandonati

Non si deve infatti dimenticare che gran parte della ricchezza mondiale è posseduta da una minoranza della popolazione che ha la possibilità di guida e di condizionamento di tutti gli altri.  Il modello di sviluppo sociale che ne deriva, in cui siamo costretti anche in conseguenza del vorticoso aumento della popolazione mondiale, sottintende e autoproduce la necessità di espandersi continuamente ed è fondamentalmente incentrato sul “consumismo” e sulla prevalenza della finanza rispetto all’economia reale. Com’è noto il consumismo, indotto dalle trascinanti campagne pubblicitarie, tende ad una produzione di massa sempre maggiore e diversificata di beni e servizi, anche se in parte superflui per i bisogni essenziali. Tanto che viene prodotto ed immesso sul mercato non più quello di cui c’è realmente bisogno, bensì ciò che è necessario consumare per sostenere l’economia delle imprese e tentare di salvaguardarne l’occupazione, che, ciononostante, ha comunque i suoi grandi problemi. In un mercato globalizzato, dove la comunicazione indirizza sempre più i comportamenti della gente, ciò comporta l’inevitabile tendenza alla continua crescita del cosiddetto “usa e getta”, il cui utilizzo ci riempie di rifiuti che non sappiamo ancora bene come gestire, e la cui sempre crescente produzione contribuisce in modo significativo, come dicono gli esperti, al grandissimo problema del riscaldamento del globo terrestre.

divario-ricchi-poveriIl modello risulta poi altrettanto discutibile perché, per conseguire da parte delle imprese la capacità di essere presenti e svilupparsi sul mercato globale, esso richiede una continua crescita della dimensione di gran parte delle attività economiche, finanziarie e di servizi, necessaria per la loro espansione, che tuttavia viene resa di fatto possibile soltanto alle aziende più grandi che dispongono delle necessarie risorse di capitale.  Di conseguenza, il modello di sviluppo tende da un lato ad ampliare sempre più la divaricazione tra coloro che detengono la gran parte della ricchezza mondiale e tutti gli altri che debbono sottostare alle loro scelte e, dall’altro lato, quella che corre tra i pochi che sono in grado di attuare e gestire le scoperte tecnologiche e tutti gli altri che ne restano a rimorchio. Entrambe le categorie, sempre più spinte ed indirizzate dalla (legittima) rincorsa al benessere, non sono razionalmente portate a considerare i gravi impatti negativi che con le loro attività e le loro scoperte si producono sul piano sociale e della difesa dell’ambiente, in cui le conseguenze invece si generano automaticamente per l’effetto di trascinamento provocato in noi sprovveduti consumatori attirati e conquistati dal martellante invito al consumo dei prodotti delle loro attività.

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Bottega maceratese

Se tale visione ha un fondamento di realtà, si può dire in estrema sintesi che il modello di sviluppo in atto crea grandi squilibri, ci condiziona totalmente, acuisce sempre più le differenze tra le due consolidate categorie degli esseri umani, i potenti e tutti gli altri, e non assicura la capacità di gestione e di risoluzione dei grandi problemi che esso produce, anche all’ambiente naturale.  Appare quindi necessario che fin da subito si creino nelle comunità una maggiore consapevolezza, una sensibilità ed una coscienza critica, di modo che nell’attuazione del modello vengano esaminati i problemi che ne derivano e neutralizzate le loro conseguenze. Diversamente non sarebbe forse preferibile ritornare ad una visione più realistica della vita, più semplice, meno complicata, meno convulsa, più corretta, più equilibrata, e un po’ più alla portata di tutti, per ritrovare maggiore serenità, darsi più tempo per crescere (se lo si vuole), rispettare la natura e ripristinare la sua indiscutibile preminenza sugli interessi delle persone?  In altri termini, naturalmente soltanto a mo’ di provocazione e di simbolico esempio, perché non tornare ad una vita caratterizzata dai vecchi piccoli negozi di quartiere, dove si trovava di tutto, ci si conosceva tutti e regnava molto di più l’amicizia e la serenità tra le persone, rispetto ai sopraggiunti mega centri commerciali, dove, pur trovando forse qualche maggiore comodità, restiamo semplici numeri e contribuiamo a far sparire il piccolo commercio ed a far morire i piccoli centri abitati?  Perché non tentare di conseguire una visione e comportamenti più realistici e davvero utili nell’uso delle tecnologie, e quindi rifiutare di farsi trascinare nei moltissimi aspetti negativi insiti nelle stesse, che in gran parte addirittura rischiano di offuscare la nostra coscienza sociale?

In attesa che gli stati sovrani si decidano ad affrontare gli evidenti problemi non più solo a chiacchiere, appare indispensabile attuare dal basso almeno un’azione non più rinviabile: siano i comuni mortali, che non possono non essere consapevoli e preoccupati della situazione, ad attuare un giudizioso cambiamento dei loro stili di vita, di modo che si ritorni ai consumi necessari e non sia l’insensata produzione di ogni sorta di beni e servizi sostanzialmente inutili a formare ed a condizionare il mercato e non farlo diventare del tutto drogato.  In caso contrario, proprio nell’ovvia convinzione di non poter arrestare il vero progresso, prima o poi, volenti o meno, potremmo essere comunque costretti a subire azioni di forza per tentare di salvare il salvabile. Anche perché, nel succedersi del suo corso, la storia ci ricorda e ci richiama il pericolo dell’inevitabile passaggio a lunghi periodi bui e di forte decadenza dopo quelli un po’ scellerati vissuti in un clima di lassismo etico/sociale.  Dopo i benefici cambiamenti epocali che derivarono dalla rivoluzione culturale del 1968, non siamo purtroppo riusciti a gestire razionalmente i relativi sviluppi che, come spesso accade, non hanno trovato la necessaria “giusta misura” ed hanno quindi travalicato molti limiti.

Tanto che, a cominciare da allora, sono stati causati quei danni che restano forse i nostri mali maggiori: sotto il profilo economico l’entità dello spaventoso ammontare del debito pubblico tuttora in continua crescita e, sotto il profilo etico sociale, la continua e per ora apparentemente irrecuperabile decadenza e perdita di dignità della nostra comunità nazionale, che, con il precedente “miracolo economico” seguito alla fine della guerra, erano state da poco faticosamente recuperate e ristabilite. Molti potranno legittimamente pensare che quella descritta è la visione di un inguaribile “conservatore”, perché non considerarla invece una visione “progressista” e di sviluppo derivante dalla consapevole necessità di difesa di ogni indispensabile equilibrio?
Quali protagonisti del futuro, intuendo i gravi squilibri che il modello di sviluppo attualmente in atto comporta, dovranno essere i nostri giovani, a ciò inevitabilmente deputati, a rendersi conto dell’urgente necessità di contrastare l’attuale stile di vita e di riequilibrarne gli aspetti etici, sociali, economici, finanziari ed ambientali, gravemente compromessi dalle colpevoli superficialità e dai conseguenti errori delle precedenti generazioni.

*Loris Tartuferi, dottore commercialista, fondatore e presidente onorario di Banca Macerata  



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