Lettera dello sceneggiatore Pier Paolo Piciarelli, all’amico Alessandro Valori, il regista di Macerata scomparso per un infarto lo scorso 9 settembre mentre era a cena. Aveva 54 anni.
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Caro Alessandro,
amico mio, e io adesso a chi telefono? A chi telefono per raccontare le ultime novità del mondo del cinema? E se ho voglia di ridere? O se sono semplicemente annoiato o felice? A chi telefono se devo sfogarmi perché ho discusso con la mia compagna? O per qualsiasi altra cosa di cui si poteva parlare con te senza dover misurare le parole, temendo di essere considerati poco affidabili, irresponsabili e stronzi, persino misogini? O peggio diseducativi, razzisti e omofobi, come ci dissero dopo la proiezione ufficiale di Chi nasce tondo, un film diventato improvvisamente – e insensatamente – scomodo agli occhi di alcuni individui che diedero prova di tutta la loro intelligenza definendo la nostra commedia in un modo così poco lungimirante.
Non riesco a trattenere le lacrime, soprattutto ora che, come mi hai raccontato nell’ultima telefonata, le cose a lavoro iniziavano ad andarti finalmente bene. Sarebbe stato bello rincontrarsi e riprovare a farne un’altra delle nostre: un workshop di cinema digitale, un cortometraggio, una “zingarata cinematografica” che non avrebbe apportato niente alle nostre carriere ma che sarebbe servita solo a farci sentire vivi. Quest’estate, in un dopo pranzo sonnacchioso d’agosto, ho rivisto il cinema lo faccio io! Ci avevamo lavorato con passione e dedizione neanche stessimo facendo una serie. Ho riso dall’inizio alla fine, come non avevo mai fatto. Ci leggevo finalmente tutta l’ingenua stronzaggine che ci aveva contraddistinto in quegli anni disperati, vissuti senza un euro in tasca, senza lavoro, ma con la dignità dei veri amanti del cinema. Ti ho chiamato e te l’ho detto. Eri stupito, felice, consapevole che quei tempi erano ormai andati, ma che forse un giorno, come ci eravamo ripromessi al telefono, ci avremmo riprovato. Di progetti ne avevamo fatti tanti, ma ce ne era rimasto uno che se ne stava da nove anni rinchiuso in un cassetto. L’ennesimo corto, forse il più folle, L’ultimo panda, scritto al Lido di Venezia, durante il Festival, con 42 di febbre in una stanza umida da morire, mentre lavoravamo ad uno dei tanti workshop della nostra vita. Era la storia di un panda vigliacco in un futuro prossimo segnato dagli stenti e dalla fame che alla fine, però, riusciva a fregare tutti e a sopravvivere; parlava in veneto, ma solo perché lo avevamo ideato lì. Era un nostro piccolo segreto clandestino, aspettavamo una risposta per un possibile finanziamento: sarebbe stato solo un gioco, niente a che vedere con le tue nuove prospettive di lavoro di cui andavi fiero. I nostri difetti li conoscevamo bene, erano tanti, ma questo non ci ha mai impedito di sognare qualcosa migliore di noi. Non so se ci siamo riusciti, probabilmente no, ma l’idea che sia ormai impossibile anche il solo provarci, mi toglie il fiato.
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Poesia visiva di Mario Monachesi dedicata ad Alessandro Valori.
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