La conserva de pummidori

LA DOMENICA con Mario Monachesi
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Mario Monachesi

 

 

di Mario Monachesi

“A tempi jiti se facia a casa”, sia in campagna che nei paesi. Dagli anni ’60 è stata soppiantata “da sarze e passate in buttija. Senza di’ che a comprà’ se ttroa ormai pummidori trasformati in centomila modi”. A pezzetini, a pezzettoni, lisci, ruvidi, “sbruzzulusi, ccunniti, sciapi, cciangalati, ecc, ecc. “Pommidoretto mio, pommidoretto / che fra le vrange verde fai l’occhjetto. / Pommidoretto mio, de bona razza / pari la guancia de lu mia regazza”. “Fa’ la conserva era un lavoru da donne, l’ommini ci-avia sci e no lu compitu de ‘ppiccià’ lu focu”. Se una donna, invece, aveva il ciclo mestruale, non si doveva neanche avvicinare, una diceria voleva che il concentrato non riuscisse bene. Rcapati, rlàati e spezzati, li pummidori vinia sprimuti” affinche perdessero l’acqua. Una volta bolliti dentro “lu callà su lu focu de lu camì'”, venivano passati in un setaccio (“stacciu” o “conciarella”), persi semi e pelle, venivano nuovamente messi a bollire fino a che quella sorta di crema rossa non avesse acquistato compatezza e colore bruno scuro.

POMODORI-2-325x320Una volta salata, veniva “spasa” (stesa) su delle tavole di legno e lasciata “a sciucca’ (ad essiccare) al sole per almeno tre giorni, girando, ogni tanto il tutto, “co’ la cucchjara de ligno”. Tagliata a panetti, veniva ulteriormente esposta al caldo del sole, poi ben unti, i panetti, “co’ l’ojo de jia”, venivano avvolti in fogli di carta oleata e conservati in recipienti di coccio o vetro. Questo risultato finale veniva chiamato “conserva nera”. “Na punta de cucchjara bastava per tegne de ruscio e ‘nsapurì'” sughi e minestre soprattutto nei lunghi e freddi mesi invernali. Il sugo di quei tempi era semplicissimo: “conserva, cipolla, selliru e un po’ de lardo”.

“Ogni agustu la spasa de la conserva su le taole vinia fatta ovunque, chj non ci-avia postu usava logghje, anguli de strade, finestre, terazze, perfino li titti. Vinia fatta su lo ligno perché lo ligno ‘ssorbe vène l’acqua. La sera le taole rvinia rposte (riportate dentro) e la matina rcacciate” (riportate fuori). Anche se, per evitare mosche e altri insetti, venivano protette con pezzi di tarlantana (garza di cotone a maglie larghe), i ragazzi avevano comunque il compito “de sta’ a guardia”. Nelle zone di montagna, dovevano prestare attenzione al rientro serale delle pecore perché “de conserva” erano ghiottissime.

pomodoriIl pomodoro è un frutto stagionale con punte massime di produzione ad agosto. Quindi sin dalla sua scoperta italiana, vi arrivò via Spagna, precisamente a Napoli durante la dominazione spagnola, divenne essenziale trovare un modo per conservarlo il più a lungo possibile. Ma fu il pasticciere francese Charles Nicolas Appert (1749 – 1841), con negozio in Rue de Quincam Poix a Parigi, a realizzare la prima conserva. Due le sue intuizioni fondamentali: “Il riscaldamento in acqua bollente e la chiusura ermetica del vaso in fase di bollitura. Piu o meno le stesse che alcuni anni prima aveva individuato l’abate italiano Lazzaro Spallanzani, ma lui non ne dette troppa diffusione se non in alcuni scritti dei suoi “Opuscoli”. Appert invece, nel 1804, ne fa oggetto di pubblicazione, aggiudicandosi così il premio di 12.000 franchi messo in palio dal Direttorio francese per chi avesse presentato il miglior progetto per la fornitura di alimenti conservati all’esercito francese. Nello stesso anno apre la prima fabbrica di conserve a Massy. In Italia il nome di spicco al quale fa riferimento l’industria conserviera della seconda metà dell’Ottocento è sicuramente Francesco Cirio (1836 – 1900). Nel 1875 apre il primo impianto per la lavorazione del pomodoro in Campania. Inizia così, anche nelle nostre campagne l’uso di far bollire a lungo il pomodoro tritato e privato di semi e bucce, fino ad ottenere una polpa densa e profumata, da asciugare e usare nei sughi.

La conserva prende così piede che anche la letteratura si interessa ad essa. Nei “Malavoglia” (1881) di Giovanni Verga donna Rosalina cuoce la cuoce con dedizione “che lei ci aveva un segreto tutto suo per avere la conserva dei pomodori fresca tutto l’inverno”. Anche nel “Mastro don Gesualdo” (1889), sempre di Verga, don Filippo Margarone rivolta “La conserva di pomodoro posta ad asciugare sul terrazzo”. La primissima ricetta della conserva di pomodoro è da attribuire agli Aztechi, che preparavano una salsa fatta con peperoncini rossi e verdi, semi di zucca, cipolle,e spezie varie. Testimonianze di questa tradizione culinaria ci arrivano da vari testi dell’epoca (inizio ‘500) redatti da europei, spesso missionari che si recavano li in viaggio.



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