di Marco Ribechi (foto di Fabio Falcioni)
Continuavano a ricevere tutti i lunedì messaggi rassicuranti sul futuro dell’azienda mentre ogni giorno al lavoro erano insulti, offese e persino minacce di morte. «Un inferno» è la definizione usata dai 44 lavoratori del Mercatone Uno di Civitanova per descrivere gli ultimi due mesi di attività che si sono conclusi con il fallimento della Shernon Holding detentrice del marchio.
I sindacalisti Michela Verdeccchia e Marco Squartini
«Abbiamo pianto, vomitato e avuto la febbre – dice Silvia Paoletti, impiegata negli uffici – ci hanno lasciato come carne da macello ad affrontare gli acquirenti che aveva pagato e non ricevevano la merce. I clienti ci minacciavano, uno è arrivato alle casse dicendo che ci avrebbe sparato mentre noi non avevamo ricevuto nessuna indicazione né strumento per fronteggiare questo caos. L’unica cosa che potevamo fare era prendere tempo». Ma Valdero Rigoni, amministratore delegato della Shernon Holding, continuava a sostenere che era pronta una ricapitalizzazione e che bisognava essere fiduciosi. «Ti confermo che ci stiamo dedicando esclusivamente alla nostra unica priorità: la capitalizzazione della nostra azienda, che potrà garantire un futuro e un lavoro stabile a noi tutti – si legge nell’ultima mail inviata a tutti i dipendenti, datata 14 maggio – Sto lavorando incessantemente sette giorni su sette, per portare a termine nel più breve tempo possibile il lavoro con gli investitori. Comprendo bene le ansie e le preoccupazioni; so che non è facile per te, per i tuoi colleghi e per le vostre Famiglie».
Elisabetta Gaetani, cassiera del Mercatono Uno di Civitanova da 20 anni
Ma proprio Rigoni, che come un politico 4.0 o uno youtuber comunicava tramite video su Whatsapp con i dipendenti, non si è mai degnato di conoscere il personale dell’azienda che aveva acquistato. «Ci sembrava strano che qualcuno avesse acquistato l’azienda senza mai parlare con i dipendenti – spiega Elisabetta Gaetani, cassiera da 20 anni nel punto vendita – Il nostro negozio era terzo in Italia per vendite, sono tantissimi i clienti che venivano infuriati. Avevamo il sospetto che qualcosa non andasse ma continuavamo a ricevere messaggini e email intestate personalmente a ognuno di noi che volevano rassicurarci, così abbiamo tenuto duro. Tutto questo è durato fino a una settimana prima della richiesta di fallimento». Il lavoro era sfiancante sia per chi era alle casse, sia per chi in ufficio rispondeva alle costanti telefonate, sia per chi lavorava proprio allo sportello di assistenza al cliente. «Eravamo in quattro allo sportello – spiega Cristiana Manzaroli – il lavoro era a ciclo continuo, avevamo sempre persone infuriate a cui non sapevamo cosa rispondere».
L’incontro di questa mattina tra sindacati e dipendenti
Le vicende del Mercatone Uno, presente a Civitanova con 44 dipendenti oggi senza certezze sul proprio futuro, partono dal 2015 quando, poiché già a rischio fallimento, era stato messo in amministrazione straordinaria dal Mise, Ministero dello sviluppo economico, dall’allora governo Renzi. «Gli amministratori dovevano trovare una soluzione per evitare il fallimento – spiegano Marco Squartini, segretario regionale Fisascat Cisl Marche e Michela Verdecchia Filcams Cgil Macerata – si dovevano trovare acquirenti e per tre anni i lavoratori sono stati in cassa integrazione o in contratti di solidarietà. Tre tentativi di vendita sono andati a vuoto fino ad agosto quando si è trovata una soluzione che sembrava ottimale ma che in realtà si è rivelata fallimentare poiché ha effettivamente portato al disastro finale». Gli amministratori straordinari nominati dal governo hanno così diviso il Mercatone Uno in due rami d’azienda: uno è andato alla società Cosmo che continua a lavorare ed essere operativa con svariati punti vendita mentre l’altro è finito proprio alla Shernon Holding di Valdero Rigoni che in pochi mesi ha accumulato debiti per milioni di euro lasciando 18mila clienti senza merce, fornitori senza pagamenti e 1.860 dipendenti senza lavoro. «La soluzione sembrava accettabile perché venivano tutelati i lavoratori e soprattutto perché era stata identificata dagli amministratori straordinari nominati dal ministero – spiegano i sindacalisti – invece ora ci ritroviamo in questa situazione molto grave e complessa».
I rappresentanti sindacali
La soluzione della vicenda è totalmente incerta ma si dovrebbe risolvere nei prossimi giorni. «Oggi ci sarà un incontro al Ministero con i fornitori – concludono Squartini e Verdecchia – si suggerirà cosa fare ma poi la decisione finale spetterà al tribunale di Bologna che dovrebbe concludere la prossima settimana. Una delle possibilità è ritornare in amministrazione straordinaria, con gli stessi o nuovi dirigenti. Il Ministero dovrà cercare nuovi fondi visto che dopo tre anni di cassa integrazione sono finiti gli ammortizzatori sociali. Questa potrà durare sei mesi o più a seconda se si deciderà di far ripartire o meno la macchina». Nelle Marche la situazione riguarda circa 120 dipendenti. Da quanto sostengono i lavoratori per il magazzino di Civitanova Alta non è mai stato pagato l’affitto mentre altri punti vendita avrebbero addirittura visto staccarsi le forniture dell’acqua perché non venivano nemmeno saldate le bollette. Intanto i dipendenti hanno indetto una manifestazione per sabato mattina.
L’ultima mail inviata da Valderio Rigoni ai dipendenti datata 14 maggio. Ognuna era indirizzata al singolo lavoratore (il nome è stato coperto per motivi di privacy)
Il lavoratori del punto vendita civitanovese
Beh vedo che come al solito i sindacati cercano di rassicurare i propri iscritti, senza sapere dove andare a parare. Intanto il Tribunale che ha dichiarato il fallimento è quello di Milano, quindi Bologna centra ben poco. Poi dire che si potrebbe tornare all' amministrazione straordinaria, dopo un fallimento dichiarato, mi sembra un enorme panzana, visto che il Governo non può annullare una decisione della magistratura. Poi per quanto riguarda le colpe, sicuramente la maggio parte sono del vecchio governo che non ha controllato bene questi signori nello sceglierli, ma un pò anche del ministro attuale che invece di controllare unitamente al proprio ministero cosa stessero combinando, ha pensato solo alle varie campagne elettorali, senza nemmeno buoni risultati ....
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Questa catena deve chiudere una volta per tutte e non attingere ancora una volta alle casse dello stato come ha già fatto. I dipendenti hanno gli ammortizzatori sociali e verranno assunti nei negozi che fino ad ora sono stati privati dei fatturati sottratti con concorrenza sleale proprio dalle grandi distribuzioni. Comunque quando hanno chiuso diversi negozi di mobili per causa loro nessuno ha battuto ciglio.
Ma per cosa studiano questi amministratori delegati ?? Come questa, anche in tutte le altre aziende che poi vanno ad amministrare. Lo studio del “taglio e chiudere”.
qui qualcuno sembra parlare come se dipendenti della grande distribuzione siano colpevoli delle strategie tipiche dei propri datori di lavoro e come se, magari a 40 o 50 anni, fosse uno scherzo trovare un occupazione che permetta di sfruttare la professionalita acquisita senza buttare all aria anni di sacrifici e impegno e senza, com è probabile, ricominciare da zero o rischiare di non ricominciare affatto.Non voglio esprimere qui quello che penso di questi signori, sarei passibile di querela.
A Mario è successa la stessa cosa qualche anno fa, a Luciano due anni fa, a voi adesso, a Sandro succederà fra un anno, magari primo o forse dopo. Che dire:” Mal comune mezzo gaudio?”. Oppure ” Mors tua , vita mea?”. O ” Oggi a me domani a te” e ” Tanto succede sempre ali altri”. Chi pensa quest’ultima dovrebbe farsi vedere da qualche buon ” sindacalista”. Quando commentate che un grand brand è diventato poco più che “na munnezza” perché a’ munnezza nun crea distrugge,appesta, pensate che a’ munnezza forse non la vedete ma lei sì che vi vede, magari cominciate a sentirne la puzza e allora a naso che si cominci a cercare di scoprire quale tubo di fogna è saltato.
Per Marinozzi. Scusi allora la grande distribuzione non può chiudere perchè ha i dipendenti mentre i negozi si? Non sarebbe una concorrenza troppo sleale secondo lei? I fondi per farli continuare a “lavorare” da dove dovrebbereo provenire? Sa benissimo credo che gli incassi non vengono investiti in Italia e le tasse non le pagano in Italia? Dove andremo a finire secondo lei di questo passo? Le tasse e il sistema economico italiano viene retto dai negozi e dalle piccole e medie imprese, non di sicuro da questi colossi che hanno rovinato l’economia e portato all’estero i capitali.
Non intendevo sicuramente, caro signor BELLESI, difendere l operato dell ennesima multinazionale arrivata in italia a fare i c..zi suoi, volevo solo sottolineare che la situazione di ulteriori 140 150 persone buttate in mezzo alla strada letteralmente dalla sera alla mattina non si risolvera in maniera cosi automatica come LEI propende, se mi permette, con un po di faciloneria e le prime notizie sembrano confermarlo