Quanno li rugni se magnava
anche ‘na orda a ghjornu

LA DOMENICA con Mario Monachesi
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Mario Monachesi

 

di Mario Monachesi

“Lo magnà’ pe’ la pora jente è sempre statu un problema”. Per le vergare di un tempo non era cosa di facile soluzione, “rimpjì’ li piatti per tre magnate a ghjornu”. Allora la cena veniva spesso risolta “co’ li rugni (cicoria) lessati, ‘ccunniti co’ sale e ojo, ‘ccompagnata da parecchjo pa’ (sennó chj te lu rimpjia lu stommicu) e un vecchjé’ de vi'”. Poi il rosario e a letto. “Ogni brutta cena, a lettu mena” (manda). “Spisso atro non c’era, o llì o a pantà'”. Tutt’alpiù, “quanno java grassa”, poteva esserci in aggiunta una, dicesi una, “fetta de ciausculu”.
La cicoria si trovava facilmente, “li contadì’ la somentava de marzu, tramenzo a l’erba mėlleca (erba medica), po’ come era pronta, la vergara, co’ un curtellacciu de cucina ne java a coje ‘na pannellata, o ‘na canestrata, a seconda de le persó…da sfamà’. ‘Na orda cotta e mista a taulì, se ‘vvanzava, se rmagnava a la matina pe’ colazió’, magari co’ accanto un ou sodu o ‘na sargiccia. Chj ghjava a fadigà’ fori, se la mittia tra menzo ‘na menza pagnotta de pa’, a postu de la mujica”, preventivamente tolta.

cicoria-2-325x243C’era anche chi ci condiva la polenta, o la rifaceva “strascinata” in padella. Era “lu piattu de li contadí'” e dei poveri in genere, costava niente e sfamava. Ai pranzi di comunioni, cresime e matrimoni, o in occasione “de feste recordate”, veniva invece servita “co’ abbondanti fiamminghe de prufumatu allesso de gajina”. “Li casannauli (che non ci-aia la tera, ma anche loro duvia magnà’), la jiava a coje lungo li greppi de le strade o in che pratu, quanno ne ttroava poca, scunfinava su che campu, ma gnisciù je dicia gnente”. Quando la cicoria, chiamata anche con l’ingeneroso nome “bruttona”, era ancora una pianta tenera, si coglievano le punte (puntarelle), per poi mangiarle crude “co’ le alici cunnite co’ ojo e sale”. Quando invece la pianta andava in cima, spezzettata la si univa all’insalata. Quelle volte invece che se ne trovava poca, veniva “mischjata co’ grispigne, sperane, papaole, ubjite, smoracce”, ecc, diventavano cosi le famose “foje mesteche” o erba mista.

cicoria“Rugni o non rugni, cicoria o non cicoria, mestecanza o non mestecanza, ai ragazzi non è che questo piatto “facesse tanto” (piacesse tanto), salvo poi riscoprire il tutto da adulti, come ė successo, e lo confesso, al sottoscritto. Di cicorie ne esistono parecchie varietà, e il suo nome, almeno in Italia, varia da luogo a luogo, oltre a “rugni” e “bruttona” (come detto sopra), viene anche detta: “erba cotta, erbetta, cicoria de campu, insalata matta, n’divia, cicuredda”, ecc. Il suo sapore amarognolo ė dovuto alla presenza di sostanze alcaloidi, povera di zuccheri, di carboidrati, priva di colesterolo, ė raccomandata per la protezione del fegato, dei reni, utile contro la sonnolenza, ha proprietà lassative, depurative, diuretiche e toniche. Non ha controindicazioni per celiachia e intolleranza al lattosio. Ricca di potassio, ogni 100 grammi contiene solo 23 calorie. A Roma si dice: “La cicoria der papa ė medicina”. Nel periodo Napoleonico, in Francia la radice della cicoria veniva usata come surrogato del caffė, abitudine che ben presto giunse in Inghilterra, Italia e Stati Uniti. “Sedano bevi poco, finocchio bevi spesso, cicoria bevi adesso”. Con un suo decotto si fanno gli impacchi per lenire le irritazioni cutanee.

La cicoria (Chichorium intybus, da un antico nome arabo), apprezzata da millenni, ė consumata e utilizzata fin dai primissimi tempi della storia umana e dalle più svariate popolazioni. Ė presente in Europa, Asia temperata, Africa settentrionale, ecc. In Italia se ne fa un uso abbondante nelle Marche, in Liguria e Puglia. Secondo l’Istat, la zona di maggior produzione marchigiana, si concentra principalmente nelle campagne della provincia di Macerata. Per la cicoria “Pan di zucchero”, San Claudio (Corridonia) ė il luogo di massima coltivazione. La cicoria viene addirittura citata, per le sue proprietà medicinali, nel papiro Ebers, il trattato medico egiziano risalente al 3° millennio a. C. Il grande naturalista Plinio il Vecchio, nella sua “Storia Naturale” ne decanta le virtù nevralgiche, dimetiche e stomatiche. I Romani durante i pranzi luculliani si facevano servire portate di cicoria. Il medico greco Galeno la definiva “amica del fegato”. Apicio la condiva con il miele.  Per tornare ai nostri giorni, la cucina odierna, con la cicoria annovera risotti, frittate, timballi e torte. Fave e cicoria ė un gustoso piatto pugliese. Secondo una credenza popolare la cicoria, soprattutto quella spontanea, sarebbe in grado di risvegliare l’eros. Sarebbe infatti un vasodilatatore naturale, capace di aumentare l’afflusso di sangue nell’organo sessuale maschile. Un tempo, questa commestibile pianta erbacea, era così “importante” che il suo nome ė finito anche in uno stornello:

“Fiore de cicoria,
li miei suspiri li mando per l’aria,
li vostri me li tengo per memoria”.



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