di Mario Monachesi
Fino a diversi anni fa, non c’era cucina di contadini che, oltre a tavolo, sedie e credenza, non avesse sistemata in un angolo “la mattera de lo pa'”. In italiano màdia, essa era una cassa di legno a forma di parallelepipedo su quattro piedi piuttosto alti, costituita da tavole assemblate in modo piuttosto elementare. Aveva un pesante coperchio e pochissime rifiniture. La parte superiore, aveva la “spianatora”, su cui si impastava il pane e la pasta, la parte inferiore, dotata di due sportelli, serviva invece come dispensa. Le vergare vi custodivano farina, lievito madre, fiaschi “de vi’ e d’ojo”, sale, spezie, “‘vvanzi de magnà'” e a volte, per chi non aveva “la taola” appoggiata in alto su due mensole, anche “le file de lo pa'”. D’inverno, per aiutare ” la massa de lo pa’ a levetasse”, vi si sistemava anche un piccolo scaldino.
Questo mobile, casereccio, costruito da falegnami locali, era diventato col tempo cosi importante e protagonista dell’arredo domestico, che non pochi erano i proverbi a lui dedicati o da lui ispirati:
“Se prima de Natà’ brina, / la mattera ė pjina”;
“De Natà’, / ogni mattera fa lo pa’, / ogni zozza va a rlàa”;
“Sparagna la farina, / quanno la mattera ė pjina, / che quanno lu funnu te ‘ppare, / non serve più sparagnare”;
“Il pane ben cotto, / sta bene nella madia e nel corpo”.
Un’antica leggenda ancora narra che “la mattera” possedeva delle virtù nei confronti dei bambini: “Se un frichì’ non criscia troppo in ardezza”, lo si faceva entrare nella màdia per qualche minuto e, le persone fuori, recitavano: “Se pozza levetà’ / come la massa de lo pa'”.
Màdia o cassa del pane, come la chiamava Leon Battista Alberti nel suo trattato “De re Adificatoria”, deriva dal latino “magida” che tradotto significa impastare, comprimere, lavorare la farina, non è altro che “l’erca farinòira”, antica “arca” del pane.
Nella memoria storica dei ricordi, “la mattera” (per alcuni anche “mattora”) era, e senz’altro ancora ė, il mobile più significativo ed evocativo della cucina dei nostri nonni. Costruita con legno di castagno, noce, pino o pioppo, la madia, un vero scrigno che ogni famiglia teneva pulito e ordinato, molto spesso lasciava intuire il ceto sociale della famiglia cui apparteneva. Se le linee semplici riconducevano a modeste famiglie di campagna, la “mattera” decorata, intarsiata e impreziosita di accessori vari apparteneva di certo a nobili e dinastie ricche.
Se la “mattera” era grossa, di ampie dimensioni (qualcuno l’aveva), veniva chiamata “lu matteró”.
Oggi, pur non svolgendo quasi più i compiti di una volta, qualche madia a mo di arredo, in qualche abitazione, ancora si vede. Di ben restaurate se ne trovano anche in commercio. Chissà quanta storia e quante storie trattengono quei “legni” oggi rinati ma costretti quasi “all’ozio e al mutismo”.
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