di Mario Monachesi
“Quanno ‘na orda se macellava ‘na vestia (bovino), tra la robba de lu quintu taju (testa, coda, zampe, pormó’, còre, feghitu, stommicu, ecc), la coda spettava a lu fattó’ e la trippa a lu contadì’. E pe’ lu contadì’ era festa”.
La trippa, piatto povero per eccellenza ma gustoso, ė una frattaglia ricavata dalle diverse parti dello stomaco del bovino. In campagna si consumava soprattutto d’inverno ma, quando c’era, anche nelle altre stagioni. Le vergare, dopo averla lavata per bene, lessata e tagliata a striscioline, la mettevano in una “teja” e la cucinavano molto semplicemente con “ojo de casa”, pomodoro, carota e maggiorana, lasciando cuocere il tutto per più di un’ora.
C’era anche chi la cucinava preparando un soffritto grossolano a parte, con olio d’oliva, cipolla, carota, sedano e uno spicchio d’aglio. A trito ben rosolato, aggiungeva la trippa e i pomodori e lasciava cuocere a fiamma lenta per un’altra mezz’ora buona. In alcune zone c’era chi la faceva con i fagioli già precedentemente lessati.e brodo vegetale. Zona che andavi, trippa che trovavi. Tante erano (e sono) le varianti per preparare e gustare “la regina del quinto taglio” (così viene ancora detta), ogni luogo o regione ha la sua tradizione. La trippa era anche di suino e la cottura più o meno la stessa. Consumate tutte e due dalla classe meno abbiente erano in pieno stile filosofico del recupero di ogni parte degli animali.
“La trippa de vaccina / fa vergogna a chj la cucina”, recitava un proverbio per descrivere quanto era povero e dai “signori” poco considerato questo piatto. Certamente non tutti sono amanti di questa pietanza, ma altrettanto sicuramente c’ė chi ne va matto. I greci la cucinavano sulla brace, mentre i romani la utilizzavano per preparare salsicce.
Famosa ė la preparazione alla romana e, proprio a Roma, ai primi del ‘900 nasce il detto: “Nun c’ė trippa pe’ gatti”, coniato dal sindaco dell’epoca Ernesto Nathan allorché si accingeva ad eliminare dal bilancio la voce di spesa per il mantenimento di una colonia di felini randagi. Anche l’ulteriore detto “Giovedi gnocchi, sabato trippa” nasce nella Capitale. Questo perchè a Roma le bestie venivano macellate il sabato e le massaie accorrevano numerose ad accaparrarsi qualche porzione.
Seguono le ricette alla veneta, alla toscana, bresciana, milanese, Moncalieri, fiorentina, piacentina, genovese, preparata all’olivetana in Sicilia, alla carbonara in Calabria, con le patate nel leccese e con le verze nel Polesine. A Milano trippa si dice “busecca” e se vi sentite dire “buseccone” vi stanno dicendo mangiatore di trippa. Non meno appetitosa delle altre, ė la trippa alla marchigiana che, oggi, possiamo trovare in più di un ristorante maceratese e regionale, servita con pane fresco o tostato ė una vera prelibatezza. Anche all’estero ė un piatto tradizionale, a Madrid diventa “Callos a la madrilena”, in Portogallo “Tripas à modo do Porto”, in Normandia “Tripes en brochette de la ferté-mace”. Molto consumata anche in Bulgaria, Romania, Grecia e Medio Oriente.
Questa portata non contiene zuccheri, ne glucidi, ne fibre, ė invece ricca di proteine, sali minerali, vitamine gruppo B e contiene ferro. Ha invece poco valore nutrizionale e la sua digeribilità ė faticosa a causa dell’abbondante tessuto connettivo elastico. Anche se ritenuta poco grassa, ha un alto concentrato di colesterolo. Quindi, per chi ha problemi, basta non eccedere con i condimenti.
Oggi la si acquista già lavata e parzialmente cotta, il suo colore ė di natura scuro, se la trovate chiarissima vuol dire che ė stata sbiancata. La sua etmologia ė incerta, forse nasce dal francese e dall’inglese “Tripe”, a sua volta di origine celtica “Tripa”.
Mia madre aggiungeva un pò di cotica ed era veramente squisita buona domenica.
La trippa, uno piatto top.......
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