Mario Monachesi
di Mario Monachesi
Nelle invernate di un tempo, quando “lo magnà se ‘bbagghjava”, un’alternativa alle solite “foje” (erbe di campo: “sperane, grispigne e papaole”) o “‘nzalata mista” (“‘caccialebbri, mastrici e artuchella”), erano “li melaranci ccunniti” (arance). All’epoca detti anche “purtugalli”. Le vergare, “lu miccurdi” (giorno di mercato) andavano a Macerata e tra le misere cose che potevano acquistare, “ce facia scappà’ anche quisti”. Molto ‘presumibilmente li acquistavano nell’attuale piazza Cesare Battisti, fino a qualche anno fa ricordata come “piazzetta de li melaranci”. Una volta a casa, le arance venivano sbucciate, spezzettate e condite con olio e “jia strinata”. Ne veniva fuori un piatto gustoso, profumato e “da potecce struscià’ lo pà co’ l’ojo che se formava sotto”. Questo significava “poté’ rimpji la trippa” in modo diverso e con poca spesa. Oppure venivano tagliati a fette e conditi con il solo olio. Erano ancora lontani i tempi delle spremute, del cucinarci (l’anatra all’arancia, su tutto) e del prepararci i moltissimi dolci che conosciamo oggi. Erano così considerate bene che un proverbio ancora recita: “Le cerque no’ ha fatto mai li melaranci”. “Co’ le scorze, quanno se facia la pista, ce se ‘nsapuria e cunnia la coppa e atri ‘nsaccati”. In alcuni luoghi della provincia, una tradizione voleva che il giorno di Sant’Antonio si consumassero arance.
L’origine del termine “purtugallu” ha tre scuole di pensiero. La prima, forse la più fantasiosa, fa risalire la parola alla dominazione francese nel napoletano. I soldati d’oltralpe, mentre distribuivano arance gratis alla popolazione esclamavano: “pour toi” e i napoletani prendevano i…”purtuà” (“purtugalli”). La seconda ė legata al fatto che in origine lo Stato del Portogallo vendeva le arance agli spagnoli che a loro volta le portavano a Napoli (quindi…vedi sopra). La terza, senz’altro la più credibile, vuole che il nome derivi dal greco “portokalia” o “portokalòs” (arancia, appunto). Nei giorni davanti al camino, i ragazzini facevano seccare le bucce, poi si divertivano a bruciarle per vederle scoppiettare e fare scintille. Una piccola festa per chi in quegli anni non aveva molto altro. Suggestivo era anche il fatto che ogni tanto alcune di esse arrivavano incartate con una velina colorata. All’epoca anche questo piccolo particolare dava ai ragazzi un refolo di gioia.
Le arance sono il frutto del citrus sinensis, appartenente alla famiglia delle rutacee. Sono ricchissime di vitamina C, indicate per il sistema immunitario e antiossidanti contro i radicali liberi. Se ne trovano di dolci, amare, rosse ecc ecc. In Italia la loro principale zona di produzione ė la Sicilia. A questo proposito e luogo, Guy de Maupassant ha scritto: “La Sicilia ė il paese delle arance, del suolo fiorito la cui aria, in primavera, ė tutto un profumo”. Lucia Granello, invece: “All’inizio del mondo il dio della frutta deve aver toccato con mani benevole la campagna isolana da Messina ad Agrigento”. Assieme ai mandarini, “li melaranci” sono stati per anni il regalo per i bambini da parte della Befana. Alzarsi e trovare nella calza appesa al camino questo non proprio frequente frutto, rendeva magico e fragrante il 6 gennaio. Quel profumo inebria ancora oggi, poetici e commoventi i ricordi ad esso legati. Questo frutto ha ispirato poeti e scrittori, da Quasimodo a Montale, da Garcia Lorca a…Jean de La Fontaine, che per esso ha scritto: “Aranci, alberi che adoro, / il vostro profumo mi ė dolce! / Vi ė cosa nel regno di Flora / che possa riuscir più gradita? / Quei frutti dalla buccia soda / sono un antico tesoro; / e il giardino degli Esperidi / non vide mai altri pomi d’oro”.
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il Maestro Monachesi non solo ci regala momenti allegria ma è la nostra memoria storica, archivio delle nostre tradizioni
È sempre un piacere leggere questi scorci della nostra storia…gli anziani che possono raccontarci quello de nà ota scarseggiano…e i giovani non hanno più voglia di interessarsi del passsto