di Alessandra Pierini (video di Gabriele Censi)
Venti monache benedettine di clausura terremotate in un casolare di campagna trasformato in monastero: è questa la situazione attuale e tutt’altro che semplice da gestire del monastero Santa Maria delle Rose di Sant’Angelo in Pontano. «Il buon Dio non ci ha fatto mancare niente» precisano con orgoglio le consorelle ma di sicuro da parte loro c’è stata anche tanta tenacia e un grande spirito di adattamento. Le monache vivono infatti ogni giorno gomito a gomito in uno spazio vitale ristretto in cui le attività quotidiane sono quantomeno complicate.
Doveva essere una soluzione temporanea ma dal 2016 a oggi non è praticamente cambiato niente. «Nel monastero in centro storico ritorneremo solo se sarà messo completamente a posto»: è categorica la madre superiora Elisabetta Fratoni. E questa eventualità sembra molto difficile da realizzare. L’alternativa è rimanere in questa casa di campagna ma intervenire per adattarla alle esigenze delle suore. E per questo occorrono soldi che le monache non hanno. Di cosa vivono? «Le uniche entrate fisse – spiega suor Giuditta – sono la pensione della superiora e la rendita dei terreni, dopo il terremoto abbiamo iniziato anche a prendere il Cas di 1.100 euro (ndr per la legge sono conviventi, un unico nucleo familiare). Per il resto viviamo di provvidenza». Quella provvidenza in cui contano per trovare una soluzione.
LA VITA QUOTIDIANA – Nel rispetto della regola di San Benedetto “ora et labora”, le monache si alzano alle 5 del mattino per la preghiera delle 5,30 poi la loro giornata è scandita da una miriade di attività, dal canto, al ricamo, dalle riparazioni alle ripetizioni ai giovani del paese, dal catechismo alla scuola di chitarra. Poi il lavoro al telaio ora abbandonato perché i telai sono rimasti nel monastero in zona rossa. C’è poi l’accoglienza di quanti chiedono ospitalità e dei familiari delle monache: per questo si sono organizzate acquistando con fondi propri dei container che naturalmente vanno riscaldati bene d’inverno e raffreddati d’estate. Tutto questo avviene in spazi ristretti in cui è quasi impossibile non scontrarsi. In una sorta di Tetris spostano tavoli, sedie, attività. C’è chi lavora alla pelle all’esterno, anche d’inverno, come suor Maria Grazia: «Mi metto un giubbetto e posso cucire anche per ore» racconta. O chi cucina per 20 persone in una cucinetta che basterebbe per poco più di una famiglia e per la dispensa è servito un container. Insomma adattamenti su adattamenti da mattina a sera, quando le monache si ritirano nelle loro cellette. Neanche lì possono avere intimità perché le stanze non bastano per tutte e devono dividerle almeno con una consorella.
LA STORIA – Il monastero Santa Maria delle Rose si trova ai confini della Diocesi di Fermo, di cui fa parte ed ha alle spalle una lunga storia: la fondazione risale al 1300, dopo la soppressione in epoca napoleonica nel 1822 il ripristino della vita claustrale. Nel 1880 il podestà con un Decreto Ministeriale di espulsione costringe le monache a lasciare l’edificio al Comune e le sorelle si rifugiano in una casa privata donata da un parente. Tra il 1880 e il 1956 ampliano la casa acquistando e collegando le case adiacenti con dei ponti. Nel 1994 rischiano di chiudere dopo 40 anni senza vocazioni ma l’arrivo di una ragazza impedisce la chiusura e inaugura un nuovo flusso di vocazioni. Nel 2013 su richiesta del vescovo di Amsterdam 13 sorelle partono per fondare un nuovo monastero in Olanda, e dopo quattro anni si trasferiscono a Pienza (SI), nel 2014 quattro sorelle sono inviate ad Ostuni, nel 2015 altre vanno a Barletta e nel 2016 altre ancora riaprono l’Abbazia di San Vincenzo al Volturno (IS). Qui sono passate un ingegnere elettronico, una guardia forestale, un avvocato, una laureata in matematica diventate monache e sorelle da Croazia, Polonia, Canada, Messico, Taiwan, Belgio,Germania, Austria, Malta e Ucraina.
IL TERREMOTO – Insomma una grande vitalità che il terremoto del 24 agosto 2016 mette a dura prova. «Quella notte tremava tutto – racconta suor Maria Grazia – e siamo state costrette a lasciare il monastero. La madre ha allora deciso di smembrare la comunità e qui siamo rimaste in quattro. Eravamo sole in questa casa di campagna che in precedenza usavamo per accogliere ospiti. Piano piano ci siamo organizzate e le consorelle che erano in Molise hanno cominciato a ritornare».
Le ultime due vestizioni (le ragazze arrivano con un abito da sposa e accompagnate al braccio del padre, per poi vestire l’abito da monaca) risalgono allo scorso dicembre e sono arrivati qui due pullman dalla Polonia. Per i container dell’ospitalità hanno dovuto affittare un generatore di corrente. Il paese non intende rinunciare alle monache e ognuno fa il possibile per dare una mano. Tra le donazioni ce n’è anche una particolare che non passa inosservata: il cane Bobbi che ormai fa parte a tutti gli effetti della comunità.
AIUTO – Ora le suore chiedono aiuto perché questa soluzione provvisoria non diventi definitiva. Per rispondere al loro appello si possono fare offerte o accedere ai loro servizi, sempre tramite offerta. L’iban del conto corrente bancario del Monastero Santa Maria delle Rose è IT 07O0311169440000000002225. Il bic è BLOPIT22.
A mogliano il convento delle suore Giuseppine e’ vuoto
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Che cosa dice il vescovo?
ci sono tante strutture della Chiesa vuote, o alcune dove ci sono due o tre suore, si possono fare tranquillamente solidarietà fra i vari ordini, senza chiedere aiuto a nessuno!
Confermo il commento di castellani.
Sono una cittadina Santangiolese ed in quanto tale conosco la storia e le vita della Comunità Monastica Benedettina presente in paese.
Il reportage di cui sopra documenta in modo preciso il forte legame instauratosi nel tempo tra la comunità Monastica ed il paese tutto, tanto che quest’ultimo, già duramente colpito dal terremoto, perderebbe parte della sue identità storica se dovesse perdere anche la Comunità Monastica.
La stessa vitalità del paese dipende anche dalla presenza di questa comunità che interagisce ed è vicina ad ogni famiglia, compatibilmente con la propria regola di vita contemplativa.
Per tale ragione ritengo che la presenza di questa Comunità e la sua permanenza nel nostro paese vada difesa, protetta ed aiutata da ciascuno secondo le proprie disponibilità ed il proprio ruolo.
L’arte del telaio, il tombolo, il canto, i lavori di ricamo sono ricchezze di valore inestimabile che rischiano di scomparire dai nostri paesi e che sono tenute in vita quasi esclusivamente dall’opera di queste sorelle che scandiscono la loro vita sulla base della regola d’oro benedettina “Ora et labora”.
Già questi sarebbero, da soli, ottimi motivi per cercare di dare una mano a questa comunità.
In ogni caso le suore del Monastero di Santa Maria delle Rose sono una famiglia che da secoli ha scelto la propria casa nel Paese di Sant’Angelo in Pontano; oggi, superando la riservatezza che solitamente le contraddistingue, si sono messe in gioco,ci hanno resi partecipi delle loro difficoltà, ora sta a noi raccogliere o meno tale richiesta, cercando però di rispettare anche le loro scelte.