di Mario Monachesi
Si può senz’altro dire che “lu camì'” è stato il primo impianto di riscaldamento delle abitazioni. Oggi ė diventato quasi un pezzo di arredamento, una volta invece, specialmente in campagna, era motivo di vera e propria vita. Le famiglie ci si riscaldavano e la vergara “ce cucinava”. ” Li fornelli a gasse” arriveranno nei primi anni ’50. “Appena cuminciava a fa’ friddo”, un tempo ad ottobre già lo faceva, il camino veniva messo in funzione. “A la matina presto, appena arzati, lu vergà lu ‘ppicciava e la vergara cuminciava a mette su callà’, callaritti e treppè (tre piedi di ferro) pe’ ‘ppogghjà’ su la vrascia (brace) cuccume e teje”. C’era da preparare, subito la colazione, poi il pranzo e nel pomeriggio la cena. Di solito i pasti erano, “pulenta co’ du’ sargicce pe’ jeci persó’, macchirù cunniti co’ lo sugo finto (solo pomodoro e cipolla), menestra de tajiulì pilusi, foje miste, che orda ‘ccompagnate co’ quarghe patata lessa, vrocculi, cauli e poco atro”. “La domenneca su lu callà’ ce se scallava anche l’acqua per làasse un po più a funno. ‘Na orda ‘nfocata”, la di versava in una “secchja sistemata llà la camera o jó la stalla”.
“A casa de contadì’, fuma solo lu camì'”. Quando il freddo era tanto e intorno casa c’era spesso la neve, di giorno adulti e bambini si riparavano nella stalla, la sera tutti “‘ttunno lu camì, chj a sedé su la seja e chj su la rola”. I ragazzi si divertivano a “stuzzicà’ li cippi ‘ppicci”, per provocare “le lute” o “strolleche”. Il focolare con la sua fiamma accogliente riuniva a se tutti i componenti della famiglia, riscaldando e confortando con tepore e serenità chiunque, dal freddo e dalla stanchezza di una giornata fredda e faticosa. Ma il camino si sa, se ti scalda davanti, non può farlo di dietro. Ecco allora un secondo proverbio: “Dicembre, avanti me scallo, derèto me ‘ngènne”. Poi a quei tempi, le case erano quello che erano, porte e finestre che non chiudevano bene, spifferi da ogni angolo, spesso, come cambiava vento o se “lu tiragghju” della canna fumaria non era dei migliori, “lo fume rimpjia la cucina”. Per non ricordare poi anche la “fuliggine” che ogni tanto veniva giu “a pallocchi” e magari qualche scaglia centrava “lu callà co’ che pietanza a còce”.
“Cent’anni sotto lu camì, puzzi sempre de contadì'”. Con la brace che si formava, c’era chi, in attesa di pranzo o cena, ci cuoceva (scottava) qualche “acinu de jia, ‘na cucciola che ttroava qua e la, anche ‘na patata”. Giunto tutto a cottura, “‘na soffiata per mannà’ via la cennera” e via con gran gusto a mangiare quegli sfizi. Una sera ogni tanto, dopo cena la vergara ci cuoceva anche le castagne. Nel mentre, “lu vergà’ recitava lu rosariu. Spesso lo intramezzava dicendo a chi stava più vicino al camino: “‘ Qui jèla, ‘ttizza su ‘ssu focu, pare che pippa non pippa…” Appena si faceva ora di andare a letto, iniziava il rito “de lo rimpjì’ scallì’ e monneche pe’ scallà’ li letti”. “Se mittia lu prete” sotto le coperte. Quanno c’era da stirà’, co’ la vrascia ce se rimpjia pure li feri da stiru. La legna “per fa’ varde lu camì'”” era quella delle potature dell’anno prima. Si potavano alberi, ulivi, viti, si ripulivano fossi e fossati, anche “le rote” (argini) dei fiumi e si lasciavano stagionare un anno. Una volta “secche” (asciutte) venivano consumate.
Il camino, come possiamo immaginare, dato il forte freddo, viene ideato nei paesi nordici, precisamente dai Normanni. In Italia la sua apparizione è segnalata tra il 1200 ed il 1300, dapprima a Venezia dove se ne ha notizia nel 1227, successivamente a Pisa dove la sua presenza viene accertata intorno al 1298, grazie all’intensificarsi degli scambi commerciali tra le Repubbliche marinare. A Roma la sua presenza e datata seconda metà del trecento, fautore ne è il nobile padovano Francesco Carrara. Nel 1615 l’Architetto Vincenzo Scamozzi scrive nel suo trattato “Dell’idea dell’architettura universale: la necessità del fuoco ne’ paesi freddi, fece inventare le nappe, ora comunemente chiamate camini; né senza far fuoco potrebbe l’uomo far comoda vita nelle regioni temperate qual’è l’Italia”. Si occupa di camini anche Leonardo da Vinci, con un paio di suoi disegni del Codice atlantico. Anche Leon Battista Alberti, nel “De Re Aedificatoria”, fornisce indicazioni pratiche sulla costruzione dei camini. Nei secoli “lu camì'”, dal centro della stanza, dei suoi inizi, passa a ridosso di una parete o all’angolo tra due pareti, di oggi.
E la cenere? “La cennera” i contadini la svuotavano nei campi perché aveva ed ha anche funzione di concime. Quanti “cippi d’urmu”, quanti “ciocchi de Natà'” hanno bruciato i camini dei nostri nonni, quante sere invernali hanno trascorso “ppennecati davanti a lu camì’ e quante orde lu camì’ de lla pora jende, ha pijiato focu”. “Non se conta!”. Davvero eroici quei tempi e i nostri piu che cari avi.
quanti bei ricordi grazie
Senza leggerti non è domenica! Grazie!
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati
Grazie, bellissimi ricordi anche di chi non abitava in campagna.
Bellissimo come sempre!