“Nudi alla meta”, disse Mussolini,
ma adesso ci si arriva ben vestiti

LA DOMENICA DEL VILLAGGIO - Sono cambiate anche le mete, che oggi consistono in posti di potere adeguatamente retribuiti . L’attuale significato della parola “pudore”

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di Giancarlo Liuti

“Nudi alla meta!” esclamò Mussolini nel 1923 quando da capo del governo, ma non ancora dittatore, rifiutò il titolo di “Duca di Rodi” che gli era stato offerto per dissuaderlo dal proposito di occupare, oltre a Rodi, le altre undici isole del Dodecanneso. “Nudi” era come dire “non ho bisogno di nulla e di nessuno, faccio tutto da solo”. E la “meta” la raggiunse l’anno dopo con l’annessione all’Italia dell’intero arcipelago. Ed ora faccio un salto fino ad oggi e rilevo che nell’attuale dibattito politico la “meta “ è pur sempre la conquista di un qualsiasi potere con la differenza però che adesso non ci si arriva “nudi” ma col sostegno di vari interessi, varie amicizie e varie opportunità, per esempio l’appartenenza alla massoneria o l’iscrizione a un partito che conta. Ma basta, cambiamo discorso.
Anche a Macerata, con l’arrivo del caldo, s’usa indossare abiti che nei giovani maschi e, a prescindere dall’età, anche nelle femmine, lasciano libere ampie parti del corpo. Per i ragazzi va notato – ma questo pure d’inverno – il pressoché totale denudamento di cosce e gambe a causa di grossi strappi nei pantaloni, mentre nelle donne ci s’imbatte in scollature che scendono fino all’inizio dei seni e non di rado ancora più in basso, quasi a sfiorare i capezzoli. E quale ne è la ragione? Forse un desiderio di totale emancipazione dagli usi e dai costumi di un pur recentissimo passato e nel segno di un’irrompente e teatrale modernità, come se la vita sia diventata un palcoscenico sul quale esibirsi.
Alcuni un po’ avanti negli anni se ne lamentano perché ritengono che in tal modo si vada perdendo il “senso del pudore”, quel limite estetico e morale che, ancora oggi ma molto meno di ieri, impone di non mostrare in pubblico parti del corpo riferibili alle pratiche sessuali (non a caso, del resto, si usa definirle “vergogne”). Ma io ho idee molto diverse sul significato della parola “pudore”, che magari riguarderà pure le chiappe nude ma dovrebbe riferirsi a ben diverse, ben più scandalose e ben più riprovevoli consuetudini dell’attuale società. Si prenda ad esempio la politica, nella quale senz’alcun pudore si promettono cose che le ritiene impossibili pure chi le promette. E non si tralasci il commercio, dove si vendono cose “imperfette” ma senz’alcun pudore se ne vanta l’assoluta “perfezione”. Sarà stato così pure in passato, d’accordo. Ma la crisi del pudore è segno di regresso civile e di smodata soggezione ai capricci dell’individuo, al quale si concede il diritto di far quel che gli pare, cioè tutto e il contrario di tutto.
In alcune scuole maceratesi – il liceo classico “Leopardi”, l’istituto tecnico “Gentili” – si tenta di porre un freno a questo andazzo imponendo di frequentare le lezioni con un abbigliamento “sobrio e decoroso”. Ma per ottenere buoni risultati ci vorrebbero degli spogliatoi – due in ogni scuola, uno per i maschi e uno per la femmine – dove gli studenti, giunti da casa vestiti come s’è detto sopra, potrebbero cambiarsi e indossare abiti più “seri”. Ma chi glieli fornirebbe? Il ministero della pubblica istruzione? Sto scherzando, d’accordo. Ma fino a un certo punto. E che ne pensano i presidi? Non sono pregiudizialmente contrari alle novità, ma in cuor loro, benché non lo dicano, ne hanno un po’ di paura. La scuola, signori, non può essere tanto diversa dalla società in cui vive o sopravvive. E l’odierna società tira avanti come le viene imposto dalla modernità degli usi e dei costumi.



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