Domenico Gironella
detto anche Dumì de Mattiacciu

LA DOMENICA con Mario Monachesi
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Mario-Monachesi

Mario Monachesi

 

di Mario Monachesi

La provincia maceratese ha annoverato e continua ad annoverare una lunga lista di personaggi, di persone simpatiche, schiette, sangiugne che, seppur, a volte umili, lasciano un segno “gustoso” e indelebile nella società. Da “Cirivacco” (stracciarolo e cantore della pasquella) a “Sesto de lu Ricciu” (mitico barista in piazza N. Sauro), da “Cisirì lu Toscanu” (commerciante ambulante di stoffe) a “Panzì” (venditore di semi di zucca al campo sportivo), senza dimenticare “Briscoletta” (Pietro Baldoni fotoreporter), “Vattilosse” (cantastirie), “Ruppicoppi” (muratore), “Cuppoletti” (Claudio, bar in via Roma), “Fruscì” (Flavio Antonelli, negozio alimentari), “Peppe lu lupu” (Giuseppe Trionfetti), “il Cavaliere Prato” (Franco Prato il tramandatore), ecc ecc. (Chissà che in seguito non avrò modo e tempo di tracciarne un ricordo per ognuno).

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Dumì de Mattiacciu

Il personaggio che voglio raccontare oggi, appartiene al territorio goliardico, frizzante e umile di Madonna del Monte. Anche qui i “peperini” non sono mancati e non mancano. Da “Stervio de lu pustì” a “Mario de Duminellu”, da “Neno de Voró” a “Nando de Pasquà” passando per “Mario de lu stradì”, “Medeo de la mulinara”, il simpaticissimo “Nello de Malatì”, ecc ecc.  “Dumì, dicevo, è un sereno e brillante tuttofare autodidatta di talento: agricoltore, falegname, fabbro, imbianchino, muratore, dipendente pubblico (ora in pensione), amico, padre, marito, attore comico e tanto altro ancora senza risparmio alcuno. “C’è da sistemà li coppi rutti de un tetto?” “Dumì” non se lo fa ripetere due volte. “C’è da pulì’ un camì’?” Lui ha l’attrezzatura giusta e arriva con qualsiasi tempo, non lo ferma ne neve e ne tramontana. “C’è da fa’ un gabbió’ pe’ li cunelli?” Basta farglielo sapere. “C’è da sallà’ un pezzu de un pertecaró, un manicu de fero de ‘na vanga, l’anellu de ‘na catena?” “Dumì ‘rria, ‘rghjusta e non vole gnisciù guadagnu”. “Se je dici: quant’è, te risponne sorridenno: ‘n’andra orda, e che me c’ha vuluto”. È così abile e capace a fare tutto che, chi lo conosce e senza sbagliare di una virgola dice: “Quissu ‘rfà pure li culi a li passiri”. Nessuno ricorda di averlo visto arrabbiato, sempre con un sorriso contagioso sulle labbra. Sorriso, calma e battuta saggia in omaggio. Personalmente non l’ho mai visto “‘na orda ‘celleratu” (poi magari nel privato perde le staffe anche lui ma, questo, è umanamente affar suo).

La domenica difficilmente perde la messa “a la Madonna de lu Monte” (anche l’altare rivolto verso i fedeli, all’epoca, è stato lavoro suo), si sistema in fondo alla chiesa e, a chi gli passa accanto e lo invita ad avanzare, spiega sghignazzando: “Pe’ frecà’ lu teremotu!” (Questo anche in tempi non sospetti). Tutte le volte che il curato la porta per le lunghe, seppur con l’innocenza più pura, non esita ad attirare la sua attenzione facendogli, anche da quella lontananza, cenni con l’orologio, quasi come a dire: “Arbitrooo, tempo!”. Nello scambiarsi un segno di pace, “se passa a scambiassilu co’ mezza chjesa e la stretta te la recordi”. Al momento de: “La messa è finita, andate in pace” è il primo ad uscire dopo aver risposto a voce alta: “Signore te ne ringrazio!”.

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Al Carnevale Maceratese

Fuori, sul piazzale, incorniciato da una pelle color del grano anche d’inverno (“sempre all’aria aperta, dentro casa non ci sta manco se lu leghi”) e da due occhi vivaci come quelli di un gatto, continua a dispensare momenti leggeri ad amici e conoscenti. Gli stessi momenti che regala da più di quaranta e oltre anni come comico della locale compagnia teatrale. Ha recitato quasi tutte le commedie dialettali del circondario, da Affede, Cecchi a Domizioli, Latini ed altri autori. Ogni volta con un esilarante e rinnovato successo “da fa scompiscià’ la platea accorsa”.
A chi per qualsiasi motivo gli telefona a casa, se ce lo trova, lui risponde sempre: “Pronto, noi stiamo di qua, chj sete voi de la? Diciate pure, ve scurdimo…”. L’umanità, la semplicità e l’ilarità che come una fontana mai secca sgorga dal suo instancabile bisogno di esserci e darsi attinge senza dubbio, anche dalla storia della sua famiglia di provenienza: due genitori concreti come ulivi e luminosi come ciliegi. Un “insieme” che a questo estremo nord-est maceratese ha regalato un piccolo grande mattatore.

Quando ancora non era sposato né fidanzato e, come un’ape, volteggiava da una trebbiatura ad uno “scartoccià”, dall’ara (aia) de Trozzu a quella “de Juanzà”, a chi gli chiedeva che cosa aspettasse a trovarsi “la regazza” rispondeva: “Non agghjo angora ‘ncundrato la metà de la costarella mia però staco tranguillu, tardi ci-aimo sette donne per ognunu!” Oggi (oramai da tanto), grazie a quella metà “costarella” trovata a Chiarino di Recanati, è consorte di Maria e padre di Giovanni ed Elena. È anche “genitore” di un modo di applaudire così forte che, senza ombra di dubbio, è suo il battimani più spettacolare e rumoroso d’Italia. “Lo fa, ride, se guarda tunno e fa pegghjo. Se te capita de staje vicino, te ssurdisce”. Ritornando alla sua abilità manuale, c’è da aggiungere che per la chiesa di Madonna del Monte ha riaggiustato un grande crocifisso e almeno altre 4 o 5 statue. Tutti oggetti che i vari parroci avevano delegato in soffitta perché rotti o malandati. L’attuale teatrino, quando fu costruito negli anni ’60, benché giovanissimo, ha visto anche la sua opera. Per finire diciamo anche che acquista vecchi trattori e vecchie trebbiatrici per divertirsi, riaggiustando il tutto, a ridare loro una nuova vita. Ogni tanto li espone in qualche fiera o rievocazione agricola. Questo è Domenico Gironella, “Dumì de Mattiacciu” per tutti, una presenza ed una figura forte, dispensatrice di gioia, umiltà, lealtà e altruismo. Un esempio di allegria costruttrice a costo zero. “Dumì”, un nome più complesso non avrebbe avuto la forza di descrivere correttamente tutte le sfumature di cui è in possesso.



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