di Mario Monachesi
“Se a lu tembu je fa le fregne, / lascia ji de piòe e se mette a negne”. “Negne / lu gattu fa le legne / lu ca’ le porta su / ce scallimo tutti du'”. Un’altra versione recita: “Negne / lu gattu fa le legne / lu ca’ le porta a venne / le porta a la marina / se rporta la farina / le porta in montagna /se rporta la castagna”.
La neve è da sempre la gioia dei bambini, mentre per gli adulti, specialmente in tempi di frette e ansie come gli odierni, sono più spesso problemi.
Macerata, corso della Repubblica nevicata del 1956. Tratta, da Silvano Iommi, dal fondo fotografico della biblioteca comunale
Invece, tempi addietro in campagna, i fiocchi bianchi erano considerati una manna: “Sotto la neve pane”; “Sotto la neve pane, / sotto la piogghja fame”; “La né’ avandi de Natà’, / adè la matre de lo grà'”. In quei giorni imbiancati e freddi, i contadini passavano le ore di luce al caldo (profuso da buoi e mucche) della stalla, gli uomini a fare “canestri de paja”, “cisti” (cesti), “crine” (cesti più rozzi), “scope de melleca” (di saggina), ad aggiustare attrezzi da usare nella prossima stagione, a fare manici per zappe, vanghe, a fare rastrelli, ecc ecc, le donne invece facevano le maglie, “li carzitti” (calze da uomo) e rammendi su ogni capo che ne avesse avuto bisogno.
Tra la paja e il fieno depositato nel fienile attiguo (sempre all’interno della stalla), giocavano senza sosta i bambini. Il pranzo e la cena (quasi sempre “pulenta e foje”) venivano consumati in casa al caldo (si fa per dire) del camino: “Io so’ dicembre / avanti me scallo, dereto me ‘ngenne”. Finita cena, consumata, almeno fino all’avvento dell’elettricità, alla luce di lumi a petrolio (“luma”) o con “la citilena” (acetilena alimentata con carburo di calcio e acqua), il rosario e poi tutti a nanna. Quando la neve caduta non era “‘na ‘ncasciata” ma parecchia, le strade principali venivano liberate dalla “lupa” (spartineve), su quelle minori i contadini della zona si univano per fare “la rotta”, passaggi ricavati spalando a mano. Per la città il comune ricorreva agli spalatori, cioè a contadini o operai disoccupati.
Tornando alla campagna, quando le bufere terminavano (“la né’ non bufava più”, smetteva di cadere e si placava il vento), i ragazzi correvano a sistemare le trappole per gli uccelli, i più grandi per acchiapparne di più, passavano, per lo più di sera, i pagliai con le reti e poter così gustare nei giorni a seguire, un sugo diverso sulla polenta.
Quando il freddo era tanto, dai tetti delle case pendevano per giorni e giorni “li pinnulì” (lame o festoni di ghiaccio), i ragazzi erano usi abbatterli con qualche pertica o bastone, per poi succhiarli e giocarci.
Chi di questi ragazzi abitava un terreno scosceso, utilizzava quelle pendenze per “sciarci” con gli amici. Riempivano di paglia sacchi di plastica (molto usati erano quelli dei primi concimi arrivati in campagna), oppure si sistemavano a cavallo di vecchie gomme d’auto e poi giù a tutta velocità per quelle discese, diventate per quei giorni “ludiche e festose”.
Il territorio maceratese ha “vissuto”, nel tempo, più che importanti nevicate. Nel 1853 nevicò per 5 giorni e 5 notti e venne così tanta neve che ci fu l’urgenza “de fa scarcà’ tutti li titti de Macerata”. I cittadini anziché perdersi d’animo pensarono bene, dato il periodo carnevalesco (era febbraio), di sfruttare questo eccezionale fatto al solo scopo di divertirsi. Con la tanta neve venuta giù costruirono, nell’attuale piazza Mazzini, all’epoca detta “Piazza del Mercato”, un imponente castello che venne subito usato per la simulazione di un cruento combattimento tra turchi e cristiani. I numerosi partecipanti, provenivano quasi per intero dalle famiglie nobili. In gran numero ed illustri erano anche gli spettatori. Il castello, in mano ai turchi venne distrutto dai cristiani vincitori.Nel 1891, vista la tanta neve caduta, i garibaldini maceratesi con in testa Sigismondo Ciccarelli, arrabbiati per la lungaggine con cui il comune portava avanti la costruzione del monumento all’eroe dei due mondi, per protesta crearono, in piazza Mazzini, un loro monumento di neve e ghiaccio. Nel 1929 arrivò il cosiddetto “neó”, per le vie di Macerata si camminana all’interno di gallerie. Altre tre grandi nevicate le si ricordano nel 1956, nel 1961 e nel 1985. Neve da ricordare anche negli anni 2005, 2010, 2012 e 2017.
I proverbi che raccontano questo magico e bianco evento della natura, sono una infinità. Tra i più importanti: “Annu fungusu / annu nevusu”; “De nuolo pioe / de sereno negne”; “Quanno lu gattu fa le legne / o pioe o negne”; “San Crispì (25 ottobre) / la neve tra li spì”; “Li sandi (1° novembre) / la né pe’ li cambi”; “Li morti (2 novembre) / la né pe’ li fossi”; “Sand’Omubonu (San Omobono, 13 novembre) / o la né o tembu bonu”; “Sanda Catirina (25 novembre) / o pioe o negne o strina”; “Per Sanda Catirina / la neve a la cullina”; “Sanda Catirina / o negne o pioe o strina”; “Se negne prima de Natale / ‘n-se patisce friddo e fame”; “Se sse sfoca jennà’ co’ murda né’ / un riccu ‘state (estate) preparà’ te de’ (ti deve)”; “Sand’Andò’ (17 gennaio) de la varba vianga / se non ha sbiangato sbianga”; “Sand’Andò de la varba vianga / se non negne, non ze magna”; “San Flavià’ / la nè’ pe’ li pià'”; “A Sanda Mattia (24 febbraio) / la nè’ pe’ la via”; “La nè’ marzolina / da la sera a la matina”; “La nè’ marzarola / trica quanto la socera co’ la nora”; “Dura meno la nè’ marzolina / che la lengua de la vicina”; “La né’ che non va via / ‘spetta compagnia” (ne aspetta altra).
Prima di chiudere, la neve in letteratura:
La neve. Scendi con pace, / o neve: e le radici / difendi e i germi, / che daranno ancora / erba molta agli armenti, / all’uomo il pane. / Scendi con pace, si che al novel tempo / da te nutriti, lungo il pian ridesto, / corran qual greggi obbedienti i fiumi. (Gabriele D’Annunzio).
Nevicata. Nevica; l’aria brulica di bianco; / la terra è bianca; neve sopra neve; / gemono gli olmi a un lungo mugghio stanco: / cade del bianco con un tonfo lieve. / E le ventate soffiano di schianto / e per le vie mulina la bufera; / passano bimbi: un balbettio di pianto; / passa una madre: passa una preghiera. (Giovanni Pascoli)
Neve. Neve che turbini in alto e avvolgi / le cose di un tacito manto. / Neve che cadi dall’alto e noi copri / coprici ancora, all’infinito: imbianca / la città con le case, con le chiese, / il porto con le navi / le distese dei prati… (Umberto Saba) Ma tu che stai, perché rimani? / Un altro inverno tornerà domani / cadrà altra neve a consolare i campi / cadrà altra neve sui camposanti. (Fabrizio De Andrè) La luce della neve spegne in noi tutta l’umana ingordigia. (Elena Anahva) Le nevicate sono un tentativo di Dio di dare a questo mondo sporco un aspetto più pulito. (Mehmet Murat Ildan).
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati