di Mario Monachesi
Il 2 febbraio, 40 giorni dopo la nascita di Gesù, la Chiesa celebra la purificazione di Maria Vergine. Purificazione che in passato anche le nostre donne ricercavano, recandosi 40 giorni dopo il parto sulla soglia della chiesa per ricevere la benedizione del sacerdote senza la quale non sarebbero potute entrare. La ricorrenza del 2 febbraio detta “La Candelòra” (dal tardo latino “Candelòrum”, per “Candelaram, benedizione delle candele), una volta era onorata con solennità e grande partecipazione del popolo. In questa occasione il parroco distribuiva a ogni famiglia una candela benedetta, grande a seconda delle “decime” che questa pagava o della classe sociale a cui apparteneva. Dai nostri avi essa veniva custodita gelosamente e con devozione: molti l’appendevano sopra la spalliera del letto, vicino al quadro sacro. Guai a romperla, ad accenderla senza un motivo più che serio o a perderla. Alla candela venivano attribuiti molti significati; tra l’altro, difendeva la casa da mali, sciagure e calamità. In campagna la si accendeva durante un temporale per preservare il raccolto da una probabile grandinata.
La luce che promanava significava protezione divina. I moribondi la tenevano accesa in mano, quale segno di fede. A Macerata si diceva che la candela benedetta liberasse dal male della “forcella”, un doloroso difetto dello stomaco. Lo stratagemma consisteva nel posizionare una candela accesa sul fondo di un bicchiere e poi passare più volte il tutto sopra lo stomaco dell’ammalato. Il rituale della Candelòra venne introdotto dal patriarca di Roma Gelasio intorno all’anno 474 a.C., in sostituzione della cerimonia pagana dei Lupercali.
Da questo giorno ha origine un proverbio meteorologico, che ci mette “sul chi va là” in merito alla fine dell’inverno: “Cannéla Cannelòra de l’inverno semo fòra; se cce negne e cce piòe, ce ne sta quarandanòve; se cce dà sòle e soléllu, c’è quaranda dì d’inverno”. Questo proverbio sta ad indicare che se in questo giorno farà bel tempo, si dovranno aspettare altre settimane prima che la brutta stagione finisca, viceversa se farà brutto tempo, allora la primavera è vicina. Una sua variante recita: “Madonna Cannelòra dell’inverno scimo fòra; se cce pioe se cce negne, po’ durà fino a vellegne (vendemmia), se cce dà sole e solellu, quaranda dì per tembu vellu”.
A Trieste la quartina recitava così: “Se vien col sol e bora/ de l’inverno semo fòra. / Se vien con piova e vento/ de l’inverno semo drento”. Altri proverbi maceratesi, inerenti questo giorno, recitano: “Calenna chiara, mese trùvudu / Calenna tróvada, mese chiaru”; “Se Calenna se ne ‘rvè / de l’inverno simo da pè”; “Quer che fa Calenna/ tuttu lu mese attenna”. Una superstizione voleva che a quelle donne che si fossero pettinate il giorno della “Cannelòra”, i capelli sarebbero imbiancati molto prima del tempo. Una leggenda, risalente al quinto secolo, narra che le crepes hanno avuto origine un giorno di Candelora. Pare infatti che Papa Gelasio abbia sfamato, dei pellegrini provenienti dalla Francia, con sottili sfoglie di pasta fritta. I francesi chiamarono subito questo cibo “crepes” cioè, “arricciate” (dal latino “crispus”) e da allora, in Francia divenne il dolce tradizionale del 2 febbraio e si dice anche che, quando si rovescia la crepe nella padella si debba esprimere un desiderio.
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