Giancarlo Liuti
di Giancarlo Liuti
«Boia chi molla!» ha tuonato il vicesindaco civitanovese Fausto Troiani a proposito di una vicenda amministrativa e la consigliera comunale Mirella Franco del Pd l’ha accusato di essersi comportato ancora una volta da nostalgico del fascismo. Una nostalgia, questa, che non di rado salta fuori nel dibattito pubblico di Civitanova . Sta di fatto, comunque, che “Boia chi molla!” è un’esclamazione di moda nel ventennio mussoliniano e tirarla fuori adesso, nel Duemila, fa pensare – un vicesindaco, oltretutto, non è uno qualunque – a un “passatismo” che in una città intraprendente come Civitanova sembra un controsenso. E qui mi fermo, consapevole che in un’epoca imprevedibile come quella di oggi può accadere di tutto. Troiani, del resto, si è limitato ad esprimere una sua personale opinione e oggi, nel confuso sbandamento anche ideologico in cui ci troviamo, ficcare il naso nelle opinioni altrui rischia di essere un’indebita intrusione in cose che non ci riguardano. Interessante, invece, soffermarsi sull’origine del “Boia chi molla!”, un motto che incita a darsi da fare e non è affatto nato fascista ma probabilmente risale addirittura alla Repubblica Napoletana del 1799 contro i borbonici oppure alle “Cinque Giornate” milanesi del 1848 contro gli austriaci.
L’assessore e vicesindaco di Civitanova Fausto Troiani
Per antica tradizione era definito “boia” l’esecutore materiale delle pene capitali come l’impiccagione o la decapitazione, che a Macerata avvenivano, in presenza di numerosi spettatori pronti ad applaudire, in uno spazio fra l’attuale Sferisterio e l’attuale via Diomede Pantaleoni. Fare il “boia” non era certo un mestiere di cui vantarsi come se fosse un compito di gran lustro, tant’è vero che oggi la parola “boia” figura nel dizionario degli insulti assieme ad altre poco ammirevoli quali “aguzzino” o “malvivente”. E nemmeno la parola “mollare” merita applausi se si riferisce all’abbandono di un incarico importante per il benessere della società a favore di qualcos’altro di meno impegnativo e più confortevole. Tutto sommato, quindi, il “Boia chi molla!” ha avuto e continua ad avere un significato che non è positivo, specie quando si riferisce a una persona politicamente poco rispettabile (“boia”) per aver lasciato (“mollato”) un partito e averne scelto un altro più “conveniente”. Negli anni Settanta e Ottanta tale accusa proveniva soprattutto da destra, ossia dagli ambienti del Movimento Sociale, e riguardava specialmente l’ex missino che per suoi vantaggi personali aveva “tradito” l’opposizione di destra ed era entrato nelle file della Democrazia Cristiana, allora detentrice della gran parte del potere non solo politico. Mi rendo conto, intendiamoci, di essere troppo sbrigativo e magari troppo denigratorio. Vero è, infatti, che alla base di tali sviluppi c’erano, forse soprattutto, ragioni anche ideali e quindi degne di rispetto.
Resta comunque il fatto che il “Boia chi molla!” intendeva e intende colpire coloro che, ripeto, per mero opportunismo si rassegnano a subire l’andazzo dei tempi senza battersi per migliorarli. Poco dopo la metà del secolo scorso questo severo giudizio, torno a ripetermi, giungeva quasi sempre da destra e riguardava l’ex militante che aveva cambiato bandiera, ad esempio diventando democristiano. Ecco allora il “Boia chi molla!”, ossia “chi abbandona la lotta è un poco di buono”. Ricordo che allora la destra maceratese considerava malissimo i suoi eventuali “emigrati” in altre sponde e gli iscritti al Fuan, l’organizzazione universitaria del Msi, tuonavano: “Contro il sistema / la gioventù si scaglia / e ‘Boia chi molla!’ / è il nostro grido di battaglia!”. Oggigiorno molte cose sono cambiate, alcune in meglio, altre in peggio. E fra quelle che a mio avviso non sono affatto migliorate includerei l’incoerenza, cioè la facilità con cui adesso un deputato o un senatore eletto in un certo partito passa in un altro partito e lo fa per ragioni non sempre “ideali” ma, a volte, per la convenienza di occupare una poltrona più autorevole della precedente o più “generosa” in fatto di risorse economiche. E nessuno se ne scandalizza ma nemmeno se ne sorprende. Anche questo, tuttavia, è in linea coi tempi correnti, nei quali l’individualismo, cioè le libere scelte di carattere individuale, sta al primo posto nella scala dei cosiddetti “valori”. Dopodiché tocca alla gente comune verificare se ciò corrisponde o meno ai reali interessi del cosiddetto “popolo sovrano”, che “sovrano” purtroppo non è mai stato e per credersi tale gli basta – oggi più di ieri – una raccomandazione per un figlio in cerca di lavoro o il permesso di far sostare la propria macchina in uno spazio riservato alle auto dei servizi pubblici.
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Se è per questo anche una esponente del PD è stata ‘accostata’ a questo motto. Ma il motto, appunto, è oramai indipendente dalla sua (se mai lo è stata – vedi Wikipedia) origine storica. Ciò che importa è altro, ossia la serietà e il pensiero politici.
E’ anche vero che il “chi si estranea dalla lotta è un gran fijo de mig.notta” ha una qualità letteraria più alta, ma la squisitezza è dono di natura, non s’impara a scuola, uno non se la può dare…