di Monia Orazi
(video di Gabriele Censi, foto di Fabio Falcioni)
«Abbiate il coraggio di denunciare che lo Stato è latitante, si muovano le procure della Repubblica. E’ stato chiesto per Cns e Manutencoop il rinvio a giudizio per turbativa d’asta, nell’ambito dell’inchiesta Consip, è probabile che gli appalti, tra cui quello delle Sae, possano essere posti sotto sequestro».
Con queste parole ieri sera al Politeama, teatro simbolo della ripartenza, il giornalista Carlo Cambi ha pronunciato una condanna senza appello nella gestione del post terremoto, durante l’incontro «Resistere per ricominciare. Una comunità da ricostruire, testimonianze dai luoghi del cratere», organizzato da Cronache Maceratesi, in collaborazione con Barbara Olmai. Cittadini terremotati, sindaci, rappresentanti delle categorie produttive e sociali hanno raccontato il dramma di non avere più nulla a causa del terremoto, unito alla tenacia di andare avanti ed alla ferma volontà di non abbandonare la terra dove si è sempre vissuti. La serata è stata moderata da Federica Nardi, Barbara Olmai e le conclusioni sono state tirate dal direttore Matteo Zallocco. Ha proseguito Cambi: «I danni dell’intera area terremotata, sono 25 miliardi, di questi la metà sono in provincia di Macerata che dunque ha 13 miliardi di danni, finora per questa provincia è stato stanziato solo il 2 per cento dei fondi disponibili, pari a 280 milioni di euro. La verità è che non ci sono soldi per ricostruire, per questo si preferisce dilazionare i tempi pagando il contributo di autonoma sistemazione, ve lo dice uno, che prende il Cas. Il quadro della ricostruzione è stato costruito per far lavorare le cooperative».
La denuncia di Cambi è giunta al termine di una serata ricchissima di spunti di riflessione. In apertura il video di Barbara Olmai ha mostrato i volti di chi tra Visso, Castelsantangelo e Ussita, non se ne vuole andare e chiede di avere un futuro, la solidarietà di quanti in questo anno «post bellico» nei tre comuni montani pressochè rasi al suolo, hanno cercato di aiutare e far sentire meno soli i residenti. «Non ero in condizioni di dormire da nessun altra parte, ho diviso il camper con una veterinaria artista, pur di non andarmene, vogliamo riprenderci la nostra vita, nessuno ci ha chiesto cosa vogliamo per il nostro futuro», la testimonianza di Patrizia Vita. «Ci siamo subito messi all’opera per ripartire, mio figlio che ha 22 anni è più attaccato di me alla sua terra», ha confessato Lina Albani dell’Albero del Pane di Visso.
Scene di guerra nell’immediato post terremoto a Visso, come ha raccontato Sara Rizzi, dal Bronx degli irriducibili che ancora stazionano in roulotte accanto al campo sportivo: «Ci siamo nascosti per evitare di salire sui pullman, mentre si evacuava il paese, siamo stati nel piazzale di un imprenditore che per quindici giorni ci ha dato la corrente, poi abbiamo preteso che il sindaco ci trovasse un posto. Tutte le mie cose sono in piazza, a Visso, a casa, ci sono rientrata due volte, ho paura e non rientrerò più. Sto con persone che mi sembra di conoscere da una vita, sappiamo tutto gli uni degli altri». Guido Focacci della Vissana Salumi chiede risposte alle istituzioni: «In quattordici mesi ne abbiamo fatto di cotte e di crude, la nostra idea è chiara, vogliamo tornare più in fretta possibile nei nostri luoghi nativi, non vogliamo dover attendere decreti normativi per presentare progetti, convegni inutili, se aspetteremo vent’anni a ricostruire le case, non ci saranno più le persone, noi vogliamo risposte dirette e sincere».
L’imprenditrice Orietta Maria Varnelli ha posto il tema su come affrontare la lunghissima fase, per cui si parla di almeno vent’anni, tra l’emergenza e la ricostruzione. «Questo dopoguerra, perchè tale è, deve essere un’occasione di rinascita e di ripensamento dello sviluppo dell’intero territorio regionale, al processo di ricostruzione deve partecipare la gente del luogo, sinora scarsamente coinvolta. Va attuato un percorso che tenga in sicurezza le comunità, di questo aspetto ci si occupa ben poco, va restituita speranza alle comunità, non ostacolando chi ha gli strumenti per farcela da solo, la strategia delle aree interne è il punto di riferimento da cui ripartire», le parole dell’imprenditrice.
E’ toccato poi ai sindaci, a partire da Giuseppe Pezzanesi, primo cittadino di Tolentino, affiancato da Franco Capponi di Treia, Roberto Paoloni di Belforte, Emanuele Tondi di Camporotondo, il direttore del parco dei Sibillini Carlo Bifulco, tracciare un bilancio dal punto di vista degli enti locali. Sono intervenuti al dibattito anche i rappresentanti di Confcommercio, Cgil, Confartigianato di Tolentino, i rappresentanti di Alter Ego e Comitato Tolentino 30 ottobre. «In tutto questo manca il dove vogliamo andare, non si pensa a come fare per costruire magari una scuola unica o un ufficio tecnico per più comuni, piuttosto di un tecnico comunale a scavalco tra enti diversi, i danni enormi al patrimonio culturale non sono stati del tutto quantificati», ha detto quasi a fine serata l’architetto Luca Maria Cristini, paladino dei beni culturali. «La ricostruzione deve essere l’argomento principale, anche se l’emergenza non è di certo finita – ha detto Matteo Zallocco, direttore di Cronache Maceratesi – incontri come questo danno fiducia e raccontano il coraggio del popolo dell’entroterra e il grande lavoro dei sindaci. Quello che preoccupa è il silenzio della Regione. E’ nostro dovere continuare a tenere accesi i riflettori, ogni giorno». Durante l’incontro sono stati proiettati in anteprima il video “Una comunità che resiste”, documentario realizzato da Barbara Olmai, e il teaser del documentario di Manuele Mandolesi “La vulnerabilità della bellezza”.
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