di Donatella Donati
Era uno studente liceale che parlava poco e seguiva le lezioni con interesse alterno, così dicevano i colleghi, ma con evidente passione per la letteratura e per l’arte, materie nelle quali era sempre preparatissimo, al di là delle informazioni richieste e delle lezioni ascoltate. Silenzioso, con l’aria apparente di chi pensa ad altro, stupiva poi per la sicurezza con cui si era impadronito delle informazioni che la scuola gli dava. Un giorno mi consegnò due paginette scritte a macchina sull’espressionismo e io rimasi colpita dall’acutezza delle sue osservazioni e dallo stile sciolto e sicuro con cui si esprimeva. Sono stata sempre molto attenta a non censurare con parole ironiche, o addirittura cattive, il comportamento inadeguato di alcuni studenti. Sono sicura di non avere mai usato nei loro confronti né ironia né censura e di aver cercato uno spiraglio per entrare nella loro personalità. Ci sono riuscita anche con lui, e proprio attraverso la presentazione d’immagini della pittura espressionistica, che io commentavo con poche parole, non il solito ‘guardate qui guardate la’ oppure ‘c’e dentro tutta l’anima del pittore’ e frasi dello stesso genere stereotipato, obbligandomi a dare informazioni sui colori usati, sui rapporti luce e ombre, sulla committenza e mai lasciandomi sfuggire frasi inneggianti alla presunta bellezza.
Che le mie lezioni non fossero state poi tanto inutili lo ha dimostrato dedicandomi il libro che ha scritto su Vittorio Sereni, edito da Scheiwiller, usando parole affettuose. Leggendo alcune delle sue poesie, ho ritrovato riferimenti a idee da me espresse su pittori e artisti, come se ci fosse stata una consonanza tra la mia impostazione critica di professore e le valutazioni sue di poeta. In quegli anni avevo introdotto al liceo un nuovo tipo di critica, quella iconologica di Panofsky e quella sociale di Hauser, per sottrarre le valutazioni e le descrizioni alla dittatura della critica ufficiale, al ‘purovisibilismo’ e alla ricerca sentimentale. Remo comprò i volumi consigliati e studiava su quelli. Dopo l’università l’ho conosciuto come poeta e come critico letterario e sono stata molto colpita dalla scelta dei titoli delle opere che scriveva, che avevano una grande importanza, in quanto riassumevano il suo stato di animo e quello che pensava della sua vita. La prima raccolta delle sue poesie, intitolata ‘Dopo’, annunciava già una attesa, un programma; l’ultima raccolta, ‘Preparativi per la villeggiatura’, non dava certamente spazio all’allegria delle smanie goldoniane, ma presagiva avvenimenti non lieti. In mezzo, ‘Musica da viaggio’ alludeva a certi momenti di felicità che l’arte e la letteratura concedono e ‘Atelier d’inverno’ al raccoglimento dell’artista. Remo Pagnanelli, tra i pochissimi maceratesi ad aver testimoniato con la sua vita una passione radicale per la letteratura e la poesia, dovrebbe essere un modello esemplare per le nuove generazioni di poeti, che pretendono di essere tali senza una paideia, una formazione, e, soprattutto, una continua ricerca del rapporto tra se stessi e l’arte.
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Non che il suicidio sia sempre follia. Ma in genere non è in un accesso di ragione che ci si ammazza. (Voltaire)