di Fabrizio Cambriani
È stato verso le sette del pomeriggio. Il cielo si è improvvisamente coperto di nuvoloni, prima grigi, poi sempre più scuri. Venivano, improvvisi, dal mare. Bassi e sempre più minacciosi. Quella che era una bellissima domenica d’estate con il mare calmo e il cielo terso, volgeva in tempesta. Un nubifragio che ha quasi spazzato via in un colpo solo il Partito Democratico. Il principale partito di governo. Sia nazionale che regionale. È stata una disfatta completa su tutto il territorio. Resta qualche roccaforte al sud e alcune sparute vittorie sparse qua e là.
Volendo usare un’espressione già rodata verrebbe da dire che si chiude una fase, ma non se ne riapre un’altra. I dati impietosi dicono che responsabile di questa macelleria politica è l’intera classe dirigente del Pd, Renzi in testa. Dopo il boom delle europee ha preso in mano la guida della nazione e ha portato a casa solo insuccessi. Oppure bocciature da parte degli elettori o dagli organi di garanzia costituzionali. Ha cominciato navigando su di un oceano sterminato e si ritrova a nuotare dentro un piccolo acquario da salotto. Peraltro in compagnia di pochi spelacchiati pesci mal colorati. A seguire tutti i massimi dirigenti del partito, a ogni livello, che potevano e dovevano correggere la rotta, ma non lo hanno fatto per pavidità. O per personale convenienza. La politica non perdona e non risparmia nessuno. E, come nel poker, vale la regola che adesso bisogna infierire sul perdente.
Non è stato un voto amministrativo, né locale. È stato un voto politico forte e chiaro. Contro il sistema di governo e contro il Partito Democratico di Matteo Renzi. Già quindici giorni fa le prime avvisaglie di sfratto. Ma per Renzi si trattava incredibilmente di “buoni dati.” Eppure il centrodestra, dormiente da anni e verosimilmente destinato ad essere impagliato e riposto come un soprammobile in salotto, resuscitava sulla scia di sconfitte mai analizzate nel tempo, né tantomeno elaborate da parte del Pd. In soli quindici giorni si è consumato il collasso definitivo di un partito e di un’intera sua classe dirigente. Che, per esempio, di martedì proponeva accordi con Forza Italia e giovedì indicava un listone con Pisapia. Un bipolarismo tendente alla schizofrenia politica che la gente non solo non apprezza, ma non capisce proprio. Che dire poi del gesto odioso e provocatorio di un governo che a marzo elimina i voucher, per evitare il referendum e li reintroduce a maggio, di notte e di nascosto? Ma anche dopo questa inedita Caporetto che cede al centrodestra moltissime importanti amministrazioni, la reazione di Renzi è che non è successo niente di grave. Costa dirlo, ma questi dirigenti politici e amministratori di primissimo piano, vivono in un’altra dimensione. In un mondo tutto loro che non contempla contraddittorio, né altra forma di dialogo. Vogliono, anzi pretendono adulazione e fedeltà cieca. Chiunque provi a opinare o insinuare solo qualche dubbio diventa, seduta stante, loro nemico giurato.
Pesantissimo il bilancio nelle Marche. Il Pd, dopo il primo turno lascia sul campo pure le rovine di Civitanova e Fabriano, con risultati da cappotto. Pensare che solo due giorni prima il governatore Ceriscioli, manco fosse il Marchese del Grillo (quello dell’io so io e voi non siete un cazzo!), firmava un decreto in cui nominava nella sua segreteria, nientemeno che la mamma di un parlamentare del PD, attualmente in carica, incurante di ogni reazione dell’opinione pubblica (leggi l’articolo).
Le Marche, a causa di questa sciagurata classe dirigente – che accamperà scuse e pretesti degne della miglior vena di John Belushi – si avviano a diventare rapidamente una ex regione rossa. Al netto di un diffuso, preoccupante astensionismo vince la destra. Nemmeno quella moderata che conoscevamo, propria di Berlusconi. Vince la protesta netta. Senza sfumature, né compromessi. A Civitanova Ciarapica, che al primo turno si è afferma solo timidamente, sbaraglia Corvatta. A nulla serve l’accordo dell’ultima ora con Ghio e i loro accorati appelli, in nome di un ignorato galateo istituzionale.
Vince dovunque la rottura radicale con la storia e con la tradizione, come nel caso clamoroso di Fabriano. Una recisione netta di quel cordone ombelicale che univa la città alle fabbriche della famiglia Merloni e ne facevano, in tutto il mondo un caso di scuola. Finito il tempo dei metal mezzadri, con lo stipendio sicuro e la terra che restituiva messi e vino, si apre una fase tutta ancora da scoprire. Anche se davanti non si intravvede niente. Se non la voglia di dire basta con la solita classe dirigente. A caldo verrebbe da dire che a Fabriano, vince la paura. Ma non sarebbe un’analisi corretta. Il dato della città, consegnata al Movimento 5 Stelle, credo sia più che simbolico. Coinvolge tutte le Marche e indica una direzione da tenere politicamente d’occhio.
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«nella tomba mi porto l’iPhone e l’iPad»
(Mirkoeilcane)
https://www.youtube.com/watch?v=3Gi7Z3-T_qQ
Chi è sconfitto politicamente da questa tornata elettorale e’ Ghio con tutte le prese di posizione in campagna elettorale contro Corvatta, poi gli out out contro Silenzi e poi a tre giorni dal ballottaggio ti ci allei. Credo che questa posizione abbia “schifato” sia i suoi elettori che gli stessi suoi candidati. La politica ha la sua “illogicità” ….
Giuste le considerazioni sul PD nazionale, alle quali aggiungerei uno dei principali sbagli di Renzi, sottaciuto nell’articolo di Fabrizio Cambriani: il fatto di non aver messo minimamente mano, dopo la sua prima elezione a segretario nazionale del PD, al suo partito, alle realtà territoriali del PD lasciate incautamente in mano ad avventurieri ed opportunisti della seconda e della terza ora. Il PD, con Renzi proiettato solo verso obiettivi di governo, si è sempre più chiuso in se stesso, schiacciato sui suoi amministratori (non immuni dai vizi del clientelismo e in qualche caso anche della corruzione), ed è divenuto in un breve volgere di tempo un’organizzazione del tutto inesistente, priva di legami con la società civile, senza che le laceranti primarie di volta in volta organizzate riuscissero a ridare vita ad un organismo agonizzante.
Quanto alle Marche e al segretario regionale PD Francesco Comi, è ancora più clamoroso il caso di una totale deriva del partito a causa del totale disinteresse nazionale.
Dopo quattro o cinque anni di batoste clamorose, persino nella sua città (dove 5 anni fa si era presentato pomposamente come candidato Sindaco, sicuro di stravincere, uscendone invece con le ossa rotte), Comi ha inanellato una sconfitta dopo l’altra sul territorio marchigiano ed ha mostrato una gestione del partito attenta solo ed esclusivamente alle proprie prospettive di rimanere comunque a galla. Dapprima ha cercato con manovre e trucchetti vari da prestigiatore (di cui è leader indiscusso) di essere candidato come presidente della Regione, per cui, rintuzzato in questa sua inaccettabile richiesta, è stato costretto, dopo aver bruciato ipotesi di candidatura validissime (penso a quella di Flavio Corradini, già Rettore Unicam) a mandare avanti Luca Ceriscioli, che sembrava una brava persona, e forse lo è pure, ma si è rivelato un politico inidoneo al compito assunto, dotato solo di presenzialismo compulsivo, di capacità clientelari inaudite (si vedano le nomine nel settore della sanità e, per fare qualche esempio, quelle scandalose della Sara Giannini e della madre del deputato PD Lodolini), di totale inconcludenza nella fallimentare gestione del terremoto.
Adesso il buon Comi allontana le colpe del disastro su altri (le divisioni, dice, hanno penalizzato il PD) e pretende disperatamente di rimanere segretario regionale (non a caso sostiene che i congressi si faranno a tempo debito), perchè solo rimanendo in questa carica può sperare, sempre grazie a manovre, trucchetti e calcoli sin troppo evidenti, di aspirare alla propria candidatura per il Senato.
A questo punto la domanda che io mi pongo, e con me credo anche molti marchigiani, è la seguente: tutta quella brava gente che pure c’è nel PD, quei parlamentari marchigiani che da tempo chiedono un forte cambio di rotta nel partito, quel Matteo Ricci che non può del tutto disinteressarsi delle Marche per fare il ventriloquo a livello nazionale dell’altro Matteo (Renzi), perchè non parlano, perchè non chiedono a gran voce che Comi, congresso o non congresso, si dimetta subito, perchè – in caso di prevedibile rifiuto del leader minimo marchigiano – non lo dimissionano in tempi velocissimi?