di Donatella Donati
Giacomo Leopardi dopo un breve soggiorno a Recanati alla fine degli anni venti dell’ ‘800, nonostante la volontà dei genitori di trattenerlo nel palazzo dove gli avevano predisposto un apposito appartamento, riuscì a tornare a Firenze perché i suoi più cari amici fiorentini si tassarono per consentirgli un dignitoso soggiorno. Nei primi anni trenta l’incontro con Fanny Targioni Tozzetti, nella cui casa è accolto con affetto, accese in lui il vero e più profondo grande amore che gli ispirò “Il pensiero dominante” una spontanea e appassionata esaltazione della grandezza dell’amore. In quegli anni conobbe e frequentò anche Carlotta Bonaparte, nipote di Napoleone, la cui amicizia gli fu di grande conforto e ne abbiamo la testimonianza in una lettera di proprietà del Centro nazionale di studi leopardiani in cui con un linguaggio semplice e affettuoso rimpiangeva la sua lontananza da Firenze per soggiornare a Londra esprimendo il forte desiderio di rivederla. In entrambi i casi Fanny e Carlotta hanno dimostrato una linea nuova della personalità di Leopardi quella giovanile e sincera di un uomo capace di esprimere i suoi sentimenti alle donne.
Da Firenze partì per Napoli dove morì. Ora Firenze lo ha accolto nel luogo più prestigioso delle raccolte d’arte, gli Uffizi, esponendo il manoscritto celebre dell’Infinito e altre sue opere minori ma non per questo meno importanti. Si ritrova così in compagnia di tanti capolavori conservati nelle Marche e appartenenti a chiese, diocesi, palazzi e musei devastati dalla serie di terremoti che dal 24 agosto torturano il territorio marchigiano. E’ stata dunque raccolta nell’Aula Magliabechiana degli Uffizi, da poco inaugurata, una selezione di opere provenienti dalle cittadine dell’entroterra appenninico delle Marche e la mostra sorprende per la loro inaspettata bellezza e per la storia culturale a cui sono legate soprattutto quella di esser lungo il percorso famoso che da Roma arrivava fino alla costa adriatica.
Tali opere su tavola, su tela, su tessuti, insieme con le sculture lignee e l’oreficeria testimoniano un’epoca di cultura figurativa a partire dal Medioevo fino al XVIII secolo. Vittore e Carlo Crivelli, Marco Palmezzano, Lorenzo d’Alessandro, Simone De Magistris, il Baciccio e il Tiepolo sono solo alcuni dei pittori presenti, mentre riluce la statua argentea di Sant’Emidio di Pietro Vannini e il Reliquiario di eccezionale fattura proveniente da Parigi e passato tra le mani di vari papi, ultimo Sisto V marchigiano che lo donò a Montalto Marche sua città natale. Il manoscritto dell’Infinito, opera di Giacomo giovanissimo, è esso stesso una pittura. L’uso che fa il poeta della penna è morbido e dolce come quello di un pennello, tutti gli spazi sono misurati, l’andamento delle righe è regolare, alcune parole sono più calcate. Chi guarda immagini perciò di trovarsi di fronte a un’opera pittorica oltre che letteraria.
Gian Battista Gaulli il Baciccio Conversione di san Paolo chiesa santi Lorenzo e Paolo borgo di Fiastra
Quanto alle parole usate ci sono ben 7 aggettivi dimostrativi che nel contrasto fra “questo” e “quello” creano una musicalità particolare che fa da guida al pensiero poetico. Penso che non sfugga al visitatore la ricchezza dei manoscritti esposti sul cui avvenire già si ragiona oggi essendo la mostra degli Uffizi aperta fino al 30 luglio. Ne ho parlato con il sindaco di Visso Giuliano Pazzaglini che in una situazione difficilissima sta dimostrando una grande capacità di impegno sostenuta dall’ affetto per la sua gente con una razionalità d’azione necessaria in momenti così sconvolgenti. Se il viaggio dei manoscritti di Leopardi è cominciato a Bologna dove erano raccolti sembra quasi logico che possa continuare nelle città dove egli è vissuto e ha scritto. A Firenze dunque ma anche a Milano dove l’editore Stella curò tutte le sue prime pubblicazioni, a Roma dove trascorse in casa degli zii Antici Mattei un periodo formativo importante, a Pisa dove dopo anni di sonno della poesia la grande ispirazione poetica si risvegliò suggeritagli da Silvia, anche a Pesaro dove i soggiorni presso la famiglia dei parenti Mosca gli hanno fatto incontrare note personalità della cultura del tempo.
Recanati e Napoli rappresentano le due pietre miliari della sua vita, l’una il luogo dove si sviluppò e crebbe la sua grandezza di poeta e di pensatore, l’altra dove la vittoria dell’amicizia sugli affetti familiari, il paesaggio vesuviano e l’appressarsi della morte trasformarono la sua poesia lirica in poesia civile. Incredibile poi la coincidenza tra la data della terribile eruzione vesuviana il 24 agosto del 79 d. C. e quella dell’inizio del dramma del cratere marchigiano il 24 agosto 2016.
Marco Palmezzano Madonna in trono e i santi Francesco e Caterina d’Alessandria chiesa dei Francescani Matelica
Salvo il “Transito di San Martino” di De Magistris a Caldarola
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Spero che ritornino al mittente ..
La data dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. è attestata da una lettera di Plinio il Giovane a Tacito. Nella variante universalmente ritenuta più attendibile del manoscritto, si legge nonum kal. septembres cioè nove giorni prima delle Calende di settembre, data che corrisponde al 24 agosto.
Questa data era stata accettata come sicura fino ad oggi, ma alcuni dati archeologici via via emersi mal si accordano con una data estiva. Ad esempio, il ritrovamento di frutta secca carbonizzata, di bracieri, usati all’epoca per il riscaldamento, di mosto in fase di invecchiamento trovato ancora sigillato nei contenitori (dolia) e, soprattutto, di una moneta ritrovata sul sito archeologico, che riferisce della quindicesima acclamazione di Tito ad imperatore, avvenuta dopo l’8 settembre del 79, lasciano supporre che l’eruzione sia avvenuta in autunno, probabilmente il 24 ottobre di quell’anno.