Trump, anche visto da New York, è lontano

DAGLI USA - Con la sua elezione ha sorpreso il mondo dimostrandosi inaffondabile ma a Manhattan, dove è nato, è un estraneo. Il docente di Unimc Gennaro Carotenuto racconta le impressioni dalla Grande Mela dove lo ha votato meno del 20% .

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gennaro carotenuto

 

di Gennaro Carotenuto

*Docente di Storia Contemporanea al dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Macerata è attualmente visiting scholar alla City University of New York

Stamattina nell’ascensore dell’edificio dove vivo, a ridosso di Central Park, a Manhattan, ci siamo guardati in faccia. C’era una signora asiatica, una ragazza probabilmente messicana, un giovane biondo e con gli occhi azzurri di quelli che qui chiamano caucasici, un signore nero sulla sessantina e dall’aspetto distinto e io, meticcio figlio di Annibale (Almamegretta), con la mia pelle tessuta in mille e mille anni di incontri tra le sponde del Mediterraneo. Ci siamo sorrisi con un po’ d’imbarazzo e infine ci siamo confessati la stessa costernazione per il risultato delle elezioni. È difficile da New York, la città della statua della libertà e che ha costruito il racconto di se stessa proprio sull’orgoglio di essere stata scelta dai derelitti, i profughi, i perseguitati, gli esiliati, gli affamati giunti da ogni parte del mondo, milioni dei quali dall’Italia, dire cos’è l’America di Donald Trump.

Questi a Manhattan non è neanche andato in doppia cifra prendendo un miserrimo 9,8%. Eppure vi è nato; già ricco, vi risiede in un grattacielo tra i tanti che portano il suo nome sulla Quinta Strada, ma è un estraneo. Nei cinque quartieri della metropoli, che domenica scorsa hanno accolto da tutto il mondo i 50.000 partecipanti alla Maratona, e hanno acclamato il terzo posto dell’americano, musulmano e di Mogadiscio, Abdihakem Abdirahman, la candidata democratica Hillary Clinton ha superato l’80%. L’hanno votata elettori di tutte le condizioni sociali, benestanti come poveri, con titoli universitari e non, di tutte le provenienze e di tutte le religioni che molto probabilmente non erano entusiasti di lei in quanto tale, ma che non prendevano neanche in considerazione l’idea di negare l’evidenza di una società che, citerei anche Vinicius de Moraes, dovrebbe essere fondata sull’arte dell’incontro e non sullo scontro di civiltà.

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Il neo eletto presidente degli Stati Uniti Donald Trump

La costernazione dei newyorkesi, come di tutte le grandi città del paese è ben riposta. Sanno di non rappresentare l’America, ma sanno anche che l’America non li rappresenta. Rispetto ai sondaggi, ormai meno affidabili dei tarocchi, in molti avevamo maturato dubbi sull’ottimismo democratico, sul non dire quanti limiti avesse la candidatura di Hillary Clinton, nonostante la novità storica del suo genere che avrebbe messo fine a un quarto di millennio di ostracismo sessista alla Casa Bianca. Nell’ultimo mese, criticato spasmodicamente dai grandi network dell’informazione, che non gli hanno risparmiato nulla, Donald Trump si è dimostrato inaffondabile. Non era bastata la sua straordinaria inesperienza su tutti i dossier internazionali, né l’inconsistenza di un isolazionismo virtuale e sul quale recederà appena insediato, né le volgarissime registrazioni nelle quali si dichiarava un priapo onnipotente libero di far propria ogni donna che desiderasse, perché tutte le donne lo avrebbero a suo dire desiderato, né le denunce delle signore molestate in ogni stagione della sua e della loro vita. A poco era servito l’imbarazzo per le continue uscite razziste, in particolare contro quelle milioni di lavoratrici e lavoratori provenienti dall’America latina, che in questo paese mandano letteralmente avanti la baracca. Quell’America che non è New York né San Francisco, né Boston né Seattle, conservatrice se non bigotta, bianca, anglosassone, protestante e anti-cattolica, aveva trovato il suo campione nel magnate travestito da improbabile eroe popolare. Lunedì sera a Washington Square, nel centro della movida studentesca di Manhattan, era comparsa perfino Madonna a cantare per Hillary. Non proprio una novità. Con quest’ultima, per la chiusura della campagna, c’erano Bruce Springsteen e Bon Jovi. Età media dei tre, intorno ai sessanta. Obama ha scaldato i cuori, sua moglie Michelle, la grandissima Michelle Obama, parlava un linguaggio universale. Perfino Bill, il marito sporcaccione della candidata, aveva ancora carisma da vendere. Lei no; l’essere primi della classe, e Hillary Clinton comunque la si pensi politicamente lo è, basta a conquistare le menti ma non i cuori.

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Sconfitta la democratica Hillary Clinton

Sono andato al grande party elettorale offerto dal Rettore della New York University: i maxi-schermi, il complessino, le bandierine americane, l’Empire State Building illuminato oltre le vetrate. La festa appena cominciata è già finita, implosa su se stessa quando la Florida ha preso la strada che di lì a poco avrebbero seguito l’Ohio, la Pennsylvania e tutti gli altri stati chiave. Nei giorni precedenti il Rettore aveva invitato a “votar bene”. Tra i tagli che opererà Trump fin dal primo giorno del suo governo, oltre al privare totalmente di assistenza sanitaria milioni di cittadini statunitensi smantellando otto anni d’impegno di Obama, vi saranno quelli al sistema educativo, all’università, alla ricerca scientifica e alle borse di studio per i meno abbienti. Il triste paradosso è che non solo i “parassiti” afrodiscendenti o latinos, vittime delle invettive del presidente eletto, ma anche i figli degli operai che hanno votato per Trump di quelle borse di studio avrebbero avuto bisogno.



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