Da destra il procuratore Domenico Seccia, il generale dei carabinieri Salvatore Favarolo e il prefetto Mara Di Lullo
La fine di un incubo per il Fermano. I carabinieri del comando provinciale di Ascoli in collaborazione con i Ros di Ancona, coordinati dal procuratore Domenico Seccia, hanno infatti chiuso il cerchio sugli attentatori che, negli ultimi mesi, hanno piazzato e fatto esplodere le bombe davanti a quattro chiese nel Fermano. Due le persone arrestate dai militari, sono due uomini residenti nel Fermano riconducibili al mondo degli ultras locale con presunti contatti anche con il sottobosco anarchico. Effettuati anche alcuni sequestri. Si tratta di Martino Paniconi, di 44 anni e Marco Bordoni di 30 anni, tutti e due di Fermo. In mattinata la conferenza stampa che ha chiarito tutti i dettagli dell’operazione (leggi il servizio completo su Cronache Fermane) .
Dopo cinque mesi fatti di assiduo e certosino lavoro, di appostamenti, indagini, analisi e intercettazioni ambientali, la Procura e i carabinieri di Fermo e di Ascoli piceno hanno dato un nome e un volto ai bombaroli. Una svolta decisiva nelle indagini è arrivata lo scorso 30 maggio quando i carabinieri hanno scoperto il covo dove le primule rosse degli esplosivi hanno costruito gli ordigni rudimentali fatti deflagrare davanti a quattro chiese del Fermano: un casolare in aperta campagna, abbandonato e fatiscente, a poca distanza da una delle quattro chiese nel mirino, quella di San Marco alle Paludi.
La conferenza stampa a Fermo
Al suo interno i carabinieri hanno rinvenuto delle micce, barattoli di lamiera e resti della lavorazione di ordigni rudimentali da cui è stato estratto anche del dna. In campo anche la polizia, entrata in azione su segnalazione di un mountain biker. Il ciclista, infatti, pedalando sulle colline attorno a San Marco alle Paludi, è passato vicino a quel rudere dove, all’interno, ha notato il materiale sospetto. Ed è scattata la telefonata al 113. Sul posto sono subito arrivati gli agenti del commissariato di Fermo e la polizia scientifica. Un prezioso tassello che si è andato a aggiungere al complesso puzzle ricomposto dai carabinieri che hanno condotto le indagini coordinati dalla procura diFermo. I detriti e il materiale, subito dopo il ritrovamento, sono stati posti sotto sequestro e spediti al Ris dei carabinieri che ha ricavato utili elementi per arrivare ai nomi e ai volti degli “unabomber” fermani. La strada delle indagini, per gli inquirenti, si è fatta leggermente in discesa il giorno in cui la quarta bomba, quella posizionata dinanzi alla chiesa parrocchiale di Campiglione, non è esplosa. Gli artificieri hanno quindi avuto la possibilità di recuperarla integra e farla analizzare dagli specialisti del Ris. E così gli investigatori hanno iniziato a unire i tasselli di quel puzzle che parte nella notte tra il 27 e il 28 febbraio scorsi dal portone delle abitazioni dei parroci, sul retro del duomo di Fermo. Lì infatti è stato fatto esplodere il primo ordigno. Secondo, in ordine di tempo, quello deflagrato l’8 marzo davanti alla chiesa di Lido San Tommaso. Poi, nella notte tra il 12 e il 13 aprile lo scoppio di una bomba alla base del portone della chiesa di San Marco alle Paludi. E infine quel quarto ordigno, il 22 maggio, piazzato davanti alla chiesa di San Gabriele dell’Addolorata a Campiglione di Fermo, l’unico a arrivare integro in mano al Reparto investigazioni scientifiche dei carabinieri.
Così questa notte è partita una vasta operazione dei militari con al seguito anche cani artificieri, che ha portato all’arresto dei due sospettati.
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Non c’è alcun collegamento con il Mancini
Se prima di dare fiato alle corde vocali si aspettasse la fine delle indagini da parte della migliore polizia del pianeta, di cui i Carabinieri fanno pare, si farebbero meno illazioni con i propri fantasmi mentali.