di Maurizio Verdenelli
“Caro Vanni, i Grandi non bisogna guardarli dal buco della serratura, nella loro privatezza e pure nei loro limiti umani o caratteriali. Occorre valutarli semplicemente ed esclusivamente in base alle loro opere”. Così, più o meno, parlò Umberto Eco ad un recanatese che molto si era indignato perché in quei giorni a cominciare dai giornali (“Il Messaggero”), passando per la Tv (Carlo Verdone interpretando il personaggio del benpensante) mettevano in dubbio la natura del rapporto, che peraltro era tipicamente nel costume letterario settecentesco, tra un suo celeberrimo antenato ed un amico passato alla storia. Ma quale ‘unione civile’, si direbbe oggi: si trattava di un sodalizio basato sulla comprensione umana e sulla condivisione di cultura e poesia seppure su Antonio (‘Totonno’) Ranieri continuarono nel tempo a restare dubbi sul fatto che volesse in qualche maniera illustrarsi della fama e dell’intelligenza del suo sodale: Giacomo Leopardi, il ‘Giovane Favoloso’ ormai immortalato cinematograficamente proprio e soprattutto nel periodo napoletano dal regista Mario Martone.
Umberto Eco così diceva al conte Vanni Leopardi di san Leopardo in merito alla ‘virilità’ dell’avo Giacomo peraltro mai messa in dubbio né da Eco né da Verdone che a chi scrive, in quegli anni 80 e di recente nel maggio scorso, a palazzo Marinozzi di Montecosaro propose una ‘restitutio ad integrum’, con tanto di scuse formali a palazzo Leopardi per conto del ‘benpensante’. “Delle lettere tra il Conte e Ranieri avevo letto proprio sul ‘Messaggero’ e a quelle mi ero ispirato per la ‘tirata’ scandalizzata del mio personaggio” mi ha ripetuto l’attore-regista in trionfo nelle Marche, lo scorso anno (leggi l’articolo).
Peraltro proprio in questi giorni è in libreria una ‘Comparazione tra Leopardi e Casanova’ ambientata nelle Marche che l’autore Lucio Biagioni ha scritto sciogliendo un ‘voto’ del suo relatore alla sua tesi in Estetica (laurea di Filosofia), il grande Eugenio Garin che proprio gli aveva proposto di sviluppare un tale inusuale percorso ‘doppio’. (leggi l’articolo)
E domani sarà la volta di un altro libro, come noto: “Pape Satan Aleppe” per i tipi di ‘La Nave di Teseo’ dell’editrice Elisabetta Sgarbi cui Umberto Eco aveva consegnato il testo rivisto e corretto. “470 pagine, con molte Bustine di Minerva (la rubrica tenuta su L’Espresso ndr” ha precistao la sorella dell’ex sindaco di San Severino Marche, uscita da Bompiani dopo l’acquisto da parte di Mondadori. Proprio in una di quelle ‘Bustine’ c’era stata la segnalazione a Vanni. Come mi riferì lo stesso conte, al telefono, che avevo raggiunto dopo un altro scoop (che un po’ aveva turbato, ricordo, la madre Anna) sulla morte di Giacomo. Che si scoprì, in quei primi anni ’90, dovuta ad una grave complicazione sopravvenuta ad un’indigestione di gelato, acquistato da Paolina Ranieri nella migliore pasticceria di Napoli, confetti cannellini di Sulmona (un collezionista ne deteneva alcuni ‘superstiti’) ‘annegati’ in un caldo brodo di manzo, in quel pomeriggio caldissimo di fine giugno mentre una carrozza aspettava il poeta sotto l’abitazione di Antonio.
Tanti ricordi nel nome di Leopardi ricordando Eco, la cui fama volò altissima sin dall’uscita del film ‘Il nome della rosa’ di cui il ‘nostro’ Dante Ferretti (che tra l’altro oggi compie gli anni e approfittiamo per fargli gli auguri) curò la scenografia. Personalmente ricordo ancora l’armadietto a doppio fondo, ideato da Ferretti in ossequio alla trama che prevedeva sicuri nascondigli. Ce le fece vedere il grande scenografo, quegli elementi (approvatissimi dall’autore del libro) nel corso di un incontro all’attrezzeria che era stato di Federico Fellini a Cinecittà con l’allora sindaco Anna Menghi, accompagnata dalla nipote di Dante, Renata Lelli e da Remo Matassoli, oltre che dal sottoscritto che dello stesso incontro era il gancio. Fu in quell’occasione ‘storica’ nell’inverno del ‘96, tra i cassetti-secretaire de ‘Il nome della rosa’, che Ferretti accettò l’incarico di assessore alla Cultura del comune di Macerata. Grandi speranze, grandi aspettative che decaddero di lì a poco nel marzo nel ’97, come arcinoto.
Erano anni in cui nasceva impetuoso il mito Eco. Studenti maceratesi di quelle generazioni si iscrivevano all’Università di Bologna e al Dams proprio nella prospettiva di poter seguire i corsi di un tale celebre Professore, docente di Semiotica, e poter aver l’onore di sostenere l’esame con lui. Tra questi giovani studenti maceratesi a Bologna, ne ricordo uno che dalla redazione del ‘Messaggero’ avrebbe fatto una splendida carriera giornalista: Emanuela Fiorentino, ora vicedirettore di ‘Panorama’ (leggi l’articolo).
Un ultimo ricordo, proprio dal palco dell’allora appena restaurato ‘Lauro Rossi’ che ospitava per un pomeriggio, sold out, Emberto Eco. Ci fu ad un certo punto una seppure trattenuta lite tra lo scrittore e il ‘fumantino’ fotoreporter del ‘Messaggero’, Pietro ‘Briscoletta’ Baldoni. Il quale, fedele al suo mestiere, intendeva ritrarre il professore che amava le Marche (a Mercatello Conca la sua seconda casa) da vicinissimo. Come sempre gli accadeva, peraltro. Eco non gradì affatto: non voleva l’obiettivo troppo vicino. E quindi quasi ‘cacciò’ dal palco il fotoreporter. Così di quel pomeriggio storico con l’autore del libro piuì celebrato del dopoguerra, rimase malinconicamente un’immagine ‘lontana’ dove si intuiva soltanto che quel signore, solo in mezzo al palcoscenico del ‘Lauro Rossi’, fosse Umberto Eco.
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Umberto Eco era molto più colto di Leopardi, aveva letto molti più libri, aveva una memoria più prodigiosa, pure proviamo a immaginare quali schifezze di poesie, paragonate a quelle di Leopardi, avrebbe scritto, se avesse osato scriverne e domandiamoci perché. Perché Leopardi era un genio rivoluzionario mentre Eco era solo un professore cioè una pip.pa. Allora questa ostinata censura patriottica e talebana sulla diversità del Nostro suona come un perpetuo insulto e una sacrilega violenza, non si tratta di guardare dal buco della serratura, di voyeurismo da liceali onanisti ma di risalire alle origini, di percorrere genealogie, di dare carne e sangue, passione e vita all’opera. Ranieri nella sua biografia ammette di aver dormito per 7 anni nel letto di Leopardi ma nega di avergli concesso quelle piene soddisfazioni che il Poeta era costretto a cercare presso “innominati” che si portava in camera. Questa pulsione misteriosa e irrazionale potrebbe insegnarci il rispetto per il sacro, per il trascendente, per il divino, potrebbe esserci preziosa, se poi uno vi vede solo ridicolo e vergogna dimostra di essere un po’ piccolino.
Già, a volte sembra proprio che la contronatura, diversamente dalla natura del canto a Silvia, sappia rendere poi quel che promette allor ( ma che non lo sappia Angelino sennò si sturba).