di Walter Cortella
Teatro di qualità al “Verdi” di Pollenza dove è andato in scena Bianco e Nero di Cormac McCarhty, per la regia di Gabriela Eleonori, interpretato da Saverio Marconi e Rufin Doh Zéyénouin. Dei loro personaggi non si conosce nemmeno il nome proprio. Sono identificati semplicemente dal colore della pelle, come Bianco (Marconi), un professore ateo e Nero (Zéyénouin), un ex carcerato di fede cristiana evangelica. McCarthy, considerato uno dei magnifici quattro della narrativa contemporanea americana, affronta il conflitto tra i diversi modelli di vita di due persone che si incontrano per uno strano gioco del destino, in una stazione della metropolitana. Il professore ha in animo di suicidarsi ma il Nero gli impedisce di gettarsi sotto il convoglio in transito. Scongiurato il pericolo, lo conduce con sé nella sua modesta abitazione. È un luogo misero, forse uno scantinato, adattato alla meglio, con suppellettili rimediate in chissà quale discarica. Sono vecchi mobili in stile anni ’50, di formica e acciaio. Una fitte rete di tubi idraulici a vista delimita lo spazio scenico. È questo il tugurio senza finestre dove Nero conduce il professore. E sembra quasi che lo voglia tenere prigioniero in quella stamberga. Chiude alle sue spalle la porta d’ingresso con catenacci, chiavistelli e lucchetti.
I bassifondi di New York sono un luogo poco raccomandabile, habitat ideale per ladri e delinquenti, ma forse Nero teme piuttosto che l’uomo possa fuggire per mettere in atto il suo insano gesto e farla finita con una esistenza di certo problematica. Il professore, comunque, non si allarma, anzi è sereno. Tra i due comincia, allora, un lungo e serrato dialogo. Nero è un uomo profondamente religioso. Ogni giorno è in contatto diretto con il Signore. Anche se non sente mai la sua voce, ne segue l’insegnamento e i dettami. Bianco è su posizioni antitetiche, forte del suo ateismo. Il dialogo si anima, si accende ed assume toni verbosi, al limite quasi della violenza fisica. E ogni volta che il professore esprime il desiderio di tornarsene a casa, Nero si calma e riprende il suo discorso. Trovano anche il momento di mangiare con gusto una sorta di purea, conservata nel vecchio frigo, chiuso anch’esso con catena e lucchetto. Lo scontro dialettico tra i due personaggi che dibattono sul significato della sofferenza umana, sull’esistenza di Dio e sul tema tragico del suicidio, finisce per coinvolgere in qualche modo anche lo spettatore che è portato a schierarsi ora con l’uno, ora con l’altro. Entrambi sono pervicacemente saldi nel sostenere le proprie tesi, ma la tematica è complessa, il ritmo, sempre più incalzante. Ogni frase è un concentrato di concetti profondi che richiedono tempo per essere metabolizzati. Spesso si finisce per perdere il filo del discorso che si fa oscuro, non facile da seguire. Ci vorrebbe più tempo per riflettere, ma non è possibile, il ritmo è serrato. Poi, pian piano, il velo che lo avvolge si squarcia e tra le sue maglie i messaggi si fanno più comprensibili.
È uno scontro duro, quello tra Nero e Bianco, uno scontro dal risultato sempre in bilico. Più volte il professore chiede di aprire la porta, Nero resiste e insiste, ma alla fine cede. Toglie, allora, tutti i fermi che serrano la porta e il professore esce di scena. È il momento della sconfitta. Nero si lascia cadere sulla sedia. Interroga il Signore e gli chiede con veemenza perché non gli abbia dato la forza di fermarlo. Allo spettatore resta il dubbio sull’epilogo della vicenda. Buio in sala. Bianco e Nero è un esempio di teatro di grande qualità, anche se il testo risulta arduo da assimilare. Bene ha fatto la Compagnia della Rancia a produrre questo spettacolo apprezzato molto dal pubblico del «Verdi», che ha seguito con viva partecipazione lo svolgersi dell’azione scenica. Una prestigiosa performance, quella fornita dal duo Marconi-Zéyénouin, diretto con maestria da Gabriela Eleonori. Marconi è un attore ormai arcinoto nel mondo del teatro, quindi ogni sua esibizione è garanzia di qualità. Lo ricordiamo nella sua ultima interpretazione in Variazioni enigmatiche di Schmitt. Al suo fianco un sorprendente Rufin Doh Zéyénouin, attore ivoriano da tempo residente in Italia, impegnato nel teatro e nel cinema. Per la cronaca, figura nel cast di Quo vado?, l’ultimo film di Checco Zalone, nel ruolo del capo villaggio. Dotato di ottima presenza scenica, di forte personalità e di calda e profonda voce, è stato un degno partner per Saverio Marconi. Bianco e Nero è uno spettacolo da non perdere, quindi appuntamento al prossimo fine settimana: tre serate all’Auditorium San Giacomo, a Tolentino. Info 0733 960059.
(In basso le foto di Franco Tomassini)
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