di Mario Monachesi
Aprile è senza dubbio un mese con poche tradizioni popolari, eccezion fatta per il giorno dedicato agli scherzi (pesce d’aprile) e per gli anni in cui vi cade la Pasqua. Ma non per questo è un mese meno importante degli altri. Anch’esso annovera una sequela di detti e proverbi che vale la pena ricordare.
“Io so’ aprile / più vago, curioso e gindile; / arbiri e frutti / faccio fiorire; / vi fo sindire / li celli a candare, giovene e vecchje / fo rallegrare”. La caratteristica principale di questo mese è, almeno era, la piovosità. Il suo detto più curioso e forse più importante quindi recita: “I quattro aprilandi / quaranta dì durandi”. Cioè se piove nei primi quattro giorni di aprile (altri sostengono il giorno quattro) per quaranta giorni pioverà. Altri proverbi inerenti questa caratteristica, importante soprattutto per la campagna, sono: “Aprile: ‘gni jornu ‘n barile”. “Aprì’, ‘na goccia a lu dì'”. “Aprile temperato, beatu lu villà c’ha somentato”. “Li tanti de marzu trona, li tanti d’aprì’ negne”. “Se pioe lu jornu cento (10 aprile), de fié’ no’ ne fai un crinellu”. “Aprì’ ce n’ha trenda / e sse ne pioesse trinduno; / pirdi la rincia (scrofa) ma rrimbi lu saccu”. “Se pioe de Sammarcu, / le vrugne dovenda fiascu”. “Se pioe de Sammarcu, / tutti li vaci (bachi da seta) va in baciacco (alla malora), ma ‘gni spica ne fa un saccu”. Diversi altri proverbi raccontano questo mese. “Aprì’, pare notte, è minzudì”. “Aprile: non te svistire”. “Aprile: non te scuprire”. “Aprile / lo bello tesse’, lo dorge durmire”. “Aprì’, / ramo corto, vellegna (vendemmia) lunga”. “Lo vì’ che stà su lu varrì'(botte piccola) / è bbono d’aprì'”. “Cepolla jindile / sèmenela d’agustu, strapiandala d’aprile”. “Chi monna (monda il grano) d’aprì’ / se ‘cquista lo pà’ è lo vì’; / chj monna de magghju, / più la perdita che lu guadagnu”. “De marzu se vutta un stracciu, d’aprì’ unu a lu dì”.
Prima di chiudere questo breve excursus su di un mese forse umile ma non per questo defilato, anzi centrale punto d’appoggio per la primavera, ecco alcuni per certi versi anche straordinari, fatti di cronaca. Il primo narra infatti che il 25 aprile 1356 nella chiesa di Santa Maria in Torregiana (o Torresana) per l’incredulità di un sacerdote, un’ostia consacrata, all’atto di venir spezzata incominciò a sanguinare. Il sangue oltre che nel calice cadde anche sulla tovaglietta dell’altare. A questa, portata immediatamente in cattedrale, venne cucita una pergamena con su scritto: “Heic fuit aspersio sanguinis D.N.I.C. de calice di XXV mensis aprilis anno domini MCCCLVI”. Il secondo, è la dedica che il 30 aprile 1849 Giuseppe Garibaldi, alla testa anche di una colonna garibaldina maceratese, sconfitti i francesi a Porta San Pancrazio (Roma), fece alla città di Macerata. Quarantasei anni dopo, il 30 aprile 1895 alla presenza di molte autorità, al suono di dieci fanfare e tra voli di colombi viaggiatori, veniva scoperta al centro dell’odierna piazza Garibaldi, allora “spiazzo di Ugolini” la statua a lui dedicata, opera dello scultore Ettore Ferrari. Per il discorso ufficiale intervenne il filosofo e politico Giovanni Bovio.
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