di Gianluca Ginella
La procura di Macerata va verso la richiesta di non imputabilità per Debora Calamai, la donna di 38 anni che la notte di Natale dello scorso anno ha ucciso il figlio Simone di 13 anni. Questo in base alla perizia svolta dallo psichiatra Gabriele Borsetti di Ancona, in cui il consulente nominato dal gip dice che la donna non era in grado di intendere e di volere al momento del fatto. Questo perché soffre di un «disturbo schizoaffettivo bipolare» scrive Borsetti nella sua diagnosi. Ciò potrebbe portare il pm Luigi Ortenzi, che coordina le indagini, a chiedere al gip la non imputabilità. Ma il sostituto in questi giorni, sempre in base ai risultati della perizia, potrebbe chiedere che Calamai venga messa in una struttura idonea alla sua patologia, anche perché, vista la quasi scontata richiesta di non imputabilità, la donna non potrà essere condannata ad una pena detentiva. Dunque, forse già nei prossimi giorni, Calamai dovrebbe lasciare il carcere di Sollicciano, a Firenze. Ma anche se non imputabile, la donna, se confermata la valutazione fatta dal consulente che parla di pericolosità sociale di Calamai, dovrà comunque affrontare un processo. Si tratterà di una istruttoria in cui verrà valutata solamente la misura di sicurezza da adottare per la donna. I giudici potrebbero poi non indicare una durata per la misura ma questa potrebbe essere definita nel corso dei controlli, che avvengono periodicamente alle persone sottoposte a questo genere di provvedimenti e che valutano se sussista ancora o no la pericolosità sociale.
Calamai, che è assistita dagli avvocati Mario Cavallaro e Simona Tacchi, potrebbe quindi restare in una struttura fino a quando non sarà più ritenuta pericolosa socialmente. La donna, che davanti al gip si era avvalsa della facoltà di non rispondere, nei colloqui con lo psichiatra Borsetti ha detto di essere consapevole di aver ucciso il figlio. Sarebbero state invece più nebulose le spiegazioni date al consulente sul perché di quel gesto.
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