Jesi

Il nuovo corsivo di Francesco Scarabicchi

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SCARABICCHI

Francesco Scarabicchi

La mischia dei passeri del giardino di Palazzo Pianetti a Jesi è un richiamo forte, oltrepassato l’ingresso, prima di salire alla Pinacoteca. Il pomeriggio di primavera, dopo il vento e le piogge, ha un’aria limpida e asciutta. Gli ospiti dell’albero, a centinaia, in una sorta d’incredibile convegno fra i rami e le foglie, in quell’ombra fitta, schiamazzano a più non posso. E’ un miracolo poterli ancora sentire, come se durasse senza fine una delle scene di “Uccellacci e uccellini” di Pasolini (1966) e sbucassero, da una siepe , Frate Ciccillo (Totò) e Frate Ninetto (Davoli), quinta di un sogno medioevale e francescano che, nel malinconico recinto settecentesco protetto da una ringhiera di ferro battuto, dona una sorta d’ingresso tra la magia e il sogno e dura fino all’atrio e su per la scala che conduce al piano nobile. L’ennesima stazione del mio viaggio dentro la pittura di Lorenzo Lotto ha il privilegio dello scomposto chiasso dei passeri che seguita fin dentro le stanze. Per ascoltarlo dall’alto, devio verso la Galleria degli Stucchi, in quella sorta di perfetto delirio di architettura, pittura, luce, colori, allegorie e simbologie nella fuga come in un infinito del tempo e dello spazio: ore, giorni, mesi, stagioni, gli elementi della natura, i continenti, il viaggio, i pianeti, le arti. Lasciarsi catturare dal corridoio è come precipitare nella vertigine di una fessura barocca dell’universo e perdersi per sempre. “Cristo deposto nel sepolcro” (già nell’ex Chiesa di S.Floriano, 1512), il dittico dell’ ”Angelo Annunciante” e della “Vergine Annunciata” (1525 o ’26), la “Pala di Santa Lucia” (1532) con i tre scomparti della predella (Santa Lucia davanti la tomba di S.Agata, Santa Lucia condannata, Santa Lucia trascinata dai buoi), la “Madonna delle rose” (1526-’27) con, nella lunetta, S.Francesco e Santa Chiara, la “Visitazione” (per l’altare di S. Francesco al Monte, forse del 1535, sebbene alcuni anticipino di qualche anno la data) con la lunetta dell’”Annunciazione”: questo il capitolo lottesco di Jesi, la sua ricchezza e il suo privilegio. Ogni ritorno al maestro veneziano qui ospitato è la ricerca del minore, dell’apparentemente invisibile o trascurabile, la necessità di rivolgere l’attenzione alle parti delle opere che meno chiamano o che sono implicitamente escluse ed emarginate dall’intensità delle figure dominanti, dalla centralità dei temi e dei personaggi, dalle fittissime trame tessute dal Lotto la cui maestrìa si esprime e condensa proprio nella minuzia di segni, gesti, sentimenti, percezioni, sfumature che il disegno e la pittura rivelano come interiori fili dell’umano. Eppure, scorrendo le tavole jesine, c’è una miriade di piccoli mondi, di cose e di oggetti muti che segnano la grandezza di questo artista che si fa sempre più contemporaneo ad ogni visita: ad esempio, nel “Cristo deposto nel sepolcro” (altissima partitura di dolore e di dramma orchestrata dalle mani, dai volti e dagli occhi), i paesaggi dello sfondo con uomini che scendono, in sella e a piedi, da una montagna brulla; la collina del Calvario con le tre croci e ancora i corpi dei due ladroni appesi, le scale e le figure umane indaffarate sotto, altri che si allontanano mentre due cani corrono e, sul fianco sinistro della collina, una piccola vela bianca che va a riva nel golfo marino; o gli oggetti riposti sul piano della mensola, nella “Visitazione”, e le violette e violacciocche sparse a terra ai piedi di Maria e delle donne.



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