A man over the influence

Il dilettantismo meticoloso di John Cassavetes in un film straordinario

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Chiara Pierini

 

di Chiara Pierini

Ci sono momenti felici, frane di consapevolezza rischiose, in cui la realtà pare appropriarsi della scena, e la scena della realtà. John Cassavetes (1929-1989) sapeva cogliere, nella simulazione, in ciò che è bugia per sua stessa natura, bagliori di autentica esistenza. Non amava incasellare la propria professione, non si attribuiva alcun ruolo eminente nella realizzazione di un film. Disse di sé: “Io sono un attore professionista e un regista dilettante”. Libero da arzigogoli cerebrali, trascinato da geniale istintività e dedizione, perseguiva una grammatica filmica impura, vivace, in apparenza disordinata, addirittura scandalosa. Per anni le sue creazioni sono state accettate, nel panorama hollywoodiano, solo alla stregua di esibizioni attoriali. Ci si accorse tardivamente delle profondità, degli squarci della condizione umana da cui quel cinema riemergeva sporco, nevrotico e carico di vita.

 

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John Cassavetes

 

Un’ opera, più di tutte, anche più di quello shockante esordio-manifesto che fu Shadows, dello splendido Faces, del crepitante Minnie e Moskowitz, dell’ estenuante Husbands, dell’ amaro The Killing of a Chinese Bookie e dello struggente Opening night, fu capace di parlare ad un vasto pubblico, senza cedere a compromessi: A woman under the influence (1974).

 

Venne distribuito in Italia come Una moglie, probabilmente percorrendo, non senza qualche ragione, una linea di continuità con Mariti. Vale la pena soffermarsi sul titolo originale, proprio per via  della sua difficile resa, della sua forma di frase troncata. Traduciamo, alla lettera: “Una donna sotto l’ influenza”. Influenza di cosa? Di chi?  Della propria mente chiassosa, dell’ incapacità di smaltire i millemila assilli di una dura vita semplice; dell’ amore mozzafiato per i figli; di un marito condizionato dal retaggio delle sue origini italiane, maldestro dispensatore di tenerezza; di una lotta tra i sessi che, nel fervore del tempo, non si curò abbastanza delle sfumature, e si lasciò alle spalle una piccola folla di esclusi.

 

 

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Locandina del film “A women under the influence”

 

 

Protagonista della storiaè una giovane madre di tre bambini sposata a un capocantiere. Mabel, questo il nome, mostra un candore di sentimenti, una schiettezza di pensiero, una frenesia di volontà che gli altri stentano a comprendere e ad accogliere. Il marito Nick non sa convertire il proprio amore in una concreta partecipazione. Tra loro c’è una vicinanza affettiva che collassa ogni qual volta lei “scompare”, per rifugiarsi nell’ isola immaginaria in cui il dolore cede il passo ad una liberatoria, pericolosa disinibizione. Preoccupato per i figli, Nick decide di far curare la moglie in un centro psichiatrico. Il ritorno a casa, dopo sei mesi, è celebrato con un imbarazzante banchetto. Per Mabel l’ emozione è troppa, nulla in lei sembra cambiato. Ma attraversando e superando una nuova terribile crisi, la famiglia si dispone al futuro con un benefico senso di rassegnazione.

Gli interpreti principali sono la moglie, l’amico, la madre e la suocera del regista: nell’ordine Gena Rowlands (Mabel), Peter Falk (Nick), Katherine Cassavetes (la madre di Nick) e Lady Rowlands (la madre di Mabel). La scelta di infiltrare nel cast familiari ed amici è una cifra identificativa del regista. Sul set s’innescava così un meccanismo di “perversa” genuinità; potremmo definirlo un esercizio d’ improvvisazione, a patto che si sciolga il termine dall’ accezione di alea. Gli attori improvvisano quando è concesso loro lo spazioe il tempo necessari ad una mobilità fisica e mentale, quando hanno modo di sorprendersi ed essere sorpresi in gestualità viscerali. Un gioco di ragionata faticosa immediatezza.

Tra lunghi piano sequenza e stacchi bizzarri, veri enjambements visivi, la macchina da presa pedina i personaggi ai limiti dell’ ossessione. Varca la loro area di intimità, evidenzia particolari accessori, nient’altro che soffi da un punto di vista strettamente narrativo. Una smorfia, uno sfiorarsi, un tremolio nervoso. Pochi secondi di puntualità decisiva.

 

 

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Fotogramma del film ” A woman under the influence”

 

 

Nell’ ultimo quarto d’ ora di pellicola Mabel, Nick e i bambini giostrano per la casa in uno stato confuso di panico, schizofrenia, violenza, per poi giungere ad una quiete dolcissima, arrendevole, quasi amnesica, da attestarsi con il rimbocco delle coperte e la risistemazione della sala. Il racconto sembra di fatto non concludersi, ed è forse questa apertura al domani che, pur senza illusioni, sottrae angoscia al dramma.

Alla cronaca della fragilissima calma ritrovata si sovrappongono, insieme ai titoli di coda, le note del fedele compositore Bo Harwood. Se nei giorni a seguire vi ritroverete a canticchiare il motivetto musicale, sarà per il segno lasciato da uno di quei rari finali incancellabili.

A woman under the influence è quello che si definisce un film “bellissimo”: poche altre definizioni sarebbero appropriate. La stessa di “straordinario”, usata sopra, è troppo ricercata, non abbastanza banale per essere vera, descrittiva di un sentimento che stringe a livello dello stomaco.

 

 



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