di Giandomenico Cicchetti
Tra le pubblicazioni italiane effettuate sul principiare del millennio, ve n’è una che guarda indietro, che si volge al passato per contemplarne l’oscuro, misterioso fascino: per viaggiare indietro nel tempo e lontano nello spazio: nella pittoresca Inghilterra, nella Russia sterminata e mistica, nella Francia bovarista, nell’Italia superstiziosa e rurale; saltando di libro in libro, girovagando tra i voluminosi romanzi ottocenteschi come ci si aggira in un castello stregato: non tanto per analizzarne la struttura e criticarne la tecnica, quanto per goderne l’atmosfera: la torbida malia di intrighi e demoni; forse esorcizzati, nei secoli seguenti, più dalla disillusione che dalla tecnologia.
In Il Male Assoluto (Mondadori, 2000), Pietro Citati opera una metamorfosi; riplasmando, riforgiando la letteratura da egli amata in nuova letteratura: un romanzo-saggio che avvince il lettore raccontando la storia di un secolo controverso, duale: in bilico tra progresso e superstizione, che sembra volersi aggrappare al Male Assoluto per congedarsi da esso; presentendo, tragicamente, l’imminente avvento di un nuovo Male: vago, quotidiano, minuto, immanente, indefinito, freddo, apatico, banale: che non è più lecito chiamare con tale nome.
Il Male Assoluto di Pietro Citati somiglia ad un bellissimo museo in cui sia esposta una collezione che consti di pezzi curiosi e preziosi: in questo museo atipico, le descrizioni degli autori sono affiancate a quelle dei personaggi; le trame dei romanzi vengono accostate agli eventi biografici; i diari e le testimonianze si intersecano con la letteratura: e grazie a questo sortilegio di Citati tutto diviene racconto, narrazione: il lettore si muove tra gli scritti come un visitatore, legge le pagine che parlano di Tolstoj, di Dostoevskij, di Collodi, di Verga, di Salgari, di Henry James, di Stevenson, di Dickens, di De Quincey, di Poe, di Flaubert, di Dumas: entra in diretto contatto coi reperti esposti, li mira a lungo o di sfuggita coi propri occhi, gli pare quasi di poterli toccare, di poterli far propri; e ne esce infine appagato, meravigliato, deliziato dalla singolare esperienza.
Chi visiti Il Male Assoluto, chi si precipiti (per dirla alla Manganelli) Nel cuore del romanzo dell’ottocento e ne riemerga, non vedrà l’ora di tornare sull’orlo del precipizio: per abbandonarvisi nuovamente, ancor più piacevolmente.
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