di Andrea Capodimonte
È innegabile che Gianni Celati abbia sempre avuto un suo rapporto tutto particolare con il cinema, già prima che si cimenti direttamente dietro la macchina da presa, nel ‘91, con un un documentario che è però anche un racconto nel racconto: Strada provinciale delle anime. Ma leggendo i suoi libri (soprattutto i primi) si ha sempre l’impressione di trovarsi di fronte a sequenze di fotogrammi molto nitidi, come se ogni piccolo capitolo di essi, vedi la Banda dei sospiri, fossero dei veri e propri cortometraggi che si sostengono l’un l’altro, proprio come scene di un film. Ed anzi, a dire il vero il suo primo libro si forma proprio sull’esperienza cinematografica. Parliamo di Comiche, pubblicato nel 1971 su proposta di Calvino, che ne aveva letto alcuni pezzi su una rivista. Ma come già suggerisce il nome del libro, la cinematografia che Celati va a studiare e rielaborare è quella comica, o meglio, quel genere che viene chiamato Slapstick movies, ovvero la comicità che scaturisce dal linguaggio del corpo. In Comiche, infatti, troviamo i protagonisti del libro alle prese con situazioni paradossali: cadono da palazzi, subiscono violenze ma sempre senza compromettersi o farsi del male.Tutto si svolge in uno scenario assurdo in cui la realtà nemmeno ha bisogno d’esistere. Precursori a cui lo stesso Celati dice d’ispirarsi sono i fratelli Marx, Stalio e Olio e naturalmente Charlie Chaplin. Ma ciò che rende veramente particolare quest’opera è che Celati costruisce il libro basandosi sugli scritti di un paziente ricoverato in un manicomio di Pesaro: la lettura stupisce e fa rimanere interdetti fin dalle prime pagine: C’era un ignoto nella notte dal giardino il quale senza tregua mi rivolgeva verbigerazione molesta e irritante dice: schioppate il professore. E: – schioppatelo Otero Otero Aloysio Aloysio. Sì, perché la sintassi è completamente stravolta e cerca di ricalcare appunto il modo di pensare e d’articolare frasi di un matto. E come spesso accade con Celati, il protagonista è un insegnante (o perlomeno crede di esserlo) e tutti gli altri protagonisti fanno parte di un istituto: troviamo tre maestri elementari che perseguitano il nostro protagonista, la direttrice Lavinia Ricci (che ha un debole per il protagonista, ma non si dimostra mai veramente disponibile) e altri personaggi strani (tra cui un aeroplano con cui Otero Otero scambia frequentemente due chiacchiere.
E’ a questo punto che viene da fare una comparazione: guardando Bianca di Nanni Moretti (1984) si ha come l’impressione, fin dalle prime scene, di trovarsi in Comiche: Michele Apicella è qui un professore che si trasferisce in un nuovo istituto (chiamato Marylin Monroe) che ha tutta la parvenza di non essere una vera e propria sede didattica: appena arrivato, Nanni Moretti (che tra l’altro fa cadere i suoi libri a terra e corre goffamente per non arrivare in ritardo) si trova davanti una scuola che non è una scuola: gli spazi sono riempiti da flipper, videogiochi tipici degli anni ‘80 e addirittura nella sala principale c’è chi fa palestra. Alle pareti troviamo fotografie e quadri che illustrano campioni del calcio italiano (al posto della foto del presidente della repubblica troviamo Dino Zoff con la bocca spalancata di gioia che alza la coppa del mondo). Poi il preside, che subito incalza Michele Apicella con domande che normalmente non si fanno ad un nuovo arrivato (lei è vergine?), mostra i suoi colleghi in un turbine di stramberie, proprio come vengono presentati i maestri nel libro di Celati. Il segretario, Edo, è nella sala principale a suonare il pianoforte cantando a voce altissima: subito viene scambiato per un professore di musica, ma in realtà il preside della scuola ci tiene a precisare come egli sia un genio matematico. Poi si va dal professore di storia che nel bel mezzo della lezione accende un juke-box in aula e fa sentire una canzone alla classe, ed infine il professor Vassallo che subisce le proteste degli alunni perché sta formando e non informando gli allievi (e tra l’altro il preside lo rimprovera perché ha letto in classe alcune sue poesie dedicate alla moglie). Ed infine l’ultimo che viene presentato è lo psicologo, che non è lì per gli studenti, ma per i professori, come ci tiene a sottolineare. Il film si muove in un clima di surrealità, e diverse scene ci rimandano a quel tipo di cinema che tanto ha ispirato Celati. Ad esempio, quando nella gita scolastica i professori intonano canzoni come fossero dei ritardati dagli sguardi inebetiti (con l’unica eccezione del professor Vassallo, che con sguardo mesto non accenna mai un sorriso).
A guardare attentamente, ogni altro personaggio di Bianca è sempre un doppio del protagonista, con cui lui non riesce a relazionarsi efficentemente. Appena arrivato, Michele incontra il suo vicino che si chiama Sirio Siri e da subito il protagonista è sospettato da un commissario (anche questo bislacco) dell’omicidio di una ragazza che abita proprio di fronte a lui (durante il film il commissario fa spiare Nanni Moretti, ma allo stesso tempo è anche Moretti che spia e sembra dare la caccia al commissario). Michele Apicella ha problemi con la sua personalità, infatti risulta agli occhi di tutti come un “buono” ma alla fine della storia verrà arrestato come assassino di tre persone. Più di una volta nel film il protagonista ed i suoi alter-ego (commissario e preside in particolar modo) vivono come se fossero dissociati: come se si alternasse il loro io-bambino ed il loro io-adulto: parti che non riescono a coesistere tranquillamente. E lo stesso possiamo dire dei protagonisti di Celati: lo stesso protagonista ha un nome doppio (Otero Otero Aloyso Aloyso) ed anche lui è convinto che tutto ciò che gli accada e tutto ciò che pensa esista realmente: spara con la mano all’aereo che vede nel giardino, come farebbe un bambino che gioca con l’immaginazione. Allo stesso modo Apicella è un bambino che non riesce a comprendere le relazioni umane, in particolar modo quelle che avvengono tra una donna e un uomo: uccide Aurora, la sua vicina, perché scopre che ha un altro; uccide poi la coppia di suoi amici perché hanno un rapporto aperto con altre persone. Michele esiste e non crede possibile che si possa parlare con qualcun’altro (e quando lo fa sembra portare aventi un terzo grado, con domande serrate, proprio come farebbe un commissario di polizia), come se esistesse il suo solo io e più che formarsi (come viene suggerito di tenere le lezioni al professor Vassallo) vuole informarsi. Allo stesso modo Otero Otero non riesce ad avere rapporti con altri ed anzi, pensa che gli altri possano addirittura entrare nel suo diario per cancellargli cose scritte.
Altro elemento che poi avvicina le due opere sono i denti. In Comiche spesso i maestri che congiurano contro il protagonista vorrebbero che gli cascassero i denti ( – che ti caschi un dente!) e sempre quando avviene una punizione o una violenza sono sempre i denti a cadere, ad essere “cacciati”. In Bianca, invece, i denti sono sempre messi in risalto, soprattutto nelle figure ambigue che frequentano l’istituto: il preside è sempre con il sorriso in bocca; Edo, il segretario, ha sempre la mascella sporgente, con denti da cavallo che bianchi spuntano e spiccano nell’immagine. Idem per i quadri e le fotografie appese ovunque: nel primo incontro tra il preside e Michele Apicella si nota sullo sfondo una gigantografia di Dean Martin e Jerry Lewis con le bocche spalancate. Ma sembra quasi che queste risate (soprattutto quelle del preside) siano risate derisorie, che non coinvolgono tutti ma solamente colui che ride; ed anzi, la risata sembra ogni volta quella sardonica che troviamo in C’è qualcuno che ride di Pirandello. Anche i denti sono, benché utlizzati sempre sullo sfondo di un sorriso, più vicini alla concezione pasoliniana: denti che sembrano zanne, denti che sembrano utili solo per triturare, piuttosto che mangiare. E proprio in Comiche questi denti, che dovrebbero essere uno degli elementi visibili e partecipi della risata, vogliono essere distrutti o estratti, come se si volesse togliere un elemento tipico: quasi che non ci sia bisogno di ridere, perché non è possibile ridere da soli; o meglio, non c’è niente da ridere. La risata è grottesca, legata a situazioni sessuali imbarazzanti che non fanno mai stare bene i protagonisti, ma che divertono a primo impatto lo spettatore, proprio come per un uomo che scivolando su una buccia di banana precipitasse a terra fragorosamente. Subito si scoppia a ridere, per la goffaggine, ma poi l’uomo potrebbe essersi veramente fatto male e allora uno vorrebbe “cacciarsi” i denti per aver riso della disgrazia di qualche altro.
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