di Enrico Marcucci
Valeria Ciangottini, sebbene artista che non ha bisogno di presentazioni, debutta alla tenera età di quattordici anni interpretando il ruolo di Paola ne “La dolce vita” di Federico Fellini. Giovanissima si specializza all’Actor’s Studio di Roma con Alessandro Fersen. Fin da sempre dedita alla resa teatrale, che tuttora porta avanti con grande successo, ha recitato in numerosissime serie televisive, da “I Giacobini” (RAI, 1962) a “E poi c’è Filippo” (Canale 5, 2006). Una carriera davvero intensa, che l’ha vista impegnata anche al cinema: si ricordano, ad esempio, “Le vice et la vertu” ( Francia, 1962) diretto da Roger Vadim, come pure “Squadra mobile Scomparsi” (1998) per la regia di Carlo Bonivento. Tra gli attori e registi con cui ha collaborato, Michele Placido, Marina Missiroli, Paolo Stoppa, Virginio Puecher, Gianrico Tedeschi, Neri Marcorè, Patroni Griffi, Sbragia, Calenda, Sergio Fantoni, Fabio Piccioni e molti altri ancora. Ha inoltre diretto fino all’anno 2000 la Scuola di teatro ed Associazione “Ottobre” a Città di Castello. Per un vero colpo di fortuna l’abbiamo incontrata nel fermano, a casa di amici comuni. E lei, nonostante di rado lo faccia, ci ha concesso l’immenso piacere d’intervistarla.
Come è iniziata la sua carriera nel mondo dello spettacolo? «E’ iniziata con il cinema. Ho debuttato all’età di quattordici anni nel ruolo di Paola ne La dolce vita di Federico Fellini. Nel frattempo avevo appena finito la terza media ed iniziato a frequentare il Liceo Internazionale. Avendo cominciato con il cinema mi resi conto fin da subito che l’importante, ciò che contava davvero per poter lavorare nel campo della recitazione, era professionalizzarsi il più possibile, fare una scuola di teatro e anche degli spettacoli teatrali, provare esperienze differenti in quest’ambito per poter acquisire quella sicurezza e quella capacità che con il cinema soltanto sembrava fosse poco, non essere abbastanza. Decisi perciò d’iscrivermi ad una scuola di recitazione e il laboratorio newyorkese dell’Actor’ s Studio fu quella che ritenni essere la più adatta alle mie aspettative.»
Cosa trattiene dal rapporto con Fellini e dalla lavorazione de La dolce vita? «Avevo tredici anni quando ho visto Fellini per la prima volta e quattordici quando abbiamo girato le scene del film. Fellini mi ha sempre trattato con estrema dolcezza, delicatezza; spiegava sempre tutto nei minimi particolari con molta calma, con estrema tranquillità. C’era un clima costante come d’affetto, di calore sull’intero set del film ed io non feci affatto fatica durante la lavorazione. Fui messa sempre a mio agio. Fu un lavoro bellissimo, un’esperienza stupenda e devo dire molto rilassante. Sembrava di essere quasi in una favola.»
Oltre a Fellini, con il quale ha fatto il suo ingresso nel mondo del cinema, c’è qualcuno che oggi potrebbe reputare essere stata una figura fondamentale per la sua carriera d’attrice, quasi un suo maestro? «Ci sto pensando. Sicuramente c’è sempre stato qualcosa d’apprendere in ogni circostanza e in ogni incontro quotidiano, sia a lavoro che nella vita privata, ma dovendo rifletterci meglio, potrei affermare che il regista milanese Fantasio Piccoli mi ha insegnato molto. Diversi attori attualmente riconosciuti sono stati preparati e hanno iniziato il loro percorso artistico con Fantasio Piccoli, da Romolo Valli a Valentina Fortunata, da Aldo Trionfo ad Adriana Asti, ma ce ne sono molti altri ancora. Devo dire che è stata una figura davvero importante per me. Ad un certo punto Piccoli fu mandato a dirigere il teatro San Babila a Milano ed io inizia proprio lì, con lui, il mio percorso teatrale nel ’69.»
Fin dal suo ingresso nel mondo del cinema l’abbiamo vista lavorare attivamente sia in Italia che all’estero, soprattutto in Francia. Ecco, crede che ci sia qualche differenza nell’approccio all’arte della recitazione e nel modo di fare spettacolo tra l’estero e l’Italia? Se si, quale? «Negli anni sessanta e settanta dello scorso secolo, lavorare in Francia era piuttosto piacevole perché c’era un clima di stima e di rispetto da parte del pubblico nei confronti degli attori. L’attore era, ed è tuttora stimatissimo e molto coccolato in Francia. In Italia invece di meno. Non si è mai tenuti troppo in considerazione a patto che tu non sia una star o che compaia spesso in televisione. Anche sul set l’atmosfera è diversa. C’è un clima amorevole tra la troupe e gli attori francesi che qui in Italia non è facile trovare. Certo, oggigiorno per fortuna è diverso. Si lavora in maniera differente da allora perché c’è la presa diretta e dei tempi da dover rispettare. Con la presa diretta tutti devono essere attenti, devono essere compartecipi alla scena che si sta girando. Prima invece c’era chi blaterava o sovrapponeva la sua voce alla tua che recitavi, dal momento che poi tanto saresti stato doppiato o ti saresti doppiato da solo. Non sempre c’era quel riguardo per la recitazione e per gli attori, quel silenzio che oggi sembra essere presente anche nel nostro Paese.»
Cosa ne pensa dello stato attuale della cinematografia e in special modo delle serie televisive italiane? «Se penso al periodo in cui facevo gli sceneggiati all’interno della RAI credo che ci fosse molta più preparazione e serietà per quanto concerne gli attori, i registi e le troupe. Si girava all’interno della RAI, la lavorazione era piuttosto diversa e più approfondita. Adesso invece si fa come nel cinema ma con tempi molto più stretti perciò la lavorazione non risulta straordinaria, anzi è più faticosa dal momento che sei costretto a girare tante e tante scene in uno stesso giorno. La qualità naturalmente dipende. Ritengo che una serie come quella de “Il commissario Montalbano” ad esempio, con quel regista strepitoso che è Alberto Sironi e quell’attore magnifico che è Zingaretti, non debba rispettare dei tempi così stretti come invece accade per lo sceneggiato televisivo. Dal mio canto credo che molte delle cose che si fanno o si sono fatte nel corso di questi anni in televisione, come miniserie o serie di sei puntate, fotoromanzi e via dicendo, siano un po’ poveri, come dire, di contenuto. Mi sono sentita davvero compiaciuta invece dell’Oscar vinto dal film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino. A mio parere un film di grande qualità che ci racconta – ahimè – della situazione corrente, smaschera la realtà dei fatti mostrandoci una parte d’Italia che balla spensierata sulle note della Carrà mentre corre sull’orlo dell’abisso (tanto per riprendere una delle primissime scene del film). Un film davvero significativo. Un cast eccezionale e poi Servillo è un attore che a me piace molto.»
Riguardo al teatro. C’è un genere teatrale o comunque un modo di fare teatro che preferisce o che magari sente più vicino alla sua concezione di fare teatro? «Credo che ogni artista debba seguire le sue necessità, utilizzare i canoni che crede più funzionali alla realizzazione delle proprie idee, delle proprie riflessioni, dei propri intenti tenendo sempre conto della situazione comune attuale, altrimenti si rischierebbe di trovarsi davanti ad un pubblico completamente ignaro dei temi in questione. Potrebbe andare benissimo un classico come un’opera contemporanea, l’importante è che il pubblico senta vicini i temi e le situazioni portate in scena e non resti spettatore passivo di fronte ad uno sfoggio d’abilità mimiche.»
Sta lavorando a qualche progetto in questo preciso periodo?
In questo preciso periodo no. Ho finito da poco un lavoro teatrale dal titolo “Sacrificio” tratto da un romanzo ambientato in Trentino. I registi dello spettacolo sono Elena Galvani e Iacopo Laurino, due giovani e bravi registi che abitano in Trentino. E’ stato un lavoro interessante, l’intera Compagnia era molto giovane e ben preparata. Sinceramente adesso non so con esattezza cosa farò, staremo a vedere.»
Che consigli darebbe ad un giovane che ha il desiderio di iniziare il suo percorso nel mondo dello spettacolo? «Innanzi a tutto devo fare una premessa. Tra le altre cose, sono molto soddisfatta del mio percorso artistico perché mi ha permesso di fare una bella vita, devo dire piuttosto divertente e ricca di scoperte. Ho viaggiato in diversi continenti, ho conosciuto parecchia gente, visto un’infinità di cose e fatto tante esperienze. E’ stato bello, perciò è un percorso che personalmente consiglio. E’ un lavoro bellissimo fare l’attore. Le difficoltà? Di difficoltà ce ne sono molte perché di attori se ne presentano ogni anno tantissimi ai provini e la selezione è davvero crudele. Non è detto che siano i più bravi ad emergere, a volte sono soltanto i più carini o le più carine ad essere presi, ma dipende, è sempre un terno a lotto. Bisogna essere preparati ed avere una certa professionalità. E’ perciò indispensabile fare una scuola specifica che aiuti a correggere i propri errori e avvii a questo ambito artistico nel migliore dei modi così che presto sarà possibile ottenere i requisiti necessari e i risultati non tarderanno ad arrivare. Un’altra cosa che credo aiuti molto in questo campo sia cercare di sviluppare in se stessi la maggiore curiosità possibile nei confronti della vita, degli altri, della realtà circostante insomma, in modo da creare continuamente dentro di se degli stimoli.»
Ha appena detto che fare l’attrice le ha permesso di viaggiare molto. C’è un viaggio in particolare che assume maggiore rilievo all’interno dei suoi ricordi? «Il viaggio -per così dire- più sensazionale che ho fatto, è stato quello in Sud America assieme ad una Compagnia con cui stavo recitando in quel periodo. Abbiamo portato i nostri spettacoli a Buenos Aires, a Montevideo, Lima, Santiago del Cile, a Caracas, a Rio de Janeiro, a San Paolo e in altre città di quella parte di continente. E’ stato un tour meraviglioso, stupendo.»
Facendo brevi ricerche in Internet è possibile leggere del suo rapporto con la natura e con gli animali. Come vive attualmente questo rapporto? «Beh, ho ventidue gatti, vivo in rapporti molto stretti con i miei piccoli amici e poi adoro la campagna, la amo immensamente, mi fa sentire a casa. Mia madre era di Città di Castello e mio padre di Umbertide, altro paese umbro in provincia di Perugia. Anche se sono nata a Roma ho trascorso interamente la mia infanzia in campagna mentre il resto degli anni, per motivi di lavoro, praticamente sempre in città. La città la trovo sempre più affannante e pesante perciò sono davvero felice di essere potuta tornare a vivere in completa libertà in campagna.»
Una specie di ritorno alle origini… «Ebbene, si.»
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