“Isole ecologiche : rifiuti o abbandoni?”

LA LETTERA - La nostra lettrice Tamara Moroni rivendica il diritto dei cittadini di farsi proprietari di un bene di cui altri si sono disfatti

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Isola Ecologica - Recanati -Continua il dibattito sulle isole ecologiche e sull’impossibilità di recuperare quanto viene depositato all’interno. Dopo Luca Tombesi (leggi la lettera), sul tema interviene Tamara Moroni: 

Sono davvero tante, innumerevoli, grandi o piccole, le cose che via via spariscono ogni giorno. Dai calzini del bucato a oggetti di uso quotidiano, fino ai ghiacciai, alle isole, ai laghi, come nel caso recente e clamoroso di un piccolo lago in Bosnia, che nel giro di una sola settimana è letteralmente scomparso con tutti i pesci e le piante acquatiche presenti , lasciando al suo posto un cratere molto più vasto e profondo. Allo stesso modo spariscono anche cose immateriali, quali i diritti, che non essendo oggetti fisici ,è facile supporre, la loro sparizione possa ancor più sfuggire alla vista di tutti. Dove finiscano calze e calzini appaiati una volta entrati nella lavatrice resta ancora un mistero, mentre per tutti gli altri fenomeni , prima o poi, la spiegazione arriva, ma i diritti , invece , dove fanno a finire? Forse, una volta scomparsi si trasformano in qualcosa di opposto alla loro natura originaria da non essere più riconoscibili ? Oppure restano gli stessi ,ma ad esclusiva facoltà di qualcuno soltanto? Prendiamo ad esempio quel diritto di cui all’ art 923 del Codice Civile che regola l’acquisizione della “ res derelictae”, la cosa abbandonata, tipicamente rappresentata dal bene mobile depositato accanto al cassonetto dell’immondizia, dove è bene evidente la volontà del proprietario di disfarsi di un dato oggetto, con la conseguente possibilità per chiunque di potersene appropriare. Modalità di occupazione di un bene secondo diritto, che da tempo giace però sulla carta, da quando cioè il deposito di materiali non rientranti nella raccolta differenziata e il porta a porta, avviene obbligatoriamente nelle isole ecologiche, dove, una volta entro quel perimetro con tanto di guardiano e telecamere di sorveglianza, il bene mobile passa ipso facto di proprietà alla società di smaltimento, e dunque, nessuno da quel momento può più esercitare il diritto ad impossessarsene. Eppure, ogni giorno nei container delle isole ecologiche confluiscono notevoli quantità di beni non ancora giunti a fine ciclo di vita, che possono perciò essere ancora utilizzati o riutilizzati, anche solo nelle parti di ricambio, e dove non è raro trovarvi persino oggetti che non hanno mai avuto vita precedente, come sanitari nuovi di zecca e cartoni interi di mattonelle ancora nei loro imballaggi di fabbrica, poiché per appartamenti di nuova costruzione c’è chi preferisce personalizzare le pavimentazioni e i rivestimenti di bagno e cucina. La grave crisi economica degli ultimi anni , sì è vero, in parte ha ridotto il volume dei rifiuti in genere – risvolto senz’altro positivo in termini ambientali e di costume- ma resta il fatto , che con l’obbligo di conferire i rifiuti ingombranti nei centri di raccolta non esiste più per nessuno alcuna cosa che possa dirsi abbandonata. Al cambiamento culturale e legislativo si accompagna quello terminologico, per cui la cosa abbandonata viene soppiantata di prassi dalla parola rifiuto , nella cui accezione per le imprese che operano nel settore è compresa ogni tipologia di materiale di scarto e merceologica: dall’umido al vecchio comò, dal contenitore di plastica alla statua da giardino , dalla carta al baule, dall’alluminio all’elettronica , dal vetro al giocattolo. Una variazione semantica dunque di non poco impatto sulla realtà e sul diritto (positivo ?) , dal momento che dietro il termine di derivazione latina, la cosa abbandonata esprimeva in sé un concetto in cui ad emergere più marcatamente era la volontà individuale unitamente al carattere più psicologico dell’azione, quasi di distacco affettivo da un lato per l’ animus derelinquendi, mentre dall’altro, l’ animus occupandi , di fortuità a poter far proprio un oggetto d’ interesse con il semplice atto di prelevarlo , e però allo stesso tempo anche con una implicazione negativa nel termine abbandono, ovvero di incuria rispetto il luogo dove l’oggetto veniva lasciato. La sua sostituzione con rifiuto, che omologa ogni tipo di scarto, azzera di fatto la volontà individuale di poter occupare una cosa abbandonata, e va oltre, fino a trasformarla in un illecito.
Date le premesse, viene spontaneo porsi le seguenti domande: poiché per i cittadini, dietro pagamento di tasse specifiche per la raccolta dei rifiuti solidi urbani, vi è anche l’ obbligo di portare presso le isole ecologiche determinate categorie di beni di cui ci si vuole disfare, per quale automatismo giuridico una volta dentro il recinto del centro di raccolta la proprietà del bene passa alla società di smaltimento? Basta, è sufficiente, la direttiva UE finalizzata a promuovere il riciclo , che attraverso la normativa regionale detta le proprie linee alle amministrazioni comunali, le quali a loro volta realizzano i centri del riuso accanto alle isole ecologiche, a ristabilire il godimento di quel diritto di cui all’art. 923 del C.C ? Alla luce dello stato attuale, e tanto più perché i centri di riuso sorti in Italia sono tuttora numericamente pochi, e solo in città di certe dimensioni ( Macerata , nello specifico , non si è ancora dotata di un centro del riuso nonostante la Delibera di Giunta di maggio 2013 con cui veniva istituito, ) la mia risposta a questa domanda è no, perché anche quello dei centri di riuso è comunque un servizio mediato da terzi – affidato a cooperative o altri soggetti incaricati -cui spetta selezionare determinate quantità e valutare lo stato dei beni da includere tra i riciclabili, per poi essere da questi assegnati con varie finalità di recupero,mentre tutto il resto va al macero. Oltre questo, l’aspetto monetario. I centri del riuso possono infatti cedere , o gratuitamente , in particolare alle cosiddette fasce più deboli della popolazione un tot di oggetti e non più in un dato arco temporale, oppure a basso prezzo. E dire, che per generazioni, tanti padri di famiglia hanno più che sbarcato il lunario con lo svolgere mestieri ormai da annoverare tra le tante cose smarrite che dicevo inizialmente. Penso allo straccivendolo, l’ambulante , il robivecchi, che col furgoncino, l’ape o il carrettino a mano, passavano periodicamente di casa in casa , chi a raccogliere indumenti, materassi, ferrame, chi carta e cartoni, e che con queste attività senza pretese, senza titoli né contratti, fornivano per contro un servizio gratuito di pubblica utilità; incombenza che oggi spetta invece al singolo cittadino, col caricare ogni sorta di ingombrante sulla propria utilitaria fino a portarlo al più vicino centro di raccolta del proprio Comune.
Per concludere, ecco dove è finito il nostro articolo del Codice Civile, anch’esso nelle moderne isole ecologiche, depositato nei cassonetti traboccanti come scrigni pieni di preziosi delle leggendarie isole del tesoro, insieme ai tanti beni di consumo da smaltire, e senza nemmeno più alcuna possibilità di recupero».



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