di Daniele Referza
Una buona occasione per riflettere su che cosa sia la filosofia e perché si continui a proporla come qualcosa di veramente decisivo per la nostra umanità: così si potrebbe descrivere il convegno organizzato per il 50° anniversario dalla nascita della Facoltà di Lettere e Filosofia (1964-2014). In due sessioni piuttosto differenti (l’una presso l’Aula Magna dell’Università e quindi più “pubblica”; l’altra al cuore della Sezione di Filosofia) si è articolata così un domanda che intercetta un sentire tipico del nostro tempo: perché la filosofia?
Nell’intreccio dei vari relatori (Antiseri, Natoli, Danani, Alici, Da Re, Giovanni Ferretti, Mignini, Silvia Ferretti, Gabrielli) si è sviluppato un discorso sull’utilità della filosofia e dunque sul suo “futuro”. Nessun futuro, però, si dà senza una memoria del passato: in questo senso, le testimonianze dei docenti e dunque i vari racconti del loro vissuto professionale hanno costituito il “cuore” dell’evento. La domanda a cui tutti hanno tentato di rispondere è stata la seguente: “fare filosofia: per chi? Per che?”, la quale mi sembra una questione molto interessante.
Per chi? Alcuni hanno risposto che si fa filosofia “per se stessi”, come forma di cura per la propria esistenza. Allora la filosofia, come dicevano Natoli, Da Re e Mignini, si declina come autoriflessione, come responsabilità critica per il proprio giudizio, come nutrimento dell’anima. Si può fare filosofia anche “per altri”: in questo caso possiamo intenderla come una maieutica, ossia un domandare che mette l’altro nella condizione di cercare da sé il senso della realtà. Nella stessa maniera possiamo intendere il “fare filosofia” come un vero e proprio stato politico: riflettere, porre questioni ingombranti e critiche, saper valutare il peso dei concetti che usiamo quotidianamente nel linguaggio significa avere un contributo da dare alla città in cui si vive. La capacità tipica del filosofo di saper entrare nel modello di pensiero di un autore e di passare poi ad altri modelli rapportandoli fra loro e riuscire ad avere, in relazione a quelli, un giudizio autonomo, libero e fedele al medesimo tempo è ciò che Giovanni Ferretti ha chiamato la sapienza che la filosofia può consegnare al mondo nella forma di un servizio fatto nella ricerca della verità.
Su questo punto mi soffermerei: la ricerca della verità è oggi una pratica perlopiù malvista, scoraggiata dagli scettici più accaniti e falciata anche dal senso comune, nel quale domina un relativismo pratico a tratti anche paradossalmente dogmatico. Se ci troviamo al mercato, al bar in pausa dal lavoro o nelle aule di un dipartimento universitario, ciò che risulta condiviso da tutti è che la verità “non si possa dire” o che al limite essa sia questione propria delle “scienze esatte”. La verità è così ridotta ad un oggetto da ricercare in laboratorio e da mettere da parte nelle questioni di tutti i giorni, per evitare discussioni considerate “inutili” e “inconcludenti”.
Ma di fronte alle grandi domande dell’uomo (perché esistiamo? Che senso ha la mia vita? Perché la sofferenza? etc..) restiamo come spiazzati perché non abbiamo alcuna familiarità col mantenere accese nel cuore queste questioni: diamo risposte sbrigative, generaliste, qualunquiste, minimaliste giusto per tappare i buchi del nostro subconscio. Non abbiamo tempo di lasciarci attraversare da tali domande e, quando ci scontriamo con esse per eventi che ci capitano, siamo come inondati da un oceano e rischiamo di affogare, perché non eravamo affatto preparati ad una simile eventualità.
La filosofia può dunque rispondere a tali questioni? Può fornirci delle risposte? Risponderei di no. Ma essa può, senza dubbio, renderci meno impreparati di fronte a tali eventi. La filosofia è una costante frequentazione con le questioni centrali dell’esistenza: “ricercare”, in questa scienza, è un’apertura di senso di fronte ad una domanda posta nella sua radicalità. Essa è, se posta in questo modo, sempre una domanda di verità o meglio della verità. Essere in attesa, restare vigili, accogliere l’ampiezza di una questione radicale senza porre delle barriere di auto-difesa: questa passione (nel senso del pathos che è anche patire) è il nucleo sorgivo della filosofia. Intesa dunque come via sapienziale (e non più come erudizione né come passatempo per chi può permetterselo e neppure come gusto del dubbio e del “disaccordo” ad ogni costo) essa avrà sempre “un futuro” poiché sarà fedele alla dignità che ciascun essere umano reca in sé.
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