E come possiamo (anche oggi) noi cantare

Mario Monachesi rilegge in chiave moderna grandi capolavori della poesia
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Mario Monachesi

Mario Monachesi

di Mario Monachesi

Ricordate la poesia “Alle fronde dei salici” di Salvatore Quasimodo, scritta con tutto il dolore possibile e impossibile dal poeta siciliano per tentare di descrivere l’orrore brutale (se non animale) dell’occupazione tedesca sul nostro territorio?
“E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento”.

Da quel tempo é forse mutato qualcosa? La ferrea occupazione tedesca, complici i nostri ingordi ed asserviti politici, oggi difatti continua. Per maggior chiarezza rileggiamo, aggiornata, la stessa poesia.
“E come possiamo noi cantare
con il piede tedesco ancora sopra il cuore,
tra i suicidi abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio europeo, al lamento
d’agnello dei giovani, all’urlo nero
della madre che va incontro al figlio
disoccupato sul palo del telegrafo staccato dei politici?
Alle fronde dei sadici, per vuoto
anche le nostre speranze sono appese (spese?),
oscillano lievi al triste vento della miseria irrispettata”.

Un’altra poesia, se mai ve ne fosse bisogno? Eccola. Sempre di Quasimodo.
“Milano, agosto 1943”
“Invano cerchi tra la polvere,
povera mano, la città é morta.
E’ morta: s’é udito l’ultimo rombo
sul cuore del Naviglio. E l’usignolo
é caduto dall’antenna, alta sul convento,
dove cantava prima del tramonto.
Non scavate pozzi nei cortili:
i vivi non hanno più sete.
Non toccate i morti, così rossi, così gonfi:
lasciateli nella terra delle loro case:
la città é morta, é morta”.

Rileggiamo aggiornata pure questa.
“Invano cerchi tra la polvere,
povera fame, la città é morta.
E’ morta: s’é udito l’ultimo tonfo
sul cuore del Naviglio. E l’usignolo
é caduto dall’antenna, alta su quel che non passa più neanche il convento,
dove mangiava prima del tramonto.
Non scavate pizzi nei cortili:
gli ultimi vivi non ne hanno neanche più sete.
Non toccate i morti così resi (rasi), così sgonfi:
lasciateli nella terra dei loro casi:
la città é morta, é morta”.

Questo “esercizio” potrebbe proseguire all’infinito, (potrei continuare soprattutto con “Se questo é un uomo” di Primo Levi, che non ha neppure bisogno di aggiornamento, tanto rispecchia anche questi nostri tempi), ma per chi vuole intendere credo che basti. Ciò che invece non basta é l’impegno del popolo, quello vero, l’unico ed autorizzato partito o movimento di maggioranza assoluta, che se unito (e non diviso dalla politica politicante, da politici per “pollitici”) rappresenterebbe la soluzione a tutti i propri mali. Diamo all’Italia una nuova resistenza. La stessa che negli anni ’60/’70 cantavano e praticavano in Cile gli Inti-Illimani (ma non leggetela politicamente). Da “El pueblo unido jamas sera vencido”: “Il popolo unito non sarà mai vinto! In piedi, cantiamo, che trionferemo…” (…) “In piedi, marciamo, che il popolo trionferà, sarà migliore la vita che verrà”. (…) “E ora il popolo che si alza nella lotta, con voce di gigante grida: avanti. Il popolo unito non sarà mai vinto”.
I politici non ci ascoltano, ci massacrano socialmente e psicologicamente (anche in nome dell’Europa tedesca), invece delle masse affamate preferiscono difendere sia i ricchi che i loro privilegi. Cerniamoli, scrolliamoceli allora, che oramai tanto é chiaro, “dell’ou ci danno la coccia”, tassandocela pure. Facciamoci democraticamente “scoprire” uniti, vinceremo senza alcun dubbio questa oppressione sociale che oggi ha condotto un 10% della popolazione a detenere più del 46% della ricchezza totale. Di Mastrapasqua si accorgono solamente oggi. Quanti ce ne sono ancora? Di tutti gli altri, a Roma, quando si accorgeranno? Con calma, è ovvio, con tutta la calma politica possibile. Nel frattempo il Paese dei tanti “che non ce la fanno più” mangia – quando mangia – cibi scaduti, sopporta scippi, furti, attese sanitarie, tasse e bollette che superano pensioni e stipendi.
Un popolo unito non sarà mai vinto: vincerà.
Concludo con una mia recente poesia.
“ITALIANO”
“Il pasto
di mezzogiorno
gli e lo mangiano
politici in servizio
politici in pensione
manager d’oro
affaristi
furbi
carri
carrozzoni
banchieri
leggi inique
bollette
altro
altro ancora.
Così la cena.
A mezzanotte
nella poca casa rimasta
il suo sogno
non sa più
che dire.
Non dice.
Osserva la morte
quale ultimo
atto d’amore rimasto”.



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