Un costume niente male

Una giornata al mare fra antiche tradizioni e nuove mode

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La-spiaggia-di-Civitanova-1958-300x235di Gabor Bonifazi

Una giornata al mare, non solo per vedere come sono cambiati i costumi… da bagno e i comportamenti della gente, ma anche per vedere se le nuove costruzioni sono compatibili con gli insegnamenti dei trattatisti quali Vitruvio che nel “Il De Architettura” stabilisce i suoi principi (firmitas, utilitas e venustas) o Leon Battista Alberti che nel “De Re Edificatoria” scrive: “Prima norma dell’architetto urbanista è di scegliere tra tutti un ambiente che sia libero da formazioni di nebbia e da qualsiasi addensamento di vapori”. E ancora meglio per quanto riguarda il nostro caso: “ …si dovrà avere l’accortezza nel costruire in zona litoranea, che la città non risulti troppo vicina alla spiaggia”.

La civiltà ha preferito il mare come via di comunicazione, dai Fenici alla Repubblica Veneta che, oltre ai legnami e alla pietra d’Istria, ci ha mandato una sequela di artisti tra cui Lorenzo Lotto, Carlo e Vittore Crivelli, Tiziano, e scrittori come Giacomo Casanova ed Enzra Pound. Se idee, arte e architettura hanno veleggiato insieme alle merci fin dal periodo dei Piceni, che usavano il Porto di Numana per i traffici verso la Grecia, spesso le insidie venivano dal mare, come a Porto Recanati dove sbarcarono i Saraceni alla conquista del tesoro della Santa Casa di Loreto.

Non c’è dato sapere quando l’acqua del mare cominciò ad essere usata per i bagni, anche se non c’è dubbio che il turismo balneare abbia avuto origine alla fine dell’Ottocento, grazie alla costruzione della rete ferroviaria e alla strada statale adriatica che allora passava lungo il corso principale. Agli inizi del Novecento si iniziarono a costruire i primi villini e, una volta scoperti gli aspetti benefici della balneazione e soprattutto quelli legati ai bagni di sole, che originarono le più svariate teorie nell’elioterapia, si costruirono le prime colonie marine: particolarmente significativa è la “Casa del Balilla” di Civitanova Marche, progettata dall’architetto Adalberto Libera nel 1931.

Tipo-da-spiaggia-in-mutade-1956-211x300Bisogna arrivare agli anni ’60 per vedere i primi tentativi di valorizzazione della spiaggia e ricordare una donna “Legata ad un granello di sabbia”. Negli anni Sessanta venne rilanciato il “Kursaal” e nacque “LaBarcaccia” per competere con “La conchiglia verde” di Sirolo. Nello stesso periodo i pescatori si improvvisarono bagnini e tutte le sere ritiravano nei capanni ombrelloni e sedie a sdraio. Nacquero così i primi stabilimenti balneari

Si può descrivere la giornata avventurosa di quei fortunati maceratesi che la domenica andavano al mare in Topolino giardinetta di legno dove si caricava di tutto: ombrellone, sdraio, sgabello, salvagente, zoccoli di legno, testo coi vincisgrassi, pollo e patate arrosto, bottiglione con vino e gazzosa e cocomero tassellato al rhum. Giornata più faticosa era per quelli che arrivavano al mare in pullman da tutti i paesi della Provincia. La spiaggia era libera e la costa selvaggia. E mentre a Porto Recanati, dalle parti di Scossicci, rimanevano i bunker a testimoniare una difesa costiera impossibile sulla battigia di Porto Civitanova, ancora sfidavano il mare alcuni relitti di vecchie barche a vela e casse di nasse abbandonate tra macchie di catrame sempre più nere. Ogni tanto passava il fotografo con il cagnolino e in biciclettal’antesignano delle pizze d’asporto “Ciriaco” gridando: “pizzaaa, bomboloni”. Insomma, in quegli anni di turismo balneare pionieristico, i vu cumprà eravamo noi.

Ora lungo la costa c’è poca spiaggia libera, le palme hanno sostituito le tamerici e di selvaggio attecchisce bene solo l’edilizia. E mentre i ragazzi fanno il bagno mostrando la griffe delle mutande fuori dalle brache di tela, le belle signore annoiate avvolgono con avvenenza il pareo alla vita per coprire candidamente il succinto bikini brasiliano. Una giornata per capire che la nostra epoca non è stata poi così effimera come una bella estate, anche perché abbiamo avuto il tempo e la fortuna di vedere spiagge popolate di donne semivestite che facevano il bagno in sottoveste e altre che indossavano il prendisole, fino alle donne seminude in toples, in tanga e in perizoma.

 

Il-telo-teschiutoMentre i bambini giocano con il secchiello quasi a voler svuotare il mare e le mamme si rosolano pigramente al sole come lucertole rigirandosi sui lettini e assumendo le posizione più strane, arriva puntuale una voce che si fa sempre più vicina, quasi una nenia africana che annuncia l’arrivo di una partita di teli da mare: «Regàs!», «Regàs!». E’ il nome del veterano dei vù cumprà. Questo venditore ambulante ha un buon rapporto coi bagnanti in quanto ogni giorno d’estate percorre e ripercorre quel tratto di spiaggia che va dalla foce del Musone a quella del Potenza. Questo personaggio magro cotto dal vento e dalla salsedine con in testa un cappellino rosso e occhiali tipo ray-ban si muove come un manichino in una vetrina, esponendo contemporaneamente una ventina di coloratissimi teli regolarmente Made in Egitto. Superata la prima diffidenza il discorso potrebbe continuare tra il sibilo del vento e l’urlo dei gabbiani, mentre una Venere poco più in là della battigia divarica le gambe, scruta l’orizzonte per godere di quell’istante in cui il traghetto porterà quell’ondata anomala rigeneratrice, quasi come il forte getto dell’acqua dentro una vasca Guzzini con l’idromassaggio.

La nenia «Regàs!», «Regàs!» del mercante di Rabat si fa sempre più flebile fino a scomparire del tutto. Qualche tempo fa, animato improvvisamente dallo spirito romantico dei cercatori d’oro, ho acquistato un telo nero con lugubri teschi di varie dimensioni tra scimitarre che ricordano la bandiera dei pirati.

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