Giovanni Tedesco, ex direttore di banca in pensione, ha scritto una lettera alla nostra redazione sulla decisione del Vescovo, Monsignor Claudio Giuliodori (nella foto) di non concedere il permesso di sposarsi in una parrocchia diversa da quella di appartenenza dello sposo, della sposa o del luogo dove andranno ad abitare. Giovani Tedesco, di origine napoletana, vive dal 1990 a Macerata e sperava che sua figlia potesse sposarsi dove volesse.
“I ragazzi il prossimo 10 luglio volevano sposarsi a Pievebovigliana – scrive Tedesco – o a Borgo Lanciano di Castelraimondo e a celebrare il matrimonio volevano chiamare don Ennio Borgogna (recentemente trasferito dai Salesiani di Macerata a quelli di Porto Recanati) visto che sono anche scout. Negli scorsi giorni sono andati a parlare con il Vescovo che non gli ha concesso il permesso dicendo che il matrimonio deve essere inteso anche coma una festa di quartiere a cui deve partecipare tutta la comunità. Il nostro Vescovo dunque non concede il permesso a una coppia di regolarizzare la propria unione, di celebrare il sacramento del matrimonio in una chiesa diversa da quella della parrocchia di appartenenza dello sposo,della sposa o quella di dove andranno ad abitare.
La chiesa – aggiunge Giovanni Tedesco, cattolico e impegnato con il Lions Club nel volontariato in Africa – si lamenta che non ci sono molte unioni non consacrate dal vincolo religioso del matrimonio ma se mettono avanti tanti problemi burocratici è logico che i ragazzi andranno a sposarsi in Comune.
Passiamo sopra al fatto che è una ingerenza nella vita altrui, ma il giorno del matrimonio è una tappa da ricordare per tutta la vita con gioia e serenità eppure bisogna sottostare a malincuore al volere del Vescovo. Le motivazioni addotte – scrive ancora il padre della sposa – possono anche apparire giuste per il suo modo di vedere, ma ciò non toglie che per gli sposi non possono essere valide”.
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Caro Gianni rimango basito! A me il permesso l’hanno dato infatti mi sono sposato in quel di Serravalle, pur essendo entrambi di Macerata! Anche la Chiesa ora fa questioni di statistica? Si perchè la motivazione data dal Vecovo mi convince poco, visto che il matrimonio non è la festa del “patrono” di quartiere, ma della famiglia!!!!! Quindi l’unica motivazione può essere solo quella di vedere nelle statistiche un maggior numero di matrimoni religiosi celebrati in diocesi.
Tommaso
Insomma Macerata si è trovata un bel vescovo “regressista”, proprio quello di cui aveva bisogno….
A quando la Messa con il prete che volge le spalle ai fedeli?
Già che ci siamo, come accadeva nel medioevo, sarebbe pure giustamente da ripristinare il divieto di ingresso in chiesa alle donne in periodo metruale…..
. . . poi artisticamente parlando , ci sono chiese e chiese, quella di Collevario (Mc), ora ritinteggiata verde pastello, sembra “una sala-refettorio” piuttosto che una chiesa!!
…Per non parlare poi della chiesa-rifugio-bunker di fronte al Tribunale dove l’unico motivo di interesse è il bel crocifisso altrimenti sarebbe da radere al suolo per la sua bruttezza
Cari amici miei,
ecco un’altra di quelle simpatiche occasioni in cui si pretende – dal di fuori – di decidere cosa deve o cosa non deve dire e fare un Vescovo.
Intervengo solamente perché sono un po’ al di dentro di queste faccende, pur essendo laico come voi.
So per certo, cioè, che la motivazione per cui già Mons. Conti scoraggiava il matrimonio in chiese differenti dalla comunità parrocchiale era appunto quella di favorire il recupero dell’idea di comunità cristiana: il matrimonio, cioè, non è un fatto privato, ma un fatto che riguarda un’intera comunità. Ci sono gli invitati alle nozze (si intende anche al pranzo), ma c’è tutta una comunità parrocchiale, residenziale, che prende parte alla gioia degli sposi e alla festa delle famiglie.
Il problema nasce quando, imbattendosi nella nostra realtà contemporanea, si scopre che poi questa parrocchia-comunità è molto più sfilacciata di quanto si desidererebbe: è venuta progressivamente ad assottigliarsi, risolvendosi quando va bene nella sola partecipazione alla Messa domenicale.
La linea della CEI, in tal senso, consiglia di favorire il recupero dell’idea comunitaria di parrocchia anche per i matrimoni, così come peraltro accade per i battesimi, le prime comunioni, le cresime, i funerali, senza che nessuno se ne scandalizzi affatto.
Ovviamente, pare un po’ superficialotta l’idea della “chiesa bella” contro la “chiesa brutta”: è verissimo che certi architetti contemporanei avrebbero fatto meglio a ficcarsi un dito in quella cavità recondita del loro corpo invisibile a loro stessi, piuttosto che progettare scatoloni di cemento inguardabili. Però, è anche vero che non può essere quello della bellezza dell’edificio in sé il problema maggiore di un matrimonio (specie considerando che, con l’andazzo attuale, i matrimoni durano quando va bene due o tre anni).
Credo, insomma, che chi vuole sposarsi in chiesa sia bene che lo faccia per l’importanza del sacramento, ossia per avere in Cristo l’alleato numero uno della famiglia che va a formarsi. Se poi c’è una bella chiesa tanto meglio, ma non è quello l’elemento fondamentale.
Infine, trovo sinceramente risibile che uno affermi “se mi impedisci di sposarmi all’Abbazia di Fiastra (o a San Claudio, o dove sia…), non mi sposo in chiesa ma solo in Comune”. E fallo, che vuoi che ti dica? Anzi, sai che penso: se dovevi sposarti in chiesa solo per la scenografia, è davvero meglio che ti sposi solo in Comune.
Bisogna – come diceva giustamente Giovanni Paolo II – rievangelizzare i cristiani: questo, in definitiva, lo dico tanto per coloro che idolatrano gli edifici di pietra anche a scapito del sacramento, quanto per coloro che pensano che una chiesa domenicale piena di persone significhi automaticamente un’assemblea di cristiani.
Bravo Filippo, che la fede diventi vera fede e non tifo da stadio.
Che la stessa Chiesa pensi però più a parlare alle anime e si occupi meno di crocifissi sulle scuole (come se la fede dipendesse da quello).
Se poi alla conferenza della C.e.i. si parlasse di valori anzichè di politica sarebbe veramente eccezionale!!!!!
Caro Filippo, nessuno pretende dal di fuori di di decidere.
Ed il vescovo ha tutto il diritto di decidere come meglio crede.
Ma è altrettato un diritto legittimo per gli sposi cattlici-apostlici-romani (visto che il matrimonio, per la dottrina, dovrebe essere indissolubile, cioè durare tutta al vita) volere che venga celebrato in una chiesa “bella” e non “brutta” perchè di quel giorno rimangano ricordi belli che accompagnerano tutta una vita.
Se le gerarchie hanno permesso l’edificazione di obrobri, perchè anche l’occhio vuole la sua parte (ve l’immaginate la Cappella Sistina con dei brutti graffiti al posto dei meravigliosi dipinti? non credo che il papa ci andrebbe così tanto volentieri), dovrebbero inanzitutto scusarsi con le comunità per l’edificazione di simili sgorbi.
Filippo tutte belle parole, ma un errore gravissimo! Il matrimonio non è un fatto pubblico, ma un fatto privato di due persone che vogliono mettere su famiglia e vogliono festeggiare questa unione con i propri parenti e non con i vicini d casa!!!
Si vuole farlo dventare pubblico per quale motivo? Statistica o peggio ancora danaro? No, il quartiere non c’entra nulla dopo tutto si ha “licenza di sposarsi” in tre quartieri che posono essere completamente diversi (residenza sposa, sposo e residenza familiare) e…quale è la comunità che festeggia???????
No no il vescovo è bravapersona, ma questa volta toppa. E’ umano!
@ Tommaso
Mi spiace per te, Tommaso: il matrimonio cristiano non è per niente un fatto privato. E io non ho mai parlato di quartiere, bensì di comunità parrocchiale. Che oggi ha purtroppo una valenza esclusivamente anagrafico-civile, ma in realtà rappresenta in piccolo la totalità della Chiesa. Un popolo, con una testa (il parroco) e membra con vari e diversi carismi. Qui, naturalmente, parliamo di matrimonio cristiano. E, come evidentemente forse pochi sanno, il presbitero (il prete) non rappresenta solamente Dio ma tutta la comunità.
Anzi, credo si possa tranquillamente affermare che la ferita peggiore inferta dal nostro presente alla vita cristiana è proprio averlo ridotto a un fatto privato.