Sassi dal cavalcavia, tornano a casa
gli assassini di Maria Letizia Berdini
Il padre: “Mi sento tradito dallo Stato”

Il caso

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I fratelli Franco, Paolo e Alessandro Furlan e il cugino Paolo Bertocco da alcuni giorni hanno lasciato il carcere di Ivrea (Torino) dove stavano scontando 18 anni e 4 mesi per il lancio di sassi dal cavalcavia dell’autostrada Piacenza-Torino che il 26 dicembre 1996 provocò la morte di Maria Letizia Berdini, civitanovese, che viaggiava in auto con il marito.

I Furlan e Bertocco hanno ottenuto di scontare gli ultimi mesi in detenzione domiciliare nelle rispettive abitazioni di Tortona (Alessandria). Il fine pena scadrà all’inizio di luglio: oltre ai tre anni dell’indulto, beneficiano della liberazione anticipata, 45 giorni ogni sei mesi di detenzione, concessa in base alla buona condotta.

Condannati in primo grado a 27 anni e sei mesi per omicidio volontario della Berdini e tentato omicidio di altri automobilisti in transito sull’autostrada, in appello avevano ottenuto lo sconto di un terzo per il rito abbreviato, sentenza confermata in Cassazione.
Arrestati a metà gennaio 1997, dopo alcuni mesi di carcere, i Furlan e il cugino erano stati agli arresti domiciliari sino a luglio 2001, quando la condanna era diventata definitiva. In questi anni avevano già ottenuto dei permessi. Mentre Alessandro Furlan e Bertocco, dopo iniziali ammissioni, avevano poi ritrattato di aver fatto parte della “banda dei sassi”, i fratelli Franco e Paolo hanno sempre sostenuto di essere estranei alla sassaiola. Erano finiti nell’inchiesta insieme ad un altro loro fratello, condannato in primo grado e assolto in appello, e Loredana Vezzaro e Roberto Siringo, assolti dalla Corte d’Assise.

Così ha commentato la notizia il padre di Maria Letizia,  Vincenzo Berdini, responsabile della Protezione civile di Civitanova: “Ringrazio lo Stato per questa sentenza. Ancora una volta si proteggono i delinquenti. Mi chiedo: quanto vale la vita di una persona? Quanto vale la vita di mia figlia?”.

Vincenzo Berdini è comprensibilmente arrabbiato: “Ma che giustizia è questa? Mia figlia è stata uccisa poco più di 12 anni fa. Non è stata una disgrazia ma un gesto premeditato da chi non sapeva come pasare il tempo. La sentenza è stata di 30 anni, poi c’è stato l’indulto, poi la buona condotta, poi non so che altro. Stavolta non me la prendo con chi ha ammazzato mia figlia ma con queste leggi”.

Vincenzo Berdini, coordinatore locale della Protezione Civile, in questi giorni è vicino alle popolazioni colpite dal terremoto: “Continuo a servire le istituzioni, ma cosa mi hanno dato in cambio? Hanno liberato gli assassini di mia figlia”.



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