«Per spirito di libertà e per difendere le nostre idee di giustizia e di uguaglianza, non possiamo che stigmatizzare le critiche, aspre quanto preconcette, esternate dai media nei confronti della sentenza del Tribunale di Macerata. In buona sostanza, l’accusa è questa: aver osato assolvere un giovane dall’accusa di stupro». A dirlo il direttivo della Camera penale del tribunale di Macerata che entra in merito alla sentenza di assoluzione in primo grado per un 31enne accusato di violenza sessuale. Le motivazioni dei giudici hanno fatto discutere. Ieri pomeriggio la Corte d’appello ha ribaltato la sentenza di primo grado, condannando l’imputato a 3 anni (leggi qui).
«Mentre era in corso la camera di consiglio – proseguono dal direttivo – in pratica nelle ore in cui i giudici di appello stavano decidendo la sorte del giovane accusato di aver violentato la ragazza, è divampata sui giornali una crescente polemica, che ha investito le espressioni usate dai giudici di primo grado per motivare il proprio convincimento di inattendibilità del racconto della giovane.
Ebbene, neppure la condanna inflitta dai giudici di appello ha placato le polemiche, che hanno preso di mira alcune parole utilizzate dai giudici del primo grado, estrapolate dal contesto motivazionale per creare la consueta retorica della sentenza shock».
«L’obiettivo non è informare bensì colpire l’opinione pubblica solleticando i commenti di chi, senza aver letto una sola riga del provvedimento di cui parlano, invoca una condanna ad ogni costo – dicono dalla Camera penale -. L’accusa di violenza sessuale non ammette dubbi. La Camera penale si domanda quali siano i provvedimenti, se ve ne sono stati, apprestati a tutela di quei giudici di appello, pressati da proteste levatesi fuori e dentro il Palazzo di giustizia ed esposti alla eco del popolo che reclama giustizia, proprio mentre erano impegnati nel delicato compito di decidere le vite di due giovani, l’imputato e la presunta vittima».
E poi ancora «ci si chiede se Anm non ritenga doveroso assumere posizioni a difesa dei giudici di primo grado, esposti al ludibrio per frasi che costituiscono non esternazioni di matrice maschilista ma argomentazioni a sostegno della motivazione assolutoria. Sono frasi che non mirano a screditare la giovane ma soltanto a spiegare, doverosamente, perché il Tribunale non ha ravvisato la prova del mancato consenso e dunque della violenza sessuale. In realtà, dietro a queste critiche si cela un principio totalmente estraneo alla nostra normativa processuale ovvero la presunzione di veridicità delle dichiarazioni della persona offesa nei reati a sfondo sessuale, oltre al quel sillogismo mediatico che vede la giustizia nella sola condanna».
Secondo la Camera penale «si tratta di una pericolosa deriva interpretativa che, presupponendo un pregiudizio di colpevolezza nei confronti dell’imputato e dunque di fatto un’inversione dell’onere della prova, lo vuole privare delle garanzie del processo liberale e democratico.
Senza voler entrare nel merito della vicenda, assistiamo ancora una volta ad una estrapolazione di frasi ed espressioni avulse dal loro contesto; estrapolazioni che contrastano con le regole ed i principi di diritto che caratterizzano il processo penale nonché con il principio del contraddittorio tra le parti, in tal modo prestando il fianco a strumentalizzazioni da parte dei media e che mal celano, in realtà, la volontà di interferire sulla terzietà del giudice. Pertanto, esprimiamo il nostro pieno sostegno a quei magistrati che coraggiosamente hanno applicato il codice e deciso secondo la propria coscienza».
Violenza sessuale su una 17enne, la Corte d’appello ribalta la sentenza: condannato a 3 anni
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