Mega rissa sul corso, l’esperto:
«La violenza giovanile è il risultato
di fratture sociali, educative e relazionali»

CIVITANOVA - Andrea Foglia è il coordinatore del tavolo tecnico permanente per il benessere delle nuove generazioni, anticipa, a pochi giorni dall'audizione in Comune, i risultati raccolti durante 12 mesi di lavoro. dopo gli episodi di violenza scoppiati in città. «Le risposte dal potenziamento del supporto psicologico, da progetti di inclusione sociale, da attività culturali, artistiche e sportive»

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La rissa a Civitanova (immagini oscurate a tutela dei minori coinvolti)

Episodi di violenza giovanile, «non semplici fatti di cronaca, campanelli d’allarme di un disagio profondo. Le strutture sociali di famiglia, scuola e comunità non bastano più e non basta puntare il dito, serve una presa di coscienza di tutti». Andrea Foglia, coordinatore del tavolo tecnico permanente per il benessere delle nuove generazioni anticipa, a pochi giorni dall’audizione in Comune, i risultati raccolti durante 12 mesi di lavoro del tavolo tecnico. 

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Andrea Foglia

Una presentazione che arriva dopo un’escalation che ha visto nelle ultime settimane alcuni gravi episodi di violenza che hanno per protagonisti dei minorenni.

L’ultimo la maxi rissa su corso Umberto I, seguita da una reazione violenta di uno dei coinvolti al pronto soccorso dove ha devastato la sala d’aspetto e ferito un agente che ha riportato 30 giorni di prognosi.

Ancora qualche settimana prima, un’altra rissa, in via Nave, fra un residente e altri giovanissimi, finita anche questa al pronto soccorso, sia per il residente che per il giovane coinvolto.

Fenomeni che hanno generato un ampio dibattito nella comunità. A non minimizzare e lasciar correre pensando “è sempre successo” è proprio Andrea Foglia che colloca il fenomeno (che si sta manifestando in maniera diffusa su tutto il territorio nazionale) in una cornice più ampia, ricercando cause e individuando possibili canali di comunicazione e mitigazione del problema.

«Gli episodi accaduti a Civitanova pochi giorni fa sono un grido silenzioso di una generazione che vive tra solitudini interiori e il bisogno disperato di appartenenza. Questi fenomeni, però, non possono essere letti con superficialità né affrontati con reazioni impulsive. La violenza giovanile, una delle tante forme di disagio, non nasce dal nulla: è il risultato di fratture sociali, educative e relazionali che noi adulti come comunità abbiamo il dovere di comprendere e affrontare».

Quali le cause, è colpa della famiglia, della scuola, dei social?

«Dietro ogni episodio di violenza di gruppo si celano cause complesse come insicurezza emotiva, senso di vuoto, difficoltà relazionali, la pressione sociale amplificata dai media e dai social, la mancanza di figure di riferimento e di spazi sicuri per esprimersi e tanto altro. Le strutture tradizionali di socializzazione, la famiglia, la scuola, la comunità, spesso non riescono più a rispondere ai bisogni dei giovani, di tanti ragazzi iperconnessi e a rischio dipendenza tecnologica, lasciandoli soli davanti alle loro sfide. Questo contesto non solo alimenta il disagio, ma favorisce comportamenti devianti o distruttivi. Di fronte a questi segnali, la comunità non può limitarsi a giudicare o a reprimere. E’ facile cedere all’indignazione e limitarsi a condannare ciò che accade. Ma questo atteggiamento, per quanto comprensibile, non basta. Gli adulti hanno la responsabilità di andare oltre la semplice reazione emotiva e interrogarsi su ciò che possono fare concretamente per prevenire simili fenomeni».

Cosa fare allora?

«La risposta deve coinvolgere tutte le agenzie educative per costruire insieme una rete consapevole, di sostegno e prevenzione. Per affrontare in modo efficace il disagio giovanile, è fondamentale mettere in campo, stabilmente, un insieme di azioni integrate che vadano a supportare i ragazzi nei loro bisogni emotivi, sociali e relazionali.

Un passo essenziale è il potenziamento del supporto psicologico, ovunque. Creare, consolidare là dove ci sono, più sportelli di ascolto gratuiti nelle scuole e nei centri giovanili, ciò significa offrire ai giovani spazi sicuri dove poter parlare delle proprie difficoltà e trovare un aiuto professionale. Accanto a questo, è necessario investire su progetti di inclusione sociale, di tutti i giovani in formazione, in particolare per quei ragazzi che vivono una qualche marginalità sociale. Attività culturali, artistiche e sportive possono rappresentare un contesto positivo dove i ragazzi si sentano accolti, valorizzati e in grado di esprimere se stessi in modo costruttivo. Questi spazi di partecipazione aiutano a creare legami e a ridurre la sensazione di isolamento. Cruciale il ruolo di educatori e famiglie. Spesso, genitori e insegnanti faticano a comprendere le sfide che i giovani affrontano ogni giorno».

Dopo un anno di lavoro si riunisce ora il tavolo tecnico creato proprio per la prevenzione del disagio giovanile, quali i risultati?

«A livello istituzionale, è fondamentale favorire una collaborazione stabile tra tutti gli attori coinvolti: Comune, scuole, servizi sociali e associazioni del territorio. Il sostegno convinto di tutti a favore del tavolo di lavoro permanente può garantire un monitoraggio costante dei fenomeni di disagio e la progettazione di interventi efficaci, basati su una visione dotta, condivisa. Occorre parlare direttamente ai giovani in maniera non giudicante, dei pericoli e aspetti negativi del web, del valore dell’intelligenza affettiva, utilizzando un linguaggio vicino al loro mondo, è essenziale per promuovere valori come il rispetto reciproco, la solidarietà e la non violenza. L’intelligenza affettiva è essenziale per i giovani in formazione: insegna a gestire emozioni, costruire relazioni sane e sviluppare empatia. Coltivarla significa aiutare i ragazzi a crescere consapevoli di sé, di affrontare sfide personali e sociali, fondamenta per un futuro equilibrato e responsabile, per contenere fenomeni drammatici come la violenza di genere. Queste iniziative possono aiutare i ragazzi a riconoscere e scegliere percorsi positivi per sé e per la comunità. Questi interventi, combinati e armonizzati, possono rappresentare una risposta concreta e collettiva al disagio giovanile. La violenza giovanile di gruppo non è un problema da relegare alle statistiche, ma un riflesso delle mancanze di tutta la comunità. Ogni rissa, ogni atto di violenza, ogni forma di disagio giovanile, non è solo un problema dei giovani coinvolti, ma un segnale che chiama in causa l’intera comunità. Non basta puntare il dito: è necessario agire, e farlo insieme».

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