
Salvatore Alborino con la sua squadra
di Luca Patrassi
Il dottor Salvatore Alborino guida la Radiologia interventistica della Ast di Macerata: laurea e specializzazione all’Università di Modena, primo incarico nella città citata in Chirurgia di urgenza per poi virare verso la Radiologia Interventistica. Nel 1997 all’ospedale di Torrette, dal 2018 a Macerata.
Presentazione del reparto e dell’attività.
«Radiologia Interventistica di Macerata è una creatura relativamente giovane, prende vita a settembre 2018. È composta, oltre che da me, da due medici strutturati, la dottoressa Cinzia Mincarelli e il dottor Fabio Salvatori e un collega in formazione specialistica dell’Università di Ferrara, il dottor Diego Valentini che, auspichiamo, possa integrare stabilmente il team, una volta specializzato.
In Italia ci sono 16 unità complesse di Radiologia Interventistica, secondo l’ultimo censimento della Sirm (Società Italiana di Radiologia Medica ed Interventistica), la seconda nelle Marche insieme a quella dalla quale provengo dell’Ospedale regionale; quindi, una risorsa certo non diffusissima, che l’Ast di Macerata può vantare come pochi altri centri in Italia.
Questo sottolinea a mio parere la sensibilità della nostra Regione e della nostra Ast nei confronti di questa fondamentale disciplina della medicina, essenziale per affrontare in modo moderno ed innovativo le sfide cliniche, insieme ad altre importanti discipline e specialistiche che l’Ast di Macerata ha la fortuna di avere. Naturalmente questo progetto va alimentato, sostenuto nella sua crescita e sviluppo.
L’attività della Radiologia Interventistica è partita quasi dal nulla; basti pensare che nei primi 8 mesi del 2018, prima del mio insediamento, erano state eseguite appena otto procedure vascolari; in quell’anno nei quattro mesi successivi abbiamo eseguito oltre 200 interventi con risorse umane e tecniche ridottissime.
Da allora l’attività è andata progressivamente crescendo in modo costante e vorticoso sia nei numeri, che attualmente si assestano sulle 5000 procedure annue, di cui circa un migliaio in ambito vascolare, sia nella varietà degli interventi che spaziano in molteplici ambiti quali oncologico, nefrologico, gastroenterico, urologico, chirurgico, muscoloscheletrico, vascolare arterioso e venoso, a sottolineare la trasversalità della disciplina».

Il dottor Salvatore Alborino
Gli ambiti di intervento.
«Descrivere tutti gli interventi sarebbe troppo lungo, ma vorrei citare solo alcuni ambiti che maggiormente ci caratterizzano e caratterizzano la nostra Ast poiché tutto il nostro lavoro avviene in collaborazione ed in sinergia con altre discipline.
Quello vascolare che rappresenta il nostro cavallo di battaglia; eseguiamo interventi di rivascolarizzazione che vanno dal distretto carotideo fino al salvataggio d’arto, passando per il trattamento della patologia steno-ostruttiva ed aneurismatica dei vasi viscerali non aortici, iliaco-femorali e sotto-poplitei.
L’attività vascolare è svolta in stretta collaborazione con la Medicina del dr Catalini presso cui ci sono dei letti di degenza per i pazienti da sottoporre alle nostre procedure, seguiti dai colleghi internisti secondo i moderni criteri della medicina vascolare.
In questo percorso giocano un importante ruolo i colleghi della Nefrologia del dr Sopranzi per i pazienti vasculopatici con concomitanti problemi di ridotta funzionalità renale o nel trattamento / gestione delle fistole per emodialisi; con la Diabetologia del Dr Brandoni per la problematica del piede diabetico e ancora i colleghi della Dermatologia del dottor Sigona che si occupano di feriti difficili, parte delle quali hanno genesi vascolare e i colleghi del Pronto Soccorso Medicina d’urgenza del dottor Rossi a cui afferiscono un numero sempre crescente di pazienti con ischemia critica degli arti inferiori.
L’ischemia critica d’arto è una patologia tanto grave quanto sottovalutata, purtroppo spesso trattata tardivamente per molteplici motivi, con alti costi sociali e con elevati tassi di mortalità paragonabili a quelli dei tumori del tratto gastroenterico. Secondo i più recenti trial clinici come il Basil 2 e il Best-Cli, il tasso di mortalità e il tasso di reinterventi è rimasto stabile per decenni, nonostante i sorprendenti avanzamenti tecnologici e delle tecniche interventistiche; questo vuol dire che qualcosa sfugge, che non stiamo facendo abbastanza pur essendo diventati “più bravi” e avendo a disposizione maggiori strumenti.
Le ragioni di questo “fallimento” sono diverse, ma vengono riassunte dagli autori in un quesito “At presentation, is it too often too late?” ossia quando i pazienti giungono alla nostra attenzione “è troppo spesso troppo tardi?” Purtroppo, la risposta è si, giungono tardi, mal gestiti e nella stragrande maggioranza dei casi senza la miglior terapia medica impostata.
Questo ci riporta al parallelo con la patologia oncologica dove il tempo di cura è lo spartiacque dall’essere terapeutici, radicali e risolutivi, all’essere solo palliativi; allo stesso modo trattare precocemente i pazienti vasculopatici vuol dire non solo salvare gli arti, ma anche dare loro vita, poiché intervenire tardi rende i nostri interventi solo palliativi, non evitiamo le amputazioni e i tassi di mortalità restano purtroppo elevati ed immodificati.
Un altro settore che ci vede praticamente unici in regione sia per i volumi di attività che per percorso – pazienti è il trattamento della patologia nodulare tiroidea benigna con termoablazione».
I numeri.
«In tre anni abbiamo trattato ad oggi 150 pazienti. Tutto ciò è stato possibile grazie alla presenza a Macerata di una consolidata tradizione nel trattamento delle tireopatie, che vede nella Medicina Nncleare e centro di Terapia radiometabolica (unico in regione) della dottoressa Capocetti un centro di riferimento regionale, riconosciuto da moltissimi anni, con colleghi di grande esperienza e competenza, oltrechè alla lunga tradizione endocrinochirurgica dei colleghi della Chirurgia del dottor Siquini.
In questi anni abbiamo ospitato diversi colleghi di vari ospedali d’Italia e siamo stati inseriti nel Mitt (Minimally Invasive Treatments Of The Thyroid Group) tra i centri maggiormente attivi sul territorio nazionale.
Grazie alla collaborazione multidisciplinare con i colleghi del Pronto Soccorso/Medicina D’Urgenza del dottor Rossi, della Cardiologia del dottor Luzi, della Pneumologia della dottoressa Marchesani; della Rianimazione del dottor Gattari e ancora della Medicina Interna del dottor Catalini ci occupiamo del trattamento endovascolare in acuto mediante trombectomia meccanica dell’embolia polmonare e della trombosi venosa profonda (acuta e cronica), che rappresentano le ultime frontiere dei trattamenti endovascolari; ad oggi abbiamo trattato 29 pazienti con embolia polmonare.
Insieme anche ai colleghi di Civitanova e Camerino stiamo mettendo in piedi un percorso aziendale con il supporto della nostra direzione aziendale. Naturalmente lavorando in un ospedale oncologico svolgiamo un volume di attività notevole in questo settore che va dalle biopsie ai trattamenti ablativi, alle chemio e radioembolizzazioni e quelli palliativi in collaborazione con i colleghi delle nostre Oncologie, Chirurgie ed Ematologia dell’Ast da Civitanova a Macerata a Camerino, ma anche delle Ast confinanti».
Le collaborazioni.
«Notevolmente significativa è la collaborazione con le nostre Urologie di Macerata della dottoresa Servi e di Civitanova del dottor Giannubilo. Ancora il trattamento endovascolare dei fibromiomi uterini grazie alla collaborazione con la Ginecologia di Macerata del dottor Pelagalli e di Civitanova del dottor Di Prospero.
Scusandomi, poiché sicuramente, in questo breve elenco dimentico di citare stimati colleghi, vorrei ricordare e ringraziare la fondamentale collaborazione con i colleghi della Radiologia del dottor Costarelli, con cui condividiamo, oltre alla comune radice, l’utilizzo di diverse apparecchiature. Vorrei inoltre ricordare il ruolo imprescindibile della Radiologia Interventistica nell’emergenza – urgenza, tanto che la pronta disponibilità h24 di Radiologia Interventistica rappresenta un prerequisito per attivare un dea di secondo livello, a sottolinearne il ruolo fondamentale in questo ambito altamente critico.
Oltre alla citata embolia polmonare , la Radiologia interventistica rappresenta un baluardo salvavita nel trattamento di molteplici patologie tempo-dipendenti quali ad esempio le emorragie traumatiche, iatrogene, spontanee, post-partum, post-operatorie; le ischemie acute d’arto o d’organo, lo stroke ischemico.
A questo proposito devo ricordare il ruolo fondamentale e la grande professionalità dei colleghi rianimatori dell’intera Ast, davvero preziosi nel supportarci nella gestione delle urgenze, consentendoci di lavorare con la giusta serenità e concentrazione in situazioni di elevata criticità.
Infine, voglio ricordare e sottolineare gli ottimi rapporti e l’importante volume di attività che deriva dalla collaborazione con i colleghi di vari ospedali non solo della nostra Ast, come già accennato, ma anche delle altre aziende territoriali così come dell’Ospedale regionale in un clima di confronto continuo e di reciproca stima volto a trovare di volta in volta il percorso migliore per i pazienti.
Come vede da questo breve spaccato, la nostra attività si interseca in modo profondo e sinergico con tante altre branche mediche e ciò rappresenta la caratteristica peculiare, forse unica, della nostra disciplina, che spazia in modo trasversale e multidisciplinare negli ambiti più disparati della medicina».
Il nome – Radiologia Interventistica – è relativamente nuovo, o comunque poco conosciuto ai più. Eppure, si parte spesso da un ago, da uno strumento antico. Quanto lo sviluppo della tecnologia incide nella sua professione?
«Sì, in effetti l’ago è per noi l’analogo del bisturi per il chirurgo. Anche la Chirurgia ha fatto passi da gigante verso la mini-invasività in questi anni, cosi come noi, che siamo sostanzialmente dei “chirurghi mini-invasivi”, abbiamo avuto una progressione impressionante nella complessità tecnica dei nostri interventi, tanto che ormai le due branche chirurgia ed interventistica, sono arrivate quasi a toccarsi, un po’ come “le dita di Michelangelo”, seppur ognuno nei propri ambiti e competenze, anzi direi che in ambito vascolare i nostri interventi endovascolari sono esattamente interventi di chirurgia endovascolare ne più ne meno; cambia solo l’estrazione del professionista, ma gli interventi sono esattamente gli stessi.
Questo mi porta alla parte iniziale della sua domanda, il nome: Radiologia Interventistica è un’espressione tanto corretta quanto fuorviante nell’immaginario collettivo, ma anche a volte negli addetti ai lavori, a causa di un grande buco culturale che ancora oggi non siamo riusciti a colmare e purtroppo non rende conto del tipo di attività che noi svolgiamo, assimilata alla diagnostica che, seppur bellissima, affascinante ed oggi altamente complessa e sfidante, è altro, è tutt’altra attività e con la quale condividiamo solo le metodiche di imaging, ma che noi utilizziamo come strumenti di guida ai nostri interventi, analogamente al chirurgo che usa la colonna laparoscopica per gli interventi chirurgici o allo pneumologo o al gastroenterologo che usano le ottiche per i loro interventi endoscopici.
La nostra è una chirurgia mininvasiva sviluppata attraverso gli accessi percutanei con l’ago appunto e la guida dell’imaging. Parlando in generale, essendo un fenomeno diffuso al livello nazionale, purtroppo constatiamo che questa carenza culturale spesso la riscontriamo anche in ambiti decisionali e manageriali, laddove si decide dove e a chi destinare le risorse che spesso non sono commisurate alla portata e all’importanza della nostra disciplina.
La conseguenza è la mancata allocazione di risorse idonee, nei tempi congrui, così spesso noi interventisti ci troviamo a lavorare in ambienti angusti e strutturalmente inadeguati con apparecchiature desuete e personale insufficiente; quando, al contrario, dovremmo disporre di blocchi operatori veri e propri, con tutti i criteri costruttivi che questi prevedono, tecnologicamente all’avanguardia e con personale sufficiente e dedicato per poter garantire i più alti standard di cura. Questo mi porta alla parte finale della sua domanda, ossia l’incidenza della tecnologia nella nostra professione.
Possiamo dire che l’impatto è impressionante; lo sviluppo tecnologico degli ultimi vent’anni ha aperto scenari impensabili e ci consente di eseguire interventi neanche lontanamente immaginabili fino a pochi anni fa. Questo rende la nostra disciplina sempre avvincente ed entusiasmante con orizzonti sempre nuovi e sfide sempre più ardite.
Ancora oggi, dopo oltre trent’anni di pratica clinica e migliaia di interventi eseguiti in praticamente tutti gli ambiti della Radiologia Interventistica, rimango affascinato nel sentire ai congressi internazionali le lezioni dei maestri mondiali della disciplina descrivere interventi che raggiungono vette di complessità incredibili e soprattutto consentono risultati clinici di eccellenza assoluta. Tutto questo è una spinta continua ed una fonte inesauribile di entusiasmo e di crescita professionale.
Non dobbiamo però fare l’errore di pensare che la tecnologia compia gli interventi in autonomia; anzi al contrario la tecnologia così complessa ed avanzata se non accompagnata e governata dalla cultura, dalle competenze e dalla perizia, in altre parole dal sapere e dalla coscienza dell’uomo, può essere inutile se non addirittura dannosa oltreché costituire uno spreco di risorse oggi ancora più preziose poiché ridotte.
Qui si aprono scenari molto ampi che coinvolgono temi complessi, anche di carattere etico, in quanto le nuove tecnologie, non solo nell’ambito dell’interventistica, ma anche in ambito chirurgico così come in quello clinico-farmacologico, con l’avvento delle nuove terapie, offrono chance terapeutiche sempre più avanzate, ma con costi sempre maggiori a fronte di risorse certamente non infinite».
Le soddisfazioni maggiori?
«La maggiore soddisfazione è quella di aver avuto la possibilità, seppur con qualche difficoltà, di poter creare un gruppo di professionisti, medici, infermieri, tecnici e ausiliari davvero eccellenti, responsabili, competenti, educati, che hanno a cuore i pazienti, che lavorano con entusiasmo, professionalità e grande umanità, grazie ai quali abbiamo raggiunto i risultati parzialmente accennati e che hanno consentito alla Uoc di Radiologia Interventistica di Macerata di rappresentare un punto di riferimento non solo per la nostra area territoriale, ma anche a livello regionale ed extraregionale, afferendo a noi anche pazienti dalle regioni confinanti».
Il prossimo obiettivo?
«Il prossimo obiettivo è attivare, con il sostegno della nostra direzione, il servizio di pronta disponibilità hh4, imprescindibile visto il ruolo fondamentale della Radiologia interventistica nell’emergenza – urgenza, sancito da anni anche nei quaderni della salute del Ministero e vista la mole di chiamate sempre maggiori per patologie tempo-dipendenti.
La patologia tempo-dipendente andrebbe trattata in Hub territoriali a mio avviso, soprattutto laddove esistono le competenze e a Macerata ci sono sicuramente, considerata anche la complessità geografica del territorio marchigiano che non garantisce il raggiungimento del centro di riferimento nella cosiddetta golden hour, come previsto dal cosiddetto decreto 70. Sono sempre più frequenti le chiamate per pazienti in condizioni critiche, instabili che non possono affrontare in sicurezza i trasporti fino al capoluogo.
Del resto, nella nostra regione abbiamo il virtuosissimo esempio della rete del trattamento dell’infarto del miocardio che ha visto ormai da molti anni la nascita dei centri di emodinamica provinciali, quando una volta era presente solo ad Ancona, a Pesaro, Ascoli Piceno, Macerata, a cui recentemente si sono aggiunti anche Fermo e l’Inrca di Ancona, con tante vite salvate e grande beneficio per la popolazione dei vari territori.
Non si capisce perché questo modello, che si è dimostrato vincente, non possa essere applicato anche alle altre patologie tempo-dipendenti, ribadisco soprattutto laddove ci sono le competenze».
Si narra in questo periodo che l’atto di gestione aziendale nasca dal confronto con i medici. Quali sono gli elementi cardine sui quali poggiare la sanità ospedaliera pubblica maceratese?
«Venendo a Macerata, o meglio presso l’Ast Macerata, perché a mio avviso dobbiamo ragionare come un corpo unico da Civitanova a Camerino, ho avuto modo di verificare la presenza di molti professionisti di alto livello e di grandi doti umane.
Inoltre, l’Ast Macerata dispone di tutte le branche per un cosiddetto ospedale di primo livello, ma anche molte specialistiche proprie di un ospedale di secondo livello; quindi, ritengo che alla luce di ciò, l’Ast Macerata è in grado di affrontare sfide cliniche molto ambiziose in svariati ambiti clinici. I primi che mi vengono in mente e che maggiormente interessano ed interesseranno la popolazione da qui ai prossimi anni, sono quello oncologico e quello cardiovascolare.
Non sono certamente gli unici, su cui fondare la sanità ospedaliera maceratese viste le competenze di cui dispone, penso ad esempio a tutte le specialistiche che sono di altissimo livello e all’ambito neurologico e pneumologico. Ma la mia è una visione parziale, legata soprattutto alla mia attività clinica; sicuramente la Direzione ha un orizzonte più ampio, grazie anche al confronto con noi medici e farà le giuste scelte».
Mancano gli specialisti in alcuni ambiti, i giovani vanno all’estero per una serie di motivazioni. Come se ne esce?
«La carenza di specialisti è diventato un problema crescente negli anni e per alcune specialistiche addirittura drammatico. Le motivazioni sono probabilmente molteplici e affondano le radici anche lontano nel tempo.
Sicuramente per alcune specialità, a prevalente o esclusivo carattere ospedaliero, gli scarsi sbocchi di carriera e la mancanza di opportunità di lavoro extra-ospedaliero le rendono poco appetibili.
Mentre una volta l’ospedale rappresentava la meta più ambita dai giovani medici, oggi si assiste ad un’inversione di tendenza, in quanto l’ospedale è visto quasi come un luogo di costrizione dove si lavora tanto, con turni pesanti, a volte con amministrazioni particolarmente vessatorie e con guadagni inadeguati, per cui i giovani preferiscono puntare su specialistiche che offrono altri sbocchi professionali fuori dall’ospedale, dove hanno meno vincoli, amministrazioni più snelle, orari meno pesanti, senza notti o festivi, peraltro mal retribuiti.
La retribuzione inadeguata rappresenta un altro fattore che penalizza ancora una volta soprattutto le specialità per così dire ospedaliere, poiché purtroppo sembra legata più ad una sorta di lavoro manuale che intellettuale e soprattutto non è correlata al carico di responsabilità del medico che è elevata e continua: ogni gesto, ogni decisione del medico ha un carico di responsabilità altissimo che si ripercuote nel bene o nel male sulla vita degli altri.
Questo concetto che è chiaro per alcune professioni, per questo corposamente retribuite, purtroppo si è perso per il medico, paradossalmente a fronte del numero sempre crescente di contenziosi medico-legali che per alcune specialistiche ormai ha raggiunto livelli patologici.
Senza la depenalizzazione dell’atto medico, senza l’adeguamento delle retribuzioni rapportato alle responsabilità, senza il miglioramento delle condizioni di lavoro, molte brache a prevalente vocazione ospedaliera, una volta molto ambite, verranno progressivamente abbandonate con seri problemi di copertura di posti e quindi sostanzialmente di offerta sanitaria a vantaggio di branche che permettono l’attività privata, extraospedaliera, più remunerativa e meno pesante o a favore della fuga all’estero dove i medici guadagnano molto di più a fronte di condizioni di lavoro nettamente migliori e anche di opportunità professionali superiori».
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