La mostra “Domenica di carta”
di Francesca Marsili
Abbandonata appena nata, nel 1857, a Camerino, e riposta nella ruota degli esposti, Paolina Cornelia Niccolina aveva con se, infilato tra le fasce, solo un cuoricino di seta celeste ricamato con filo d’argento e un sigillo di cera lacca appeso con un nastrino di colore blu. Nessun cognome, solo un pezzettino di stoffa, l’unico legame con la sua origine che custodiva la speranza che un giorno sua madre potesse riconoscerla, proprio grazie a quel segno di stoffa, e riprenderla.
Un contrassegno di riconoscimento, uno dei tanti conservati nell’archivio di Stato della sezione di Camerino arrivati a noi grazie all’archivio dell’Istituto pubblico di assistenza e beneficenza Ipab di Camerino che in un registro di ingresso dei neonati abbandonati a cavallo tra il settecento e l’ottocento ha conservato la preziosa testimonianza del fenomeno dell’abbandono infantile nel nostro territorio nei secoli passati. Alcuni di questi “segni di identità” sono stati esposti in occasione della giornata nazionale “Domenica di carta” all’archivio di Stato di Camerino in una mostra documentaria intitolata “Merletti, fettucce, filati e stoffe tra le carte d’archivio” curata dall’archivio di Stato di Macerata, sezione di Camerino.
Nastrini, semplici cordoncini, pezzettini di stoffa, sacchettini contenenti qualche messaggio, labili tracce che accompagnavano i bambini attraverso la ruota nel loro status di “figli di nessuno” vestiti solo di quel filo di tessuto, l’unico legame con la famiglia di origine che forse per indigenza, forse perché frutto di adulterio e quindi illegittima, era costretta ad abbandonare la propria creatura affidandola all’istituto camerte affinché potesse garantirle la crescita e l’istruzione. Piccoli oggetti di stoffa appesi al collo o annodati al polso dei bambini abbandonati conservati e registrati scrupolosamente sui verbali del movimento giornaliero degli esposti dall’Ipab di Camerino interpretati come un segno della volontà dei genitori di riprendersi i figli. Un segno della volontà della madre o dei genitori di preservare l’identità dei propri figli presumibilmente per ricercarli, è probabilmente riscontrabile nel fatto che nei messaggi che accompagnavano il segnale vi era la richiesta che i bimbi venissero chiamati con i nomi che essi stessi proponevano.
Domenico, abbandonato nel gennaio del 1862, aveva tra le mani un mezzo cuscinetto di raso rosso bordeaux imbottito di canapa e ricamato al centro con due petali di filo d’argento – come testimonia il contrassegno n’61 conservato nell’archivio di Stato di Camerino – sua madre al segno di riconoscimento aveva apposto una mezza medaglia votiva appesa con un cordoncino di lana color rosso e bianco con il probabile scopo di proteggere il bambino, l’altra metà era nelle sue mani affinché un giorno, facendola combaciare con quella di Domenico, potesse riunirlo a se. I contrassegni erano l’espressione di una volontà delle madri di riprendere i bambini abbandonati subordinata principalmente alla speranza di una migliore condizione economica o magari al matrimonio, nel caso in cui il bambino fosse frutto di una gravidanza da nubile. Un fenomeno quello dell’abbandono dei neonati adottato trasversalmente dalle madri provenienti da ogni classe sociale, dalle più ricche alle meno abbienti, per i motivi sopra descritti, e che trovano conferma di ciò proprio attraverso la più o meno preziosità e complessità dell’oggetto con cui il bambino abbandonato era “segnato”.
Adele Marianna, abbandonata nel 1850, aveva al polso un semplice cordoncino di lana verde, come testimonia il contrassegno n’ 26 conservato dall’archivio dell’Istituto pubblico di assistenza e beneficenza di Camerino, il che lascia presupporre che provenisse da una famiglie di umili origini. Come pure Emidio, lasciato all’istituto di Camerino il 6 agosto del 1856, il quale aveva al polso due semplicissimi fili, uno di cotone bianco e uno di lana rossa, conservati nell’archivio con contrassegno n’70. Marcello invece, lasciato nella ruota degli esposti di Camerino il 9 aprile del 1860, come testimonia il contrassegno n’ 56, proveniva presumibilmente da una famiglia benestante poiché con se aveva un pezzo di seta bianco quadrato appeso con un nastra di seta bianco, tutto intorno, ricamato a punto croce con filo rosa in cui la “M” di Marcello centrale è ricamata a filo d’oro e arricchita con piccoli bottoni dorati.
Anche Ermelinda Virginia, abbandonata col favore delle tenebre, come spesso avveniva in questi casi, e ritrovata alle ore sei antimeridiane del 13 aprile di un anno purtroppo non conosciuto, come riporta il contrassegno n’ 76 conservato nell’archivio camerte, con ogni probabilità era figlia di donna abbiente. Indossava un cuscinetto imbottito di raso rosso bordeaux ricamato nei bordi con filo d’argento dove al centro è apposta una foglia dorata e in un angolo nastri di seta blu e celeste. Frammenti dei stoffa, immagini sacre, monete divise a metà o semplicemente un pezzo di carta scritto con l’aiuto del parroco perché molto spesso le madri o i genitori meno abbienti erano analfabeti, un filo al quale era aggrappato il destino dei piccoli abbandonati chiamati trovatelli o gettarelli.
L’Istituto pubblico di assistenza e beneficenza Ipab di Camerino, a cavallo tra il 1700 e il 1800 era la fonte istituzionalizzata per far fronte all’impennata di abbandoni dei periodi di miseria o perché frutto di relazione clandestine o contrastate. Tutto passava dalla “ruota”, una struttura girevole che consentiva la massima discrezione di chi abbandonava il proprio figlio senza che il neonato restasse al freddo o alle intemperie affidandolo a mani più sicure con la speranza, un giorno di poterlo riabbracciare riannodando i due capi di quel pezzo di stoffa o ricongiungendo le due metà di una moneta. È questa la parte più commovente esposta tra teche della mostra documentaria curata dall’archivio di Stato di Macerata, sezione di Camerino, in collaborazione con l’università della terza età dell’Alto Maceratese che ha partecipato alla mostra esponendo le creazioni artigianali delle donne tra passato e presente.
fino ad una trentia di anni fà vi era l'orfanotrofio a camerino
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